Antologia della Divina Commedia

CANTO XXXIII Inferno 39 Quando fui desto innanzi la dimane, pianger senti fra l sonno i miei figliuoli ch eran con meco, e dimandar del pane. [37-39] Quando fui sveglio (desto) prima del mattino (innanzi la dimane), sentii piangere nel sonno i miei figli, che erano con me, e chiedere (dimandar) del pane. 42 Ben se crudel, se tu già non ti duoli pensando ciò che l mio cor s annunziava; e se non piangi, di che pianger suoli? [40-42] Sei (se ) davvero (ben) crudele se già non ti addolori (duoli) pensando a quello che il mio cuore presagiva (s annunziava); e se non piangi, di che cosa sei solito (suoli) piangere? 45 Già eran desti, e l ora s appressava che l cibo ne sol a essere addotto, e per suo sogno ciascun dubitava; [43-45] Erano già svegli, e si avvicinava (s appressava) l ora in cui (che) il cibo era solito (sol a) esserci portato (ne... addotto), e a causa del suo sogno ciascuno temeva (dubitava); 48 e io senti chiavar l uscio di sotto a l orribile torre; ond io guardai nel viso a mie figliuoi sanza far motto. [46-48] e io sentii inchiodare (chiavar) l ingresso (uscio) di sotto dell orribile torre; per cui (ond ) io guardai nel viso i miei figli senza dir parola (far motto). 51 Io non piang a, sì dentro impetrai: piangevan elli; e Anselmuccio mio disse: Tu guardi sì, padre! che hai? . [49-51] Io non piangevo, a tal punto (sì) dentro ero diventato di pietra (impetrai): piangevano essi (elli); e il mio Anselmuccio disse: Tu ci guardi così (sì), padre! Che hai? . 54 Perciò non lagrimai né rispuos io tutto quel giorno né la notte appresso, infin che l altro sol nel mondo uscìo. [52-54] Perciò io non lacrimai né risposi per tutto quel giorno né per la notte successiva (appresso), finché (infin che) nel mondo sorse (uscìo) un nuovo Sole (altro sol). 57 Come un poco di raggio si fu messo nel doloroso carcere, e io scorsi per quattro visi il mio aspetto stesso, [55-57] Non appena (Come) un debole (un poco di) raggio entrò (si fu messo) nel doloroso carcere, e io vidi in quattro volti (visi) il mio stesso aspetto, 60 ambo le man per lo dolor mi morsi; ed ei, pensando ch io l fessi per voglia di manicar, di sùbito levorsi [58-60] per il dolore mi morsi entrambe (ambo) le mani; ed essi (ei), pensando ch io lo facessi ( l fessi) per la voglia di mangiare (manicar), subito si alzarono (levorsi) 63 e disser: Padre, assai ci fia men doglia se tu mangi di noi: tu ne vestisti queste misere carni, e tu le spoglia . [61-63] e dissero: Padre, ci sarà (ci fia) assai meno doloroso (doglia) se tu mangi noi (di noi): tu ci hai dato (ne vestisti) queste misere carni, e tu spogliacene . 37-39. Quando pane: il tragico racconto di Ugolino entra nel vivo. Il lessico si fa semplice e quotidiano (il termine figliuoli, per esempio, ha valore affettivo), a raffigurare senza formalismi retorici l orrore della scena. Il termine pane è la parola chiave, posta in rilievo alla fine della terzina. i miei figliuoli: si tratta in realtà di due figli (Gaddo e Uguccione) e due nipoti (Nino e Anselmuccio). Dante adatta la verità storica al suo racconto, accomunando tutti sotto il termine figliuoli, e facendoli apparire più giovani di quel che erano in realtà. Dei quattro, infatti, solo Anselmuccio non era ancora adulto. 42. e se non piangi suoli?: Ugolino, con un verso divenuto celebre, invoca la partecipazione emotiva di Dante alla sua tragedia. Ancora una volta parole semplici (piangi, pianger) sono poste in una struttura elegante: la posizione delle due voci del verbo piangere è bilanciata in mezzo a ciascuna metà che compone il verso, con assonanza* in s delle parole che si trovano prima e dopo (se, suoli). 45. per suo sogno dubitava: come Ugolino, anche i figli hanno avuto un sogno premonitore, a causa del quale temono di essere lasciati senza cibo. 50. Anselmuccio: diminutivo affettuoso ancora un frammento di lingua quotidiana che riprende i termini figliuoli e figliuoi dei versi 38 e 48. 57. quattro visi stesso: Ugolino vede il suo aspetto emaciato riflesso nei volti scavati dei figli, digiuni da giorni. 119

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