L’ESPANSIONE DEI FONDALI OCEANICI
Wegener elaborò alcune ipotesi per spiegare la deriva dei continenti, ma dal momento che nessuna era convincente, né tantomeno supportata da dati scientifici, la sua teoria venne abbandonata per quasi cinquant’anni.
Nel frattempo altri scienziati portarono avanti le ricerche sulla struttura della Terra, giungendo a interessanti scoperte. Per esempio, attraverso lo studio delle onde sismiche i sismologi capirono che l’interno della Terra è diviso in strati. Gli scienziati che studiavano i fondali oceanici, da parte loro, constatarono che questi ultimi non sono una distesa piatta e uniforme come si era sempre pensato, ma che si alzano formando montagne e si inabissano formando fosse (3). Scoprirono cioè
l’esistenza delle dorsali oceaniche, sistemi formati da due file di catene montuose
che corrono parallele per migliaia di chilometri, simili a enormi cicatrici, separate da
solchi ampi e profondi chiamati rift.
Proprio attraverso lo studio dei fondali, nel 1962 il geologo americano
Harry Hess ipotizzò, a ragione, che i rift rappresentassero
delle fratture aperte nel pavimento oceanico, da cui il magma
risaliva dalle profondità dell’astenosfera. Fuoriuscendo, il magma si raffredda a contatto con l’acqua e solidifica creando nuova crosta oceanica. La crosta nuova si salda a mano a mano a quella esistente, che viene spinta e allontanata dalla dorsale: il risultato è la progressiva espansione del fondale oceanico.
La crosta oceanica, però, non si crea soltanto (se così fosse si accumulerebbe, emergendo prima o poi dall’acqua), ma viene
anche distrutta, quando si inabissa in corrispondenza delle
fosse oceaniche (4). In pratica, si concluse che esiste un bilanciamento tra la quantità di crosta nuova che si forma e la quantità di crosta vecchia che si distrugge.