Al cuore della letteratura - volume 6

Il secondo Novecento e gli anni Duemila – L'opera: La giornata d’uno scrutatore

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L’inganno dell’uguaglianza

Cap. 4


Nell’istante in cui le operazioni di voto prendono avvio, un’«Italia nascosta» inizia a sfilare davanti al seggio, forse con l’illusione di esercitare un ruolo e una responsabilità nella vita della nazione, o forse soltanto con l’eccitazione dovuta a un’esperienza che spezza la monotonia della quotidianità. Osservando un rito che a poco a poco gli appare assurdo – i malati che esprimono il proprio voto in uno stato di inconsapevolezza – Amerigo sente nascere dentro di sé un atroce sospetto: che il suo ideale di uguaglianza sia un concetto vuoto, sconfitto dalla «trappola» messa in atto dal potere per esercitare il proprio dominio.

A tutto ci si abitua, più in fretta di quanto non si creda. Anche a veder votare i ricoverati
del «Cottolengo». Dopo un poco, già sembrava la vista più usuale e monotona,
per quelli di qua del tavolo: ma di là, nei votanti, continuava a serpeggiare il fermento
dell’eccezione, della rottura della norma. Le elezioni in sé non c’entravano: chi ne
5 sapeva nulla? Il pensiero che li occupava pareva essere soprattutto quello dell’insolita
prestazione pubblica richiesta a loro, abitatori d’un mondo nascosto, impreparati
a recitare una parte di protagonisti sotto l’inflessibile sguardo di estranei, di rappresentanti
d’un ordine sconosciuto; soffrendone alcuni, moralmente e nel fisico
(avanzavano barelle con malati e arrancavano le grucce1 di sciancati2 e paralitici3),
10 altri ostentando una specie di fierezza, come d’un riconoscimento finalmente giunto
della propria esistenza. C’era dunque in questa finzione di libertà che era stata loro
imposta – si domandava Amerigo – un barlume, un presagio di libertà vera? O era
solo l’illusione, per un momento e basta, d’esserci, di mostrarsi, d’avere un nome?
Era un’Italia nascosta che sfilava per quella sala, il rovescio di quella che si sfoggia
15 al sole, che cammina le strade e che pretende e che produce e che consuma, era il segreto
delle famiglie e dei paesi, era anche (ma non solo) la campagna povera col suo
sangue avvilito, i suoi connubi incestuosi nel buio delle stalle, il Piemonte disperato
che sempre stringe dappresso il Piemonte efficiente e rigoroso, era anche (ma non
solo) la fine delle razze quando nel plasma4 si tirano le somme di tutti i mali dimenticati
20 d’ignoti predecessori, la lue5 taciuta come una colpa, l’ubriachezza solo paradiso6
(ma non solo, ma non solo), era il rischio d’uno sbaglio che la materia di cui è
fatta la specie umana corre ogni volta che si riproduce, il rischio (prevedibile del resto
in base al calcolo delle probabilità come nei giochi di fortuna) che si moltiplica per
il numero delle insidie nuove, i virus, i veleni, le radiazioni dell’uranio… il caso che
25 governa la generazione umana che si dice umana proprio perché avviene a caso…
E che cos’era se non il caso ad aver fatto di lui Amerigo Ormea un cittadino
responsabile, un elettore cosciente, partecipe del potere democratico, di qua del
tavolo del seggio, e non – di là del tavolo – per esempio, quell’idiota7 che veniva
avanti ridendo come se giocasse?

 >> pag. 942 

30 Di fronte al presidente del seggio, l’idiota scattò sull’attenti, fece il saluto militare,
porse i documenti: carta d’identità, certificato elettorale, tutto in regola.
– Bravo, – fece il presidente.
Quello prese la scheda, la matita, sbatté di nuovo i tacchi, rifece il saluto, marciò
sicuro verso la cabina.
35 – Questi sì che sono elettori come si deve, – disse forte Amerigo, pur rendendosi
conto che era una battuta banale e di cattivo gusto.
– Poveretti, – disse la scrutatrice in blusa bianca, e poi: – Mah! Beati loro…
Amerigo, velocemente, pensò al Discorso della Montagna,8 alle varie interpretazioni
dell’espressione «poveri di spirito», a Sparta e a Hitler che sopprimevano gli
40 idioti e i deformi; pensò al concetto d’eguaglianza, secondo la tradizione cristiana
e secondo i principi dell’89,9 poi alle lotte della democrazia durante tutto un secolo
per imporre il suffragio universale, agli argomenti che opponeva la polemica
reazionaria, pensò alla Chiesa che da ostile era diventata favorevole; e ora al nuovo
meccanismo elettorale della «legge-truffa» che avrebbe dato maggior potere al voto
45 di quel povero idiota che al suo.
Ma questo suo implicito considerare il proprio voto come superiore a quello
dell’idiota, non era già un riconoscere che la vecchia polemica antiegualitaria aveva
la sua parte di ragione?
Altro che «legge-truffa». La trappola era scattata da un pezzo. La Chiesa, dopo
50 un lungo rifiuto, aveva preso in parola l’eguaglianza dei diritti civili di tutti gli
uomini, ma al concetto d’uomo come protagonista della Storia aveva sostituito
quello di carne d’Adamo misera e infetta e che pur sempre Dio può salvare con
la Grazia. L’idiota e il «cittadino cosciente» erano uguali in faccia all’onniscienza
e all’eterno, la Storia era restituita nelle mani di Dio, il sogno illuminista messo
55 in scacco quando pareva che vincesse. Lo scrutatore Amerigo Ormea si sentiva un
ostaggio catturato dall’esercito nemico.

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Il seggio allestito nel parlatorio del Cottolengo, che sembra suggerire al protagonista nuove conquiste positive della civiltà umana, è in realtà il luogo in cui presto si manifesta la dimensione irrazionale della Natura, rappresentata dagli individui storpi e menomati che sfilano davanti al tavolo dell’urna di voto. Osservandoli, Amerigo comincia a nutrire dubbi sull’idea di uguaglianza per la quale si è sempre battuto, fino ad arrivare a pensare che essa si sia in realtà trasformata in uno strumento di potere in mano alla Chiesa e al partito che ne rappresenta gli orientamenti in sede politica, la Democrazia cristiana.

La messa in discussione delle proprie certezze, in particolare, avviene quando Ormea ammette implicitamente, tra sé e sé, che il suo voto di cittadino cosciente sia da considerarsi superiore a quello di un individuo incapace di intendere e di volere: questa ammissione equivale a riconoscere le ragioni delle ideologie antiegualitarie (Ma questo suo implicito considerare il proprio voto come superiore a quello dell’idiota, non era già un riconoscere che la vecchia polemica antiegualitaria aveva la sua parte di ragione?, rr. 46–48). Ma è la stessa concezione di umanità a essere sottoposta al dubbio: agli occhi del protagonista, dopo aver a lungo rifiutato l’idea di uguaglianza la Chiesa l’ha fatta propria, sostituendo però al concetto umanistico e illuministico dell’uomo come artefice della propria fortuna la necessità, per lui, di accettare il suo essere carne d’Adamo misera e infetta (r. 52).

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Le scelte stilistiche

Il brano, come tutto il romanzo, è narrato in terza persona, ma la vicenda è interamente focalizzata sullo stato d’animo di Amerigo e sul suo monologo dialettico, composto da pensieri che l’autore riferisce quasi in presa diretta e che paiono avvitarsi su sé stessi, senza consentire l’individuazione di uno spiraglio rassicurante. L’oscillare interiore delle inquietudini del protagonista è volutamente reso da Calvino con una prosa concitata e affannosa, in cui la frequenza delle proposizioni interrogative (solo in questo breve passo se ne contano cinque) esprime quel groviglio di dilemmi e di ripensamenti che costituiscono la testimonianza di un uomo le cui certezze ideologiche sono ormai sconvolte.

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 In che cosa consiste, per i votanti del Cottolengo, la rottura della norma?


2 Lo scrutatore Amerigo Ormea si sentiva un ostaggio catturato dall’esercito nemico (rr. 55–56): che cosa significa questa frase che conclude il brano?

ANALIZZARE

3 L’autore ricorre spesso alla figura retorica dell’elencazione: individuane qualche esempio e spiegane l’effetto espressivo.


4 Rintraccia i discorsi indiretti liberi presenti nel testo. Qual è la loro funzione?

INTERPRETARE

5 Perché, a tuo giudizio, l’autore ripete più volte l’espressione ma non solo (rr. 16, 18–19, 21)? E perché la colloca tra parentesi tonde?


6 Come spieghi l’apparente contraddizione della scrutatrice che prima apostrofa i malati del Cottolengo con Poveretti e subito dopo si corregge con la frase Mah! Beati loro… (r. 37)?

PRODURRE

7 Mantenendo inalterati gli argomenti e i ragionamenti presenti nel brano, scrivi in prima persona un testo narrativo di circa 20 righe, la cui voce narrante sia quella di Amerigo Ormea.


 T6 

Il confine dell’umano

Cap. 12


A un certo punto Amerigo Ormea è incaricato di andare a raccogliere il voto dei malati che non possono lasciare il letto. È qui che lo scrutatore si pone una serie di domande sui confini di ciò che è umano, trovando una risposta provvisoria nell’amore dimostrato da un vecchio contadino nei confronti del figlio.

Un certo numero degli iscritti a votare del «Cottolengo» erano malati che non potevano
lasciare il letto e la corsia. La legge prevede in questi casi che tra i componenti
del seggio se ne scelgano alcuni per costituire un «seggio distaccato» che vada a
raccogliere i voti dei malati nel «luogo di cura» cioè là dove si trovano. Si misero
5 d’accordo per formare questo «seggio distaccato» con il presidente, il segretario, la
scrutatrice in bianco e Amerigo. Il «seggio distaccato» aveva in dotazione due scatole,
una con le schede da votare e l’altra per raccogliere le schede votate, un fascicolo
speciale come registro e l’elenco dei «votanti nel luogo di cura».

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Presero le cose e andarono. Li guidava su per le scale un ricoverato di quelli
10 «bravi», un giovanotto piccolo e tozzo che, nonostante i brutti lineamenti, la zucca
rapata e subito sotto i sopraccigli spessi e uniti, si dimostrava all’altezza del suo
compito e premuroso, tanto che pareva finito lì per sbaglio, per via della faccia. –
In questo reparto ce n’è quattro –. Ed entrarono.
Era un camerone lungo e si andava tra due bianche file di letti. L’occhio, uscendo
15 dall’ombra della scala, provava un senso d’abbagliamento, doloroso, che forse
era soltanto una difesa, quasi un rifiuto di percepire in mezzo al bianco d’ogni
monte di lenzuola e guanciali la forma di colore umano che ne affiorava; oppure
una prima traduzione, dall’udito nella vista dell’impressione d’un grido acuto,
animale, continuo ghiii… ghiii… ghiii… che si levava da un qualche punto della
20 corsia, a cui rispondeva a tratti da un altro punto un sussultare come di risata o
latrato: gaa! Gaa! Gaa! Gaa!
Il grido acuto proveniva da una minuscola faccia rossa, tutta occhi e bocca
aperta in un fermo riso, d’un ragazzo a letto, in camicia bianca, seduto, ossia che
spuntava col busto dall’imboccatura del letto come una pianta viene su da un
25 vaso, come un gambo di pianta che finiva (non c’era segno di braccia) in quella
testa come un pesce, e questo ragazzo-pianta-pesce (fino a dove un essere umano
può dirsi umano? si chiedeva Amerigo) si muoveva su e giù inclinando il busto a
ogni «ghiii… ghiii…» E il «gaa! Gaa!» che gli rispondeva era d’uno che nel letto
prendeva meno forma ancora, eppure protendeva una testa boccuta, avida, congestionata,
30 e doveva avere braccia – o pinne – che si muovevano sotto le lenzuola in
cui era come insaccato, (fino a che punto un essere può dirsi un essere, di qualsiasi
specie?), e altri suoni di voci gli facevano eco, eccitate forse dall’apparire di persone
nella corsia, e anche un ansare e gemere, come d’un urlo che stesse per levarsi e
subito si soffocasse, questo d’un adulto.
35 Erano, in quell’infermeria, parte adulti – pareva – parte ragazzi e bambini, se
si doveva giudicare dalle dimensioni e da segni, come i capelli o il colore della
pelle, che contano tra le persone di fuori. Uno era un gigante con la smisurata testa
da neonato tenuta ritta dai cuscini: stava immobile, le braccia nascoste dietro la
schiena, il mento sul petto che s’alzava in un ventre obeso, gli occhi che non guardavano
40 nulla, i capelli grigi sulla fronte enorme, (un essere anziano, sopravvissuto
in quella lunga crescita di feto?), impietrito in una tristezza attonita.
Il prete, quello col basco,1 era già nella corsia, ad aspettarli, anche lui con in
mano un suo elenco. Vedendo Amerigo si fece scuro in viso. Ma Amerigo in quel
momento non pensava più all’insensato motivo per cui si trovava lì; gli pareva
45 che il confine di cui ora gli si chiedeva il controllo fosse un altro: non quello della
«volontà popolare», ormai perduto di vista da un pezzo, ma quello dell’umano.
Il prete e il presidente s’erano avvicinati alla Madre2 che dirigeva quel reparto,
coi nomi dei quattro iscritti a votare, e la Madre li indicava. Altre suore venivano
portando un paravento, un tavolino, tutte le cose necessarie per fare le elezioni lì.
50 Un letto alla fine della corsia era vuoto e rifatto; il suo occupante, forse già in
convalescenza, era seduto su una seggiola da una parte del letto, vestito d’un pigiama
di lana con sopra una giacca, e seduto dall’altra parte del letto era un vecchio
col cappello, certamente suo padre, venuto quella domenica in visita. Il figlio era

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un giovanotto, deficiente, di statura normale ma in qualche modo – pareva – rattrappito
55 nei movimenti. Il padre schiacciava al figlio delle mandorle, e gliele passava
attraverso al letto, e il figlio le prendeva e lentamente portava alla bocca. E il
padre lo guardava masticare.
I ragazzi–pesce scoppiavano nei loro gridi, e ogni tanto la Madre si staccava dal
gruppo di quelli del seggio per andare a zittire uno troppo agitato, ma con scarso
60 esito. Ogni cosa che accadeva nella corsia era separata dalle altre, come se ogni
letto racchiudesse un mondo senza comunicazione col resto, salvo per i gridi che
s’incitavano uno con l’altro, in crescendo, e comunicavano un’agitazione generale,
in parte come un chiasso di passeri, in parte dolorosa, gemente. Solo l’uomo con
la testa enorme stava immobile, come non sfiorato da nessun suono.
65 Amerigo continuava a guardare il padre e il figlio. Il figlio era lungo di membra
e di faccia, peloso in viso e attonito,3 forse mezzo impedito da una paralisi. Il
padre era un campagnolo vestito anche lui a festa e in qualche modo, specie nella
lunghezza del viso e delle mani, assomigliava al figlio. Non negli occhi: il figlio
aveva l’occhio animale e disarmato,4 mentre quello del padre era socchiuso e sospettoso,
70 come nei vecchi agricoltori. Erano voltati di sbieco, sulle loro seggiole ai
due lati del letto, in modo da guardarsi fissi in viso, e non badavano a niente che
era intorno. Amerigo teneva lo sguardo su di loro, forse per riposarsi (o schivarsi)
da altre viste, o forse ancor di più, in qualche modo affascinato.
Intanto gli altri facevano votare uno in un letto. In questo modo: gli mettevano
75 intorno il paravento, col tavolino dietro, e per lui la suora, perché era paralitico,
votava. Tolsero il paravento, Amerigo lo guardò: era una faccia viola, riversa, come
un morto, a bocca spalancata, nude gengive, occhi sbarrati. Più che quella faccia,
nel guanciale affossato, non si vedeva; era duro come un legno, tranne un ansito5
che gli fischiava al fondo della gola.
80 Ma cosa hanno il coraggio di far votare? si domandò Amerigo, e solo allora si
ricordò che toccava a lui impedirlo.
Già rizzavano il paravento a un altro letto. Amerigo li seguì. Un’altra faccia
glabra, 6 tumida,7 irrigidita a bocca aperta e storta, coi bulbi degli occhi fuori delle
palpebre senza ciglia. Questo però era inquieto, smanioso. – Ma c’è un errore! –
85 disse Amerigo, – come può votare, questo qui?
– Eppure, c’è il suo nome, Morin Giuseppe, – fece il presidente. E al prete: – È
proprio lui?
– Eh, qui c’è il certificato, – disse il prete: – impedimento motorio agli arti.
Madre, è lei, vero, che l’aiuta?
90 – Ma sì, ma sì, povero Giuseppe! – fece la Madre.
Quello sobbalzava come colto da scosse elettriche, gemendo.
Amerigo, ora toccava a lui. Si strappò con sforzo dai suoi pensieri, da quella
lontana zona di confine appena intravista – confine tra che cosa e che cosa? – e
tutto quello che era al di qua e al di là sembrava nebbia.
95 – Un momento, – disse, con una voce senz’espressione, sapendo di ripetere
una formula, di parlare nel vuoto, – è in grado l’elettore di riconoscere la persona
che vota per lui? È in grado di esprimere la sua volontà? Ehi, dico a lei, signor Morin:
è in grado?

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– La solita storia, – disse il prete al presidente, – la Madre che sta qui con loro
100 giorno e notte, gli chiedono se la conosce… – e scosse il capo, con una risatina.
Anche la Madre sorrise, ma d’un sorriso che era per tutti e per nulla. Il problema
d’esser riconosciuta, pensò Amerigo, per lei non esisteva; e gli venne da confrontare
lo sguardo della vecchia suora con quello del contadino venuto a passare la domenica
al Cottolengo per fissare negli occhi il figlio idiota. Alla Madre non occorreva il
105 riconoscimento dei suoi assistiti, il bene che ritraeva da loro – in cambio del bene
che loro dava – era un bene generale, di cui nulla andava perso. Invece il vecchio
contadino fissava il figlio negli occhi per farsi riconoscere, per non perderlo, per
non perdere quel qualcosa di poco e di male, ma di suo, che era suo figlio.
La Madre, se da quel tronco d’uomo col certificato elettorale non veniva alcun
110 segno di riconoscimento, era la meno preoccupata di tutti: eppure, si dava da fare a
sbrigare quella formalità delle elezioni come una delle tante che il mondo di fuori
imponeva e che, per vie che lei non si curava d’indagare, condizionavano l’efficienza
del suo servizio; e così cercava d’alzare quel corpo con le spalle sui guanciali,
quasi che potesse far la figura di stare seduto. Ma nessuna posizione s’addiceva
115 più a quel corpo: le braccia, nel camicione bianco, erano rattrappite, con le mani
piegate in dentro, e anche le gambe aveva allo stesso modo, come se le membra
cercassero di tornare dentro se stesse a cercare un rifugio.
− Ma, parlare, – fece il presidente, con un dito alzato, come chiedendo scusa
del dubbio, – non può proprio?
120 − Parlare no, signor presidente, – disse il prete, – eh, parli, tu? No, non parli?
Vede che non parla. Ma capisce. Lo sai chi è lei, sì? È buona? Sì? Capisce. Del resto
ha già votato l’altra volta.
− Sì, sì, – disse la Madre, – questo qui ha sempre votato.
− Perché è così, ma poi capisce… – disse la scrutatrice in bianco: una frase che
125 non si capiva se fosse una domanda, un’affermazione, o una speranza. E si rivolse
alla Madre, come a coinvolgere nella sua domanda-affermazione-speranza anche
lei: – Capisce, neh?
− Eh… – la Madre allargò le braccia e guardò in su.
− Basta con questa commedia, – disse Amerigo, secco. – Non può esprimere la
130 sua volontà, cioè non può votare. È chiaro? Un po’ più di rispetto. Non c’è bisogno
di far altre parole.
(Voleva dire «un po’ più di rispetto» verso le elezioni oppure «un po’ più di
rispetto» verso la carne che soffre? Non lo specificò).
Si aspettava che le sue parole suscitassero una battaglia. Invece niente. Nessuno
135 protestò. Con un sospiro, scuotendo il capo, guardavano l’uomo rattratto.8 – Certo,
è peggiorato, – convenne il prete, a bassa voce. – Ancora due anni fa, votava.
Il presidente mostrò il registro ad Amerigo: – Cosa si fa: lasciamo in bianco o
facciamo un verbale a parte?
– Lasciamo. Lasciamo perdere, – fu tutto quello che seppe dire Amerigo; pensava
140 a un’altra domanda: se era più umano aiutarli a vivere o a morire, e anche a
quella non avrebbe saputo dare una risposta.
Così, aveva vinto la sua battaglia: il voto del paralitico non era stato estorto.
Ma un voto, cosa contava un voto? Questo era il discorso che gli faceva il «Cottolengo
» con i suoi gemiti e i suoi gridi, vedila la tua volontà popolare che scherzo

 >> pag. 947 

145 diventa, qua nessuno ci crede, qua ci si vendica dei poteri del mondo, era meglio
lasciarlo passare anche quel voto, era meglio che quella parte di potere guadagnata
così restasse incancellabile, inscindibile dalla loro autorità, che se la portassero su
di loro per sempre.
– E il 27? E il 15? – chiese la Madre. – Gli altri che dovevano votare, votano?
150 Il prete, data un’occhiata all’elenco, s’era avvicinato a un letto. Tornò scuotendo
il capo: – Anche quello là, sta male.
− Non riconosce? – fece la scrutatrice, come ci s’informa d’un parente.
− È peggiorato. Peggiorato, – fece il prete. – Non se ne fa niente.
− Anche questo, allora, lo depenniamo, – fece il presidente. – E il quarto? Dov’è
155 il quarto?
Ma il prete ormai l’aveva capita, voleva solo tagliar corto. – Se non può uno
non possono neanche gli altri; andiamo, andiamo, – e spingeva per il braccio il
presidente che cercava di controllare i numeri dei letti e a un certo momento si
fermò davanti al gigante immobile dalla testa enorme, e cercò nell’elenco come
160 per verificare se il numero del quarto votante era quello lì, ma il prete lo spingeva
via: – Andiamo, andiamo, vedo che qui sono tutti mal messi…
− Gli altri anni glielo facevano fare, – diceva la Madre, come se parlasse di
iniezioni.
− Eh, adesso sono peggiorati, – concluse il prete. – Si sa, il malato, o guarisce,
165 o peggiora.
− Non tutti sono in grado di votare, si capisce, poveretti, – disse la scrutatrice
come scusandosi.
− Oh, poveri noi! – rise la Madre. – Ce n’è che non possono votare, ce n’è. Vedesse
lì nella veranda…
170 − Si possono vedere? – chiese la scrutatrice.
− Ma sì, venite di qua, – e aperse una porta a vetri.
− Se sono di quelli che fanno impressione, io ho paura, – disse il segretario.
Anche Amerigo s’era tirato indietro.
La Madre sorrideva sempre: – Ma no, perché paura, buoni figli…
175 La porta dava su una terrazza, una specie di veranda; e c’era un semicerchio
di seggioloni con seduti tanti giovanotti, rapati in testa e incolti di barba, con le
mani poggiate sui braccioli. Portavano vestaglie a righe blu i cui lembi scendevano
a terra nascondendo il vaso che era sotto a ogni seggiolone, ma il puzzo e rivoli di
trabocco si perdevano sul pavimento, tra le loro gambe nude dai piedi calzati in
180 zoccoli. Anche tra loro c’era quella somiglianza fraterna che regna al «Cottolengo»
e anche l’espressione era simile, nelle bocche aperte, senza forma, maldentate: d’uno
sghignazzare che poteva anche essere un piangere; e lo strepito che mandavano
si fondeva in uno spento blaterio9 di risa e pianti. In piedi davanti a loro, un assistente
– uno di quei ragazzi brutti ma bravi – teneva l’ordine, con in mano una
185 canna, e interveniva quando uno voleva toccarsi, o alzarsi, o attaccava briga con
gli altri, o faceva troppo strepito. Sui vetri della veranda brillava un po’ di sole, e i
giovanotti ridevano ai riflessi o passavano mutevoli all’ira vociando contro l’uno o
l’altro, e poi subito dimenticavano.
Quelli del seggio guardarono un po’, dalla soglia, poi si ritirarono, ripercorsero

