Italo Calvino – L'opera

La giornata d’uno scrutatore

1 Genesi e composizione

Opera breve ma complessa e problematica, La giornata d’uno scrutatore è, come ha scritto Calvino stesso, un racconto «più di riflessioni che di fatti»: una testimonianza sentita della condizione esistenziale dell’autore, dei suoi dubbi e della sua sfiducia negli esiti della democrazia italiana dopo la Liberazione.

L’idea iniziale del libro nasce da una vicenda direttamente vissuta dall’autore: durante lo svolgimento delle elezioni politiche del 7 giugno 1953, in cui è candidato nelle file del Partito comunista, Calvino fa una breve visita alla Piccola Casa della Divina Provvidenza – l’istituto torinese di carità più noto con il nome di Cottolengo – e assiste a una discussione tra rappresentanti di lista democristiani e comunisti. La stesura del romanzo inizia immediatamente dopo questo episodio, ma s’interrompe presto perché l’esperienza vissuta risulta troppo breve per fornire materiale sufficiente allo scrittore.
Calvino decide di tornare al Cottolengo – questa volta come scrutatore – otto anni dopo, in occasione delle elezioni amministrative del 1961. In quest’occasione si trattiene più a lungo (due giorni) nella casa di cura, andando anche a raccogliere tra le corsie, dove si trovano invalidi di ogni tipo, quei voti che, secondo la sua testimonianza, finiscono tutti a favore della Democrazia cristiana. L’elaborazione della scrittura continua però a essere faticosa («restai completamente impedito dallo scrivere per molti mesi», racconta Calvino), e solo nel 1963 l’autore completa la sofferta gestazione dell’opera.

Ispirato dunque a una vicenda autobiografica, l’opera ruota intorno ai pensieri e agli stati d’animo del protagonista (alter ego dell’autore), l’intellettuale Amerigo Ormea. A contatto con una realtà sconosciuta, che presenta aspetti amari e dolorosi, questi vive un traumatico sconvolgimento della propria coscienza politica e della propria visione del mondo.
I temi toccati dal libro vanno ben oltre l’orizzonte cronologico in cui esso matura, quello in cui si collocano le altre opere del filone realistico: l’autore allarga infatti la riflessione dal piano etico–politico a quello filosofico della «negatività della realtà», dell’«infelicità di natura», fino a mettere in scena una profonda e radicale crisi ideologicoesistenziale di portata assoluta. Da scritto ispirato a un’esperienza personale e contingente, che riprende i motivi tipici della rappresentazione naturalistica e della polemica sociale, La giornata d’uno scrutatore diventa in tal modo un documento di una più sofferta e ampia meditazione filosofica.

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Nell’ambito della composita carriera letteraria dell’autore, quest’opera segna il momento di passaggio dalla prima fase neorealista, caratterizzata dall’indagine sui problemi della contemporaneità, alla seconda, rappresentata dalla letteratura cosmicomica, dal Postmoderno e dalla narrativa potenziale e tesa al superamento delle forme e delle strutture tradizionali della narrazione. Il racconto della vicenda di Amerigo Ormea costituisce dunque un «libro cerniera, dove converge tutta la prima produzione artistica e tutta la riflessione intellettuale di Calvino di quel periodo, e da dove parte il programma futuro» (Antonello).

