Il paesaggio romantico

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Il paesaggio romantico

Nell’Europa romantica il genere del paesaggio ha ampia diffusione. Pur con inevitabili differenze nazionali, il paesaggismo ottocentesco si riconosce in alcuni caratteri comuni: una vivace resa atmosferica, la propensione verso manifestazioni estreme quali temporali, tempeste, nebbie, ghiacci, aridità e lo stabilirsi di uno stretto rapporto tra uomo e natura, che è generatrice di vita ma anche matrigna, capace di rivoltarsi contro i suoi stessi figli e annientarli. La poetica che riconosce un fascino anche agli aspetti più terrificanti della natura prende il nome di “Sublime”, e ha una matrice prettamente inglese. Il Sublime è una categoria estetica che ha radici antiche e che nel XVIII secolo ha conosciuto uno sviluppo organico grazie alle speculazioni di Edmund Burke, filosofo e scrittore irlandese, che nel 1757 pubblica il trattato Indagine sull’origine delle nostre idee di Sublime e di Bello, nel quale dichiara il primato del sublime sul bello. