La conquista persiana delle Cicladi e la battaglia di Maratona (492-490 a.C.)
L’appoggio ateniese ai ribelli diede a Dario il pretesto per attaccare direttamente la Grecia, ai suoi occhi debole e arrendevole a causa dei conflitti interni. In primo luogo egli cercò di allargare il dominio persiano quasi fino al monte Olimpo nella Grecia continentale, invadendo, nella primavera del 492 a.C., con un esercito comandato dal giovane genero Mardonio, la Tracia e costringendo Alessandro di Macedonia alla sottomissione. Nello stesso anno organizzò anche una spedizione navale per punire le città greche che si
erano alleate ai ribelli ionici, ma l’impresa fallì: la flotta persiana, guidata dallo stesso Mardonio, che ne uscirà gravemente ferito, venne devastata da una tempesta al largo del monte Athos, nella penisola calcidica, e l’invasione della Grecia dovette essere rimandata. Trascorso il tempo necessario a ricostruire la flotta, i Persiani, sotto il comando di Dati e Artaferne, sferrarono un secondo attacco. Nel 490 a.C. (▶ carta, p. 204) si impadronirono delle isole Cicladi e posero l’assedio a Eretria, che si difese strenuamente per cinque giorni prima di cadere ed essere distrutta da Dario, che intendeva così punire tutti i Greci.
Il re persiano si volse poi verso Atene. Alla spedizione partecipava anche Ippia, il tiranno ateniese che si era rifugiato alla corte persiana dopo essere stato cacciato dalla città nel 511 a.C., e che ora Dario intendeva insediare nuovamente al potere.
Accanto alla forza del suo esercito, Dario aveva intanto messo in campo una strategia politica e diplomatica volta a sfruttare le rivalità interne ai diversi gruppi dirigenti: già nel 491 a.C. aveva inviato ambascerie in alcune città greche chiedendo loro “acqua e terra”, cioè un segno di sottomissione, e «molti sul continente concessero ciò che esigeva il re persiano» (come scrive lo storico Erodoto) giacché, oltre ai Tessali, si mostrarono arrendevoli anche gli abitanti della florida isola di Egina tra il Peloponneso e l’Attica. Atene e Sparta avevano invece reagito duramente: la prima processando e mettendo a morte, su proposta dello stratego Milziade, gli ambasciatori, e la seconda più sbrigativamente gettandoli senza processo in un pozzo. Ma gli sforzi di Dario non risultarono infruttuosi, sia perché si aprì una grave divisione tra gli Spartani (i due re entrarono in conflitto e Demarato, oppostosi a Cleomene, andò in esilio presso il re persiano), sia perché Atene fu aiutata a contrastare l’avanzata persiana solo dagli opliti di Platea, una piccola città della Beozia. Il contingente spartano, il cui aiuto era stato espressamente richiesto da Atene, arrivò con grave ritardo, perché il calendario delle feste religiose – che a Sparta, a differenza che in altre città, veniva rigorosamente rispettato – imponeva in quei giorni una sospensione delle attività belliche.
Così, all’inizio di settembre del 490 a.C., sulla piana di Maratona, a nord di Atene, un esercito di 9000 ateniesi (soprattutto opliti) guidati da Milziade (membro dei Filaidi, una delle famiglie che erano sempre state avverse ai Persiani) e circa
800 opliti di Platea affrontarono un numero forse doppio di fanti persiani (le stime degli storici sulle forze in campo non sono univoche). Grazie alla straordinaria compattezza della falange oplitica e all’abilità di Milziade, i Greci riuscirono a infliggere pesanti
perdite ai Persiani.
Per i Persiani, Maratona era stata poco più di una sfortunata scaramuccia. Per i Greci, al contrario, la battaglia assunse un significato simbolico di enorme valore. Da una parte la vicenda aveva mostrato chiaramente i limiti dell’organizzazione politica del mondo greco: il mancato aiuto militare di Sparta, pur se motivato da uno scrupolo religioso, aveva aumentato il rischio di sconfitta; dall’altra parte, però, la vittoria contro un nemico teoricamente molto più potente contribuì a rinsaldare nelle città greche la consapevolezza della propria forza. Atene, in particolare, usciva rafforzata dalla vicenda, ed era ora «in grado di occupare il primo posto fra tutte le città della Grecia» (come si espresse Milziade, nelle parole di Erodoto).