2 Il resoconto di una crisi globale

Il naufragio delle certezze

Diviso in 15 brevi capitoli, il romanzo narra la giornata che il giovane militante comunista Amerigo Ormea trascorre presso la sede cui è stato destinato per svolgere il compito di scrutatore: il seggio allestito all’interno della Piccola Casa della Divina Provvidenza, il celebre istituto religioso fondato nel 1832 da don Giuseppe Cottolengo (1786–1842) con lo scopo «di dare asilo, tra i tanti infelici, ai minorati, ai deficienti, ai deformi, giù giù fino alle creature nascoste che non si permette a nessuno di vedere».
Dopo i primi capitoli, che descrivono il quadro politico contemporaneo, segnato dai forti contrasti intorno all’approvazione della legge truffa ► , e la composizione del seggio, con il procedere della giornata i confini spaziali della sezione elettorale sembrano ampliarsi, e la drammatica realtà del Cottolengo, con i suoi ospiti sofferenti, incrina a poco a poco la solidità del sistema intellettuale del militante comunista. Da un’osservazione esterna e realistica del mondo “normale”, sulla quale agisce la visione illuministico– marxista di Ormea, si passa così, gradualmente, all’indagine del mondo interiore del protagonista, il quale scopre l’impossibilità di interpretare una realtà che, secondo gli schemi ideologici con cui è abituato a leggere la società e i rapporti tra gli uomini, gli appare assurda.

La giornata d’uno scrutatore è dunque il diario di una crisi interiore, che coinvolge Amerigo (e Calvino stesso) e la sua visione del mondo. Assegnato dal Partito a quella sede anche per controllare i giochi del potere democristiano, che a giudizio degli oppositori sfrutta la condizione dei ricoverati per ottenere voti a favore della coalizione di governo, egli accetta il compito: sebbene non sia un uomo di facili illusioni, è convinto di poter comprendere e disciplinare l’alterità del luogo facendo ricorso alle proprie sicure coordinate ideologiche.

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In un primo momento, infatti, in base al suo «umanesimo totale» – vale a dire alla fiducia che egli ripone nelle possibilità umane di costruire un mondo migliore –, Ormea è convinto che un’organizzazione comunista della società potrebbe sopperire al dolore e alle sofferenze («solo noi potremo organizzare istituti cento volte più efficienti di questo!») molto meglio di una cultura religiosa che si affida solo alla preghiera e accetta con rassegnato fatalismo «la pochezza umana».

Tuttavia, il contesto in cui si trova a operare il protagonista – uno spazio assolutamente anomalo, una vera e propria “città nella città” soggetta a regole diverse da quelle che valgono per il mondo esterno – svela l’insufficienza dei parametri intellettuali propri del militante politico, che si trova spiazzato di fronte a un’umanità sofferente e degradata, un «popolo ombra».
Il drammatico impatto con un microcosmo di dolore e malattia costringe Amerigo a riflettere meglio sul senso della propria azione e della vita stessa. Così, a contatto con quell’ambiente per lui inabitabile, egli comprende che la propria concezione di individuo «dotato di tutte le sue facoltà» è un’idea astratta, e che forse anche i concetti di «progresso, libertà, giustizia» sono «soltanto idee dei sani (o di chi potrebbe – in altre condizioni – essere sano) cioè idee di privilegiati, cioè idee non universali».

Quello in cui Amerigo si inoltra è un universo “altro”, che, dal punto di vista razionale, gli appare come un complesso nodo interpretativo, il cui garbuglio sembra manifestarsi perfino nel suono ridicolo del nome dell’ospizio, utilizzato dal popolo torinese in frasi di scherno quale simbolo di deficienza e stupidità: «Sommava dunque, il nome “Cottolengo”, un’immagine di sventura a un’immagine ridicola (come spesso avviene nella risonanza popolare anche ai nomi dei manicomi, delle prigioni), e insieme di provvidenza benefica, e insieme di potenza organizzativa, e adesso poi, con lo sfruttamento elettorale, d’oscurantismo, medioevo, malafede».
In questo straziante «lazzaretto», Amerigo cerca in un primo momento di salvare le ragioni della propria fiducia nel perfezionamento umano, osservando gli spazi, le persone, i gesti con la speranza di inquadrarli nelle maglie del proprio sistema di pensiero. La sua filosofia finisce per rivelarsi però incapace di sfidare l’irregolare molteplicità della realtà e di proporre risposte e soluzioni praticabili alla malattia e al dolore dell’individuo e della società.
Tale realtà, irriducibile a qualsiasi schema ideologicamente consolatorio, è simboleggiata dalla processione di invalidi che sfila davanti al seggio e dai malati gravissimi che il protagonista vede nelle corsie: essi contraddicono l’idea di una possibile armonia tra l’umanità, la Storia e la natura, la quale si presenta qui nel suo aspetto più degradato, in una dimensione ambigua e non razionalizzabile. Il sogno illuminista del progresso si rovescia allora nel dubbio e in un groviglio di interrogativi che attanagliano la mente di Amerigo.

