Una tale, si direbbe quasi, perpetuità4 di tentativi inutili potrebbe, a prima vista,
15 far credere che la ricerca stessa sia da mettersi, una volta per sempre, nella gran
classe di quelle che non hanno riuscita, perché il loro intento è immaginario, e il
mezzo che si cerca non vive che nei desideri.
Lontani per sé da un tale scoraggimento,5 e animati dall’autorevole e patriottico
invito del sig. Ministro, i sottoscritti6 non esitano a esprimere la loro persuasione,
20 che il mezzo c’era, come c’è ancora; che il non avere esso potuta esercitare la sua
naturale attività ed efficacia, è avvenuto per la mancanza di circostanze favorevoli,7
senza però, che una tale mancanza abbia potuto farlo dimenticare, né renderlo
affatto inoperoso; e che questa sua debole attività è quella che ha data occasione ai
tanti sistemi che hanno potuto sovrapporglisi come le borraccine e i licheni a un
25 albero che vegeti stentatamente.8
Questo mezzo, indicato dalla cosa stessa, e messo in evidenza da splendidi
esempi,9 è: che uno degl’idiomi, più o meno diversi, che vivono in una nazione,
venga accettato da tutte le parti di essa per idioma o lingua comune […].
In verità, pensando a que’ due gran fatti delle lingue latina e francese, non si
30 può a meno di non ridere della taccia di municipalismo10 che è stata data e si vuol
mantenere a chi pensa che l’accettazione e l’acquisto dell’idioma fiorentino sia il
mezzo che possa dare di fatto all’Italia una lingua comune. Senza il municipalismo
di Roma e di Parigi non ci sarebbe stata, né lingua latina, né lingua francese. […]
Riconosciuta poi che fosse la necessità d’un tal mezzo, la scelta d’un idioma
35 che possa servire al caso nostro, non potrebbe esser dubbia; anzi è fatta. Perché è
appunto un fatto notabilissimo questo: che, non c’essendo stata nell’Italia moderna
una capitale che abbia potuto forzare in certo modo le diverse province a adottare
il suo idioma, pure il toscano, per la virtù d’alcuni scritti famosi al loro primo
apparire, per la felice esposizione di concetti più comuni, che regna in molti altri, e
40 resa facile da alcune qualità dell’idioma medesimo, che non importa di specificar
qui, abbia potuto essere accettato e proclamato per lingua comune dell’Italia,11
dare generalmente il suo nome (così avesse potuto dar la cosa) agli scritti di tutte
le parti d’Italia, alle prediche, ai discorsi pubblici, e anche privati, che non fossero
espressi in nessun altro de’ diversi idiomi d’Italia. E la ragione per cui questa denominazione
45 sia stata accettata così facilmente, è che esprime un fatto chiaro, uno di
quelli la di cui virtù è nota a chi si sia. Ognuno infatti, che non sia preoccupato da
opinioni arbitrarie e sistematiche,12 intende subito che per poter sostituire un linguaggio
novo a quello d’un paese, bisogna prendere il linguaggio d’un altro paese.
S’aggiunga un altro fatto importante anch’esso, cioè che, o tutti o quasi tutti
50 quelli che negano al toscano la ragione di essere la lingua comune d’Italia, gli concedono
pure qualcosa di speciale, una certa qual preferenza, un certo qual privilegio
sopra gli altri idiomi d’Italia […].
È da osservarsi, del rimanente, che la denominazione di lingua toscana non
corrisponde esattamente alla cosa che si vuole e si deve volere, cioè a una lingua