2 - La prima guerra persiana

Unità 5 L’ETÀ CLASSICA >> Capitolo 10 – Le guerre persiane

2. La prima guerra persiana

Tra buoni affari e piccoli attriti, le relazioni tra Greci e Persiani avrebbero potuto rimanere ancora a lungo prevalentemente pacifiche se, al principio del V secolo a.C., non fosse intervenuto un motivo di scontro dalle conseguenze drammatiche: la rivolta delle città ioniche, che fece precipitare gli eventi e trascinò la Grecia in un conflitto di vaste proporzioni con il potente e temibile vicino.

La rivolta ionica (499-494 a.C.)

Nel 499 a.C. le città ioniche, guidate da Mileto, si ribellarono all’impero persiano ( carta, p. 204). Le circostanze della sollevazione erano strettamente legate alla politica del tiranno di Mileto, Aristagora, alleato di Artaferne (che, come si è detto, controllava i territori della Ionia per conto del fratello Dario). Dopo una sfortunata guerra contro Nasso, in cui aveva coinvolto lo stesso Artaferne, Aristagora cambiò fronte: temendo di essere caduto in disgrazia presso il potente satrapo a causa della fallimentare spedizione militare, e di essere di conseguenza deposto, incitò le città ioniche a ribellarsi al dominio persiano.
Alle póleis ribelli giunse una timida solidarietà dalle altre città greche e un modesto aiuto militare da Atene e da Eretria (rispettivamente venti e cinque navi), mentre Sparta rifiutò il coinvolgimento, temendo il rischio di una guerra contro il troppo potente impero persiano. Così in pochi anni la rivolta venne domata nel sangue: nel 494 a.C., Mileto venne rasa al suolo e i suoi abitanti deportati, episodio che suscitò grande impressione ad Atene e in tutto il mondo greco. Ma la vicenda non si concluse con il ripristino del controllo persiano sulla Ionia.

La conquista persiana delle Cicladi e la battaglia di Maratona (492-490 a.C.)

L’appoggio ateniese ai ribelli diede a Dario il pretesto per attaccare direttamente la Grecia, ai suoi occhi debole e arrendevole a causa dei conflitti interni. In primo luogo egli cercò di allargare il dominio persiano quasi fino al monte Olimpo nella Grecia continentale, invadendo, nella primavera del 492 a.C., con un esercito comandato dal giovane genero Mardonio, la Tracia e costringendo Alessandro di Macedonia alla sottomissione. Nello stesso anno organizzò anche una spedizione navale per punire le città greche che si erano alleate ai ribelli ionici, ma l’impresa fallì: la flotta persiana, guidata dallo stesso Mardonio, che ne uscirà gravemente ferito, venne devastata da una tempesta al largo del monte Athos, nella penisola calcidica, e l’invasione della Grecia dovette essere rimandata. Trascorso il tempo necessario a ricostruire la flotta, i Persiani, sotto il comando di Dati e Artaferne, sferrarono un secondo attacco. Nel 490 a.C. ( carta, p. 204) si impadronirono delle isole Cicladi e posero l’assedio a Eretria, che si difese strenuamente per cinque giorni prima di cadere ed essere distrutta da Dario, che intendeva così punire tutti i Greci. Il re persiano si volse poi verso Atene. Alla spedizione partecipava anche Ippia, il tiranno ateniese che si era rifugiato alla corte persiana dopo essere stato cacciato dalla città nel 511 a.C., e che ora Dario intendeva insediare nuovamente al potere.
Accanto alla forza del suo esercito, Dario aveva intanto messo in campo una strategia politica e diplomatica volta a sfruttare le rivalità interne ai diversi gruppi dirigenti: già nel 491 a.C. aveva inviato ambascerie in alcune città greche chiedendo loro “acqua e terra”, cioè un segno di sottomissione, e «molti sul continente concessero ciò che esigeva il re persiano» (come scrive lo storico Erodoto) giacché, oltre ai Tessali, si mostrarono arrendevoli anche gli abitanti della florida isola di Egina tra il Peloponneso e l’Attica. Atene e Sparta avevano invece reagito duramente: la prima processando e mettendo a morte, su proposta dello stratego Milziade, gli ambasciatori, e la seconda più sbrigativamente gettandoli senza processo in un pozzo. Ma gli sforzi di Dario non risultarono infruttuosi, sia perché si aprì una grave divisione tra gli Spartani (i due re entrarono in conflitto e Demarato, oppostosi a Cleomene, andò in esilio presso il re persiano), sia perché Atene fu aiutata a contrastare l’avanzata persiana solo dagli opliti di Platea, una piccola città della Beozia. Il contingente spartano, il cui aiuto era stato espressamente richiesto da Atene, arrivò con grave ritardo, perché il calendario delle feste religiose – che a Sparta, a differenza che in altre città, veniva rigorosamente rispettato – imponeva in quei giorni una sospensione delle attività belliche.
Così, all’inizio di settembre del 490 a.C., sulla piana di Maratona, a nord di Atene, un esercito di 9000 ateniesi (soprattutto opliti) guidati da Milziade (membro dei Filaidi, una delle famiglie che erano sempre state avverse ai Persiani) e circa 800 opliti di Platea affrontarono un numero forse doppio di fanti persiani (le stime degli storici sulle forze in campo non sono univoche). Grazie alla straordinaria compattezza della falange oplitica e all’abilità di Milziade, i Greci riuscirono a infliggere pesanti perdite ai Persiani.
Per i Persiani, Maratona era stata poco più di una sfortunata scaramuccia. Per i Greci, al contrario, la battaglia assunse un significato simbolico di enorme valore. Da una parte la vicenda aveva mostrato chiaramente i limiti dell’organizzazione politica del mondo greco: il mancato aiuto militare di Sparta, pur se motivato da uno scrupolo religioso, aveva aumentato il rischio di sconfitta; dall’altra parte, però, la vittoria contro un nemico teoricamente molto più potente contribuì a rinsaldare nelle città greche la consapevolezza della propria forza. Atene, in particolare, usciva rafforzata dalla vicenda, ed era ora «in grado di occupare il primo posto fra tutte le città della Grecia» (come si espresse Milziade, nelle parole di Erodoto).

Una gara sportiva nata dalla storia

Secondo la tradizione, la corsa di resistenza (che consisteva nel percorrere 240 stadi, corrispondenti a 5000 metri) era stata inserita nei giochi olimpici nel 720 a.C. per premiare i dromokérykes, i corrieri che portavano i messaggi durante le battaglie. Il più celebre di questi però non vinse mai un’Olimpiade. Si trattava di Filippide e fu famoso per due imprese compiute nel 490 a.C. Nella prima corse 200 km in due giorni per andare a Sparta a chiedere aiuto nella guerra contro i Persiani; nella seconda, qualche giorno dopo, corse i 42 km che separano Maratona da Atene per dare l’annuncio della vittoria. Giunto ad Atene morì per lo sforzo. Alla ripresa dei giochi olimpici (1896) l’idea di introdurre questa tipologia di corsa, denominata “maratona” in onore di Filippide, fu proposta da Michel Bréal e accolta con entusiasmo dal governo greco (i primi giochi olimpici dell’era moderna si svolsero infatti ad Atene). La maratona è tuttora una delle gare più impegnative ed estenuanti tra le discipline dell’atletica leggera.

Terre, mari, idee - volume 1
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Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana