L’arte e l’architettura
«Amiamo la bellezza con limpido equilibrio; coltiviamo il sapere ma senza languori; investiamo l’oro in imprese attive, senza futili vanti. Non è vergogna, da noi, rivelare la propria povertà: piuttosto non saperla vincere, operando. In ogni cittadino non si distingue la cura degli affari politici da quella dei domestici e privati problemi.» Queste le parole che Tucidide, nelle sue Storie, fa pronunciare a Pericle, il quale chiese ad artisti famosi, come Fidia (490-432 a.C. ca.), di ornare con le loro opere le strade e i templi ateniesi. L’architettura raggiunse in questo periodo risultati straordinari, anche grazie a espedienti tecnici che consentivano di conferire leggerezza ed eleganza a strutture molto imponenti, mentre nell’ambito della scultura furono introdotti linguaggi e stili imitati per secoli dagli scultori greci, romani e, in epoca moderna, dai più grandi artisti europei.
Il sostegno alla cultura e all’arte era una prassi già ben sperimentata nelle monarchie orientali, dove la costruzione di monumenti pubblici e religiosi, oltre che occasione di lavoro per il popolo, aveva anche lo scopo di esaltare la ricchezza e il prestigio dello Stato. Nella vita democratica delle póleis, però, il rapporto tra i cittadini e le opere d’arte si configurava in modo molto diverso. L’arte, in Grecia, non serviva soltanto a esaltare le autorità politiche o religiose (i re o i sacerdoti), ma era considerata patrimonio comune della collettività, finalizzato a celebrare la storia, i valori, l’identità politica e culturale
della comunità cittadina. L’acropoli di Atene, per esempio, fu ricostruita sui resti degli edifici distrutti dai Persiani nel 480 a.C. affinché tutti ricordassero il coraggio dimostrato dagli Ateniesi nel momento del pericolo (▶ Testimonianze della storia, pp. 216-217).