Il primo Novecento – L'autore: Eugenio Montale

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Adolf Hitler giunse a Firenze in treno, nel primo pomeriggio del 9 maggio 1938. Ad attenderlo, insieme a Mussolini e ai massimi gerarchi fascisti, c’era una città decorata di fiori, bandiere, gonfaloni, per festeggiare l’alleanza che in seguito avrebbe trascinato l’Italia nel disastro della guerra. È questo lo spunto da cui prende le mosse La primavera hitleriana.
Montale trasforma la parata celebrativa in una sorta di “messa nera”, attribuendo al Führer l’indole di un messo infernale (v. 8), in grado persino di sconvolgere le stagioni e spandere il gelo sul ridente maggio toscano. La natura moltiplica i segnali sinistri, come quello degli sciami di falene che al suo passaggio muoiono, ma i fiorentini ligi agli ordini (le autorità proclamarono una giornata festiva) chiudono le botteghe, nelle cui vetrine campeggiano giocattoli di guerra e bestie macellate, presagi dell’imminente tragedia. Nessuno è incolpevole (v. 19): tutti sono in qualche modo coinvolti nella follia che prepara la catastrofe.

A questo panorama tenebroso Montale oppone la fedeltà ai propri affetti, alla poesia, ai valori umanistici. La domanda Tutto per nulla, dunque? (v. 20) segna lo spostamento dell’obiettivo dalla sfera della cronaca al privato del poeta, che torna sugli ultimi momenti vissuti con la donna amata. Il congedo da Irma Brandeis, in procinto di tornare negli Stati Uniti per sfuggire alle persecuzioni razziali, assume i caratteri di un vero e proprio patto (i lunghi addii / forti come un battesimo, vv. 22–23), sottolineato dalla comparsa in cielo di segnali esoterici, in coerenza con la funzione salvifica assegnata a Clizia. Il nome, che ricorre una sola volta nella Bufera e altro (v. 33), assimila Irma alla ninfa tramutata da Apollo in girasole. Il suo ruolo di tramite con la divinità – sul modello della Beatrice dantesca, con gli occhi rivolti al sole (Paradiso, I, 46-48 e 64-66) – si esplica nel proprio sacrificio a beneficio dell’umanità intera.

In questa fase, rappresentata dalla sezione Silvae (a cui La primavera hitleriana appartiene), Montale allarga il raggio d’azione del suo «visiting angel», ”angelo visitatore” (► p. 580), facendone il messaggero di una speranza generale. Riconsiderati alla luce dell’azione di Clizia, il gelo, le falene, le campane che suonano a distesa sembrano indicare l’avvento di un’alba di libertà, che segna la fine del regno del male. Non si tratta di un soprassalto di ottimismo, rarissimo in Montale, ma di una profezia ex post: la poesia viene infatti terminata nel 1946, dopo la caduta del nazifascismo.

Le scelte stilistiche

La primavera hitleriana è uno dei componimenti più difficili di Montale, a causa dei riferimenti culturali molteplici e spesso oscuri, più che per un’effettiva complessità sintattica. Il ricorso a un registro elevato comporta comunque la scelta di termini aulici e un uso intenso delle risorse della retorica. Su tale piano, il senso di lacerazione prodotto da una realtà drammatica spiega l’importanza primaria assunta dagli ossimori*, che coinvolgono innanzitutto le qualità della primavera, collegata nel titolo alle tenebre del nazismo e nel testo al dilagare di un gelo innaturale. L’associazione incongrua di caldo e freddo ritorna nell’immagine di un passato arso e succhiato / da un polline che stride come il fuoco / e ha punte di sinibbio (vv. 28–30). Ossimorica è pure la definizione di miti carnefici (v. 16) riservata ai bottegai, che suggerisce un confronto con i feroci aguzzini in divisa e nel contempo racchiude forse una larvata polemica verso l’acquiescenza della classe borghese che ha permesso il trionfo delle dittature nazista e fascista.

 >> pag. 579 

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 La divisione in strofe scandisce il contenuto della poesia: fai un breve riassunto di ciascuna e poi descrivi la progressione che in esse si sviluppa.


ANALIZZARE

2 Individua le principali figure retoriche presenti nel testo.


3 I riferimenti alla politica contemporanea sono, in questo componimento, per la prima volta espliciti: rintraccia i più importanti e spiegali in brevi definizioni sul modello di una nota o di una voce di dizionario.


INTERPRETARE

4 Perché il poeta dice che nessuno è incolpevole (v. 19) dopo la visita di Hitler a Firenze? Spiega i possibili significati di questa affermazione.


PRODURRE

5 Non sempre gli artisti e i letterati si sono opposti alle dittature: svolgi una ricerca sul complesso rapporto tra dittatura e intellettuali e illustralo in un testo espositivo di circa 30 righe.