 >> pag. 940 

Così, mettendo in discussione le proprie convinzioni ideologiche e i facili ottimismi a cui si è conformato fino a quel momento, il protagonista giunge a comprendere l’insanabile contraddittorietà dell’esistenza e a teorizzare un mondo privo di bellezza, nel quale la deformazione diventa la regola e il senso della vita è esclusivamente affidato agli atti concreti che aiutano a superare le sofferenze. La visione di un padre che nutre pietosamente il figlio invalido mostra ad Amerigo che l’unica risposta possibile al caos della condizione umana è l’amore: una risposta che non dipende più da una dottrina politica, ma si costruisce soltanto a contatto con la difficoltà del vivere. Si spiega così anche il nome scelto dall’autore per il protagonista di questo viaggio nella sofferenza: Amerigo allude infatti ad Amerigo Vespucci, che ha esplorato il nuovo mondo come lo scrutatore della Giornata sprofonda in uno spazio a lui sconosciuto, mentre il cognome Ormea è originato proprio dall’anagramma della parola “amore”

3 Le caratteristiche dello stile

Calvino, come ha egli stesso affermato, non vuole fare della Giornata una fredda cronaca della realtà del Cottolengo (sul quale, peraltro, esisteva già «una vasta documentazione giornalistica», ricorda l’autore). Il libro non è dunque un pamphlet, ma neppure un’opera d’invenzione tout court: come ha suggerito il critico Alfonso Berardinelli, si può dire che Calvino abbia provato a innestare il genere saggistico su una narrazione di respiro non troppo ampio, creando così una tipologia testuale eterogenea, a metà tra il narrativo e il filosofico.

L’opera presenta un tessuto stilistico molto vario e, a tratti, incongruente. Accanto a un periodare ampio e talvolta contorto, compaiono passaggi brevi e concisi che offrono al lettore delle sintesi fulminee di quello che accade: le esperienze del protagonista vengono rese così in frasi incisive come aforismi.
L’uno e l’altro approccio stilistico – la brevità e la complessità – danno comunque conto dello stesso conflitto morale in cui si dibatte il personaggio. I periodi lunghi e complessi, così come le numerose parentesi che contengono digressioni, sono spie sintattiche delle difficoltà che incontra Amerigo nel sistemare le proprie idee e svelano un’articolazione composita del pensiero; l’accavallarsi di brevi domande, d’altra parte, mostra efficacemente i suoi dubbi e le sue incertezze.
In alcuni passi, infine, si incontra un certo grado di complicazione retorica, visibile nella presenza di numerosi ossimori e di una serie di anacoluti e di costrutti che ripetono i modi del parlato («Amerigo non era uno che gli piacesse mettersi avanti»; «la maturità gli portava insofferenza, una giostra di storie brevi e balorde che ogni volta si vedeva già che non andava»): carattere, questo, che fa della Giornata un caso a sé nella produzione di un autore sempre attento alla chiarezza e al nitore geometrico della prosa.

4 I testi

Temi e motivi dei brani antologizzati
T5 L’inganno dell’uguaglianza • la scoperta di una natura deforme e irrazionale
• la messa in discussione del significato dell’uguaglianza
T6 Il confine dell’umano • la difficoltà di definire il concetto di essere umano
• l’amore come chiave per cogliere il senso dell’esistenza

Al cuore della letteratura - volume 6
Al cuore della letteratura - volume 6
Dal Novecento a oggi