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Adolf Hitler giunse a Firenze in treno, nel primo pomeriggio del 9 maggio 1938. Ad attenderlo, insieme a Mussolini e ai massimi gerarchi fascisti, c’era una città decorata di fiori, bandiere, gonfaloni, per festeggiare l’alleanza che in seguito avrebbe trascinato l’Italia nel disastro della guerra. È questo lo spunto da cui prende le mosse La primavera hitleriana.
Montale trasforma la parata celebrativa in una sorta di “messa nera”, attribuendo al Führer l’indole di un messo infernale (v. 8), in grado persino di sconvolgere le stagioni e spandere il gelo sul ridente maggio toscano. La natura moltiplica i segnali sinistri, come quello degli sciami di falene che al suo passaggio muoiono, ma i fiorentini ligi agli ordini (le autorità proclamarono una giornata festiva) chiudono le botteghe, nelle cui vetrine campeggiano giocattoli di guerra e bestie macellate, presagi dell’imminente tragedia.
Nessuno è incolpevole (v. 19): tutti sono in qualche modo coinvolti nella follia che prepara la catastrofe.