Le figure femminili

Buona parte dell’opera poetica di Montale si costituisce come lirica nella sua accezione tradizionale, ovvero come saluto, preghiera, invocazione del poeta a una donna, per lo più assente. Nel corso del tempo le sembianze di questo fantasma femminile conoscono cambiamenti radicali, ma tendono comunque a raggrupparsi in due grandi tipologie: nelle prime raccolte prevale la figura della donna angelicata, lontana, perduta, che indica un percorso esistenziale al poeta, il quale però è incapace di seguirla nonostante i suoi slanci. A partire da Satura si fa largo invece un’immagine di donna amica e complice, oltre che guida. In entrambi i casi Montale la descrive in forma di sineddoche o di metonimia: anziché fornirne ritratti particolareggiati, cioè, si concentra su alcuni elementi della fisionomia (in particolare gli occhi, la fronte, i capelli) o su alcuni oggetti caricati di affettività (gli orecchini, un braccialetto di giada, un topolino bianco d’avorio, un bulldog di legno, gli occhiali di tartaruga e così via). Spesso il nome delle ispiratrici è taciuto, modificato oppure celato in riferimenti a miti, animali, cose.

Gli Ossi di seppia sono forse la raccolta in cui il tema della donna appare meno trattato, per l’importanza preponderante che qui assume il confronto fra l’io e il mondo circostante. Tuttavia non mancano apparizioni significative, come quella di Esterina, che in Falsetto ( ► T10, p. 598) si tuffa in mare sotto lo sguardo del poeta, e soprattutto quella di Arletta, figura di giovane morta anzitempo, nella quale Montale riprende e aggiorna il modello della Silvia leopardiana.

Più articolato e vario è il panorama dei profili femminili riconoscibili nelle Occasioni. Oltre ad Arletta, che torna nella Casa dei doganieri, si incontrano donne irrequiete come Liuba, Gerti, Dora Markus, tutte di origine mitteleuropea e perciò emblemi di un’Europa ormai irriconoscibile, dopo la Grande guerra e l’avvento delle dittature. In loro il poeta proietta le proprie angosce, facendone delle sue controfigure.
Di genere del tutto diverso è invece il trattamento poetico di Irma Brandeis, che si staglia al centro della raccolta e occupa un ruolo privilegiato anche nella Bufera e altro. La sua figura subisce un progressivo processo di sublimazione, fino ad assumere la forma di un angelo redentore: non a caso il nome che la designa, Clizia, è quello di una ninfa innamorata di Apollo, dio del Sole, e da questi trasformata in girasole.

 >> pag. 580 

temi nel tempo

La donna angelo

Dallo Stilnovismo all’Orlando furioso

Una tappa fondamentale nell’evoluzione della figura femminile in letteratura è costituita dalla lirica stilnovista, che valorizza la “gentilezza” della donna, pallida, aerea, inafferrabile. La donna è in grado di nobilitare l’animo dell’uomo perché la sua bellezza rispecchia la luce divina. Ciò spiega la giustificazione avanzata di fronte a Dio da Guido Guinizzelli nella canzone Al cor gentil rempaira sempre amore: «Tenne d’angel sembianza / che fosse del Tuo regno; / non me fu fallo, s’in lei posi amanza» (cioè non è colpa del poeta se se ne è innamorato).
La donna possiede sembianze angeliche anche nei versi di altri poeti stilnovisti. Ma è solo con Dante che all’amore per una donna “gentile” viene conferita la facoltà di elevare a Dio. Esito altissimo di questo percorso è la Vita nuova, in cui Dante costruisce il mito di Beatrice, «venuta da cielo in terra a miracol mostrare», tenendo fede all’etimo del suo nome, cioè “portatrice di beatitudine”. Una volta morta, Beatrice viene sottoposta a un processo di idealizzazione che giunge a compimento nella Divina Commedia, dove essa assurge a mistica guida del poeta.
Nel passaggio dal Medioevo al Rinascimento la donna tende ad acquistare attributi più terreni e una personalità meglio definita. Ludovico Ariosto (immagine a fianco) nell’Orlando furioso fa di Angelica – a dispetto del nome – una creatura capace di suscitare nei paladini una bruciante attrazione.

Un’eterna dialettica
La rappresentazione della donna angelo nei secoli non è rimasta circoscritta all’ambito italiano, ma ha attraversato tutte le letterature occidentali. L’immagine è stata talvolta rovesciata, in un’eterna alternanza fra bellezza celestiale e bellezza materiale. In Inghilterra si può citare a esempio la poesia Aria e angeli di John Donne (1572–1631), alla quale si contrappone il sonetto 130 di William Shakespeare (1564–1616), in cui il poeta celebra la sua dark lady, così lontana dagli schemi astratti dei poeti, eppure così amabile. Molto più tardi, nella Parigi del XIX secolo, Charles Baudelaire (immagine a fianco) spinge l’antitesi agli estremi. Demoniaca, più che angelica, la donna “fatale” delle sue poesie non porta l’uomo alla salvezza, ma alla perdizione.

