SCIENZE + L'isola… che c’è!
Nell’Oceano Pacifico, tra il 135° e 155° meridiano Ovest e il 35° e 42° parallelo Nord, è stata individuata alcuni anni fa un’immensa “isola” di immondizia galleggiante (in inglese, The Great Pacific Garbage Patch): un’enorme quantità di plastica e di altri rifiuti prodotti dalle attività umane si è accumulata in quest’area per effetto delle correnti, che creano qui una sorta di vortice. L’isola di rifiuti cresce di anno in anno: nel 2010 aveva una superficie di circa 15 milioni di km2, pari a circa 50 volte l’Italia!
La scoperta di quest’isola è stata fatta solo di recente, nel 1997, grazie al navigatore statunitense Charles Moore, perché si trova in una zona dell’oceano fuori dalle tratte commerciali e lontana da luoghi abitati. Gli effetti sull’ecosistema
marino sono devastanti: la popolazione di albatros dell’atollo di Midway, per fare un esempio, si è drasticamente ridotta ed è a rischio di estinzione perché gli uccelli ingeriscono i rifiuti, che scambiano per cibo, rimanendo soffocati; anche i piccoli, nutriti con i rifiuti, muoiono. La sopravvivenza di tartarughe marine, cetacei, pesci, e in genere di tutti gli organismi acquatici è fortemente compromessa.
Raccogliere questa massa di rifiuti avrebbe un costo proibitivo, e a complicare la situazione c’è anche il fatto che con la luce del sole la plastica si degrada molto lentamente (in 1000 anni circa) e si spezzetta in migliaia di minuscoli frammenti, impossibili da recuperare. Quello che si può fare, e che gli stessi esperti suggeriscono, è ridurre al minimo, fino a eliminarlo, il consumo
di plastica, preferendo eventualmente l’uso delle nuove bioplastiche, cioè le nuove plastiche di origine vegetale che si decompongono in tempi brevi.