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190 la corsia. La Madre li precedeva. – Lei è una santa, – disse la scrutatrice. Non ci
fossero anime come lei, questi infelici…
La vecchia suora muoveva lì intorno gli occhi chiari e lieti, come si trovasse in
un giardino pieno di salute, e rispondeva alle lodi con quelle frasi che si sanno,
improntate a modestia e ad amore del prossimo, ma naturali, perché tutto doveva
195 essere molto naturale per lei, non ci dovevano essere dubbi, dacché aveva scelto
una volta per tutte di vivere per loro.
Anche Amerigo avrebbe voluto dirle delle parole di ammirazione e simpatia, ma
quel che gli veniva da dire era un discorso sulla società come avrebbe dovuto essere
secondo lui, una società in cui una donna come lei non sarebbe considerata più una
200 santa perché le persone come lei si sarebbero moltiplicate, anziché star relegate in
margine, allontanate nel loro alone di santità, e vivere come lei, per uno scopo universale,
sarebbe stato più naturale che vivere per qualsiasi scopo particolare, e sarebbe
stato possibile a ognuno esprimere se stesso, la propria carica sepolta, segreta, individuale,
nelle proprie funzioni sociali, nel proprio rapporto con il bene comune…
205 Ma più s’ostinava a pensare queste cose, più s’accorgeva che non era tanto questo
che gli stava a cuore in quel momento, quanto qualcos’altro per cui non trovava
parole. Insomma, alla presenza della vecchia suora si sentiva ancora nell’ambito
del suo mondo, confermato nella morale alla quale aveva sempre (sia pur per approssimazione
e con sforzo) cercato di modellarsi, ma il pensiero che lo rodeva lì
210 nella corsia era un altro, era ancora la presenza di quel contadino e di suo figlio,
che gli indicavano un territorio per lui sconosciuto.
La suora aveva scelto la corsia con un atto di libertà, aveva identificato – respingendo
il resto del mondo – tutta se stessa in quella missione o milizia, eppure
– anzi: proprio per questo – restava distinta dall’oggetto della sua missione, padrona
215 di sé, felicemente libera. Invece il vecchio contadino non aveva scelto nulla, il
legame che lo teneva stretto alla corsia non l’aveva voluto lui, la sua vita era altrove,
sulle sue terre, ma faceva alla domenica il viaggio per veder masticare suo figlio.
Ora che il giovane idiota aveva terminato la sua lenta merenda, padre e figlio,
seduti sempre ai lati del letto, tenevano tutti e due appoggiate sulle ginocchia le
220 mani pesanti d’ossa e di vene, e le teste chinate per storto – sotto il cappello calato
il padre, e il figlio a testa rapata come un coscritto10 – in modo di continuare a
guardarsi con l’angolo dell’occhio.
Ecco, pensò Amerigo, quei due, così come sono, sono reciprocamente necessari.
E pensò: ecco, questo modo d’essere è l’amore.
225 E poi: l’umano arriva dove arriva l’amore; non ha confini se non quelli che
gli diamo.

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I contenuti tematici

Tra le corsie in cui va a raccogliere il voto di chi non può recarsi al seggio, Amerigo Ormea vede con i propri occhi ciò che di umano resta in creature che perdono letteralmente – o che non hanno mai avuto – la forma e i segni di quello che noi siamo soliti chiamare umanità. L’allontanamento dal parlatorio in cui è insediato il seggio è quindi anche un allontanamento dalla “normalità”, accompagnato da una serie di dubbi su quali siano davvero i confini dell’umano e dell’esistenza stessa: fino a dove un essere umano può dirsi umano? (rr. 26–27); fino a che punto un essere può dirsi un essere, di qualsiasi specie? (rr. 31–32).