Uomini angeli
Negli ultimi anni gli angeli sono tornati alla ribalta della letteratura popolare grazie alla narrativa fantasy, in cui compaiono i cosiddetti nephilim, ovvero esseri nati dall’unione di un angelo “caduto” con un mortale. Qui gli uomini hanno finalmente trovato la loro rivincita: autrici statunitensi come Danielle Trussoni (n. 1973), Becca Fitzpatrick (n. 1979) e Lauren Kate (n. 1981) amano dare alle loro creature ultraterrene le sembianze di giovani bellissimi e misteriosi. Anche sul palcoscenico dei teatri ritroviamo figure di angeli, come nella famosissima e superpremiata pièce di Tony Kushner (immagine a fianco) Angels in America (1993).

 >> pag. 581 

La donna è ormai rientrata in America ed è quindi fisicamente lontana dal poeta; il suo profilo si riduce perciò a pochi tratti, ricordati o suggeriti appunto dalla trasposizione mitica e “metafisica”: la fronte incorniciata dalla frangia, lo sguardo abbagliante, le ali che riparano il poeta dalle bufere personali e storiche, un angelo, insomma, al quale vengono affidati compiti via via più impegnativi. Clizia diventa così una sorta di nuova Beatrice, chiamata non solo a dare un conforto al suo protetto e a mediare per lui con la divinità, ma a farsi emblema della capacità di resistere al male, in nome dei valori più alti della civiltà umanistica, come accade nella Primavera hitleriana.

Alla fine degli anni Quaranta nella poetica di Montale si affaccia un nuovo personaggio, dai tratti più decisamente terrestri e sensuali: la Volpe, ovvero la poetessa Maria Luisa Spaziani, alla quale sono indirizzati i Madrigali privati, ultima sezione della Bufera e altro. In Satura compare infine la Mosca, vale a dire la moglie Drusilla Tanzi, alla quale – dopo la sua morte nel 1963 – Montale dedica le due serie di Xenia e, nelle opere successive, innumerevoli versi, in cui ricorda con ironia e affetto episodi minimi della loro vita in comune, rimpiangendo «il suo radar di pipistrello», ovvero l’invidiabile capacità di orientarsi e riconoscere – lei quasi cieca – gli inganni della realtà.

 T6 

Ti libero la fronte dai ghiaccioli

Le occasioni


Il termine Mottetti ► , di ascendenza musicale, sottolinea il carattere breve e sentenzioso dei testi che costituiscono la seconda sezione delle Occasioni. Montale vi raccoglie una ventina di poesie «dedicate, anzi indirizzate per via aerea (ma solo sulle ali della fantasia) a una Clizia che viveva a circa tremila miglia di distanza». Viene dunque ripresa, ma in modalità originali, la classica situazione in cui l’io lirico si rivolge all’amata lontana, coltivandone il ricordo e vagheggiandone la presenza. Qui il poeta intende liberare la fronte del suo “angelo” dal ghiaccio che si è formato durante una fantasiosa traversata dell’Atlantico in volo sulle alte nubi: Clizia nel 1938 era rientrata in America e Montale immagina che torni da lui sotto forma di angelo dopo uno sfibrante volo attraverso i cieli.


METRO 2 quartine di endecasillabi con un libero e fitto tessuto di rime e assonanze.

        Ti libero la fronte dai ghiaccioli
        che raccogliesti traversando l’alte
        nebulose; hai le penne lacerate
        dai cicloni, ti desti a soprassalti.

5     Mezzodì: allunga nel riquadro il nespolo
        l’ombra nera, s’ostina in cielo un sole
        freddoloso; e l’altre ombre che scantonano
        nel vicolo non sanno che sei qui.

 >> pag. 582 

la parola

Mottetto

In musicologia il termine mottetto indica una forma di composizione vocale o vocale–strumentale di argomento religioso, nata in Francia nel XIII secolo presso i trovatori come testo a due o a tre voci. In letteratura con lo stesso vocabolo si intende un componimento poetico breve rimato, composto per lo più di endecasillabi e settenari, contenente una sentenza, un proverbio, un motto. Tale forma metrica non ha avuto una salda tradizione nella letteratura italiana, nonostante alcune testimonianze già due–trecentesche (per esempio nella produzione di Guido Cavalcanti).

 T7 

Non recidere, forbice, quel volto

Le occasioni


In quest’altro mottetto il poeta si appella in maniera accorata alle risorse della propria memoria affinché possa trattenere nella mente l’immagine del volto della donna amata, immagine fatalmente insidiata dalla forza erosiva del tempo.


METRO 2 quartine di 3 endecasillabi e un settenario, con un libero tessuto di rime e assonanze.

        Non recidere, forbice, quel volto,
        solo nella memoria che si sfolla,
        non far del grande suo viso in ascolto
        la mia nebbia di sempre.

5     Un freddo cala… Duro il colpo svetta.
        E l’acacia ferita da sé scrolla
        il guscio di cicala
        nella prima belletta di Novembre.

Al cuore della letteratura - volume 6
Al cuore della letteratura - volume 6
Dal Novecento a oggi