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Quella che Amerigo ha di fronte è una sofferenza così diversa, così “oltre” i consueti parametri di lettura del reale, da rendere inservibili le chiavi interpretative che egli ha sempre impiegato nel suo approccio analitico alla realtà. Le soluzioni ideologiche tradizionali non bastano più dinanzi all’impatto violento che la natura ha sull’esistenza umana, e la convinzione di poter costruire una società razionale è messa radicalmente in dubbio dalla totale alterità del mondo sommerso che Amerigo vede qui per la prima volta.

Di fronte a questo scacco conoscitivo, Amerigo Ormea trova una via di uscita che, se non definitiva, è almeno utile a formulare una diversa idea di umanità. La svolta avviene grazie al confronto tra due figure che lo colpiscono: una suora dagli occhi chiari e lieti (r. 192) che aveva scelto una volta per tutte di vivere per loro (rr. 195–196), cioè per i pazienti dell’istituto; e un contadino seduto su una sedia a schiacciare mandorle per il figlio malato. Tra i due c’è una sostanziale differenza: se di fronte alla suora egli si sente ancora nell’ambito del suo mondo (rr. 207–208), il contadino e il figlio rappresentano un territorio per lui sconosciuto (r. 211). La prima ha scelto la carità come missione, restando per questo distinta dall’oggetto dei suoi gesti pietosi, libera e padrona di sé; il secondo, al contrario, non aveva scelto nulla (r. 215), e si trova ad accudire il figlio per caso, o per destino, quando la sua vita avrebbe dovuto essere altrove, sulle sue terre (rr. 216–217). Di fronte a questa visione, Amerigo pensa che questo modo d’essere è l’amore (r. 224): l’amore non è qualcosa che si persegua razionalmente, è qualcosa che capita. Ed è sulla base di questo nuovo criterio, quello dei legami affettivi che esistono oltre la nostra razionalità, che egli riesce finalmente a delineare i confini dell’umano: l’umano arriva dove arriva l’amore (r. 225).
Calvino è conscio di come questa affermazione non esaurisca la complessità del reale, e infatti essa non è posta in chiusura del testo, ma un poco più arretrata (nel dodicesimo dei quindici capitoli). Tuttavia, è in questa provvisoria definizione dell’umano che la sofferta ricerca filosofica di Amerigo Ormea raggiunge il punto più avanzato.

Le scelte stilistiche

Il doloroso e disorientante avvicinamento ai luoghi più nascosti del Cottolengo è reso stilisticamente con il ricorso a figure retoriche che rivelano l’impossibilità di denotare e spiegare esattamente la realtà. Nell’apertura del brano, una sinestesia* e un’onomatopea* esprimono la confusione percettiva dello scrutatore: la prima mescola le forti sensazioni uditive e visive di Amerigo (il bianco d’ogni monte di lenzuola e il colore umano che ne affiorava, rr. 16–17, accostati a un grido acuto, animale, rr. 18–19); la seconda, invece, riporta l’unico incomprensibile messaggio (ghiii… ghiii… ghiii… che si levava da un qualche punto della corsia […] Gaa! Gaa! Gaa!, rr. 19–21) che Ormea riesce a cogliere tra le voci del lungo camerone.

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Qual è la funzione del seggio distaccato (r. 3)?


2 Come avviene il voto di coloro che si trovano a letto?


3 Con quale intento il vecchio contadino fissava il figlio negli occhi (rr. 106–107)?


ANALIZZARE

4 Per descrivere ciò che vede Amerigo, il narratore ricorre più volte a paragoni con il mondo animale. Rintracciali nel testo.


INTERPRETARE

5 Perché Amerigo dice che al Cottolengo ci si vendica dei poteri del mondo (r. 145)?


Al cuore della letteratura - volume 6
Al cuore della letteratura - volume 6
Dal Novecento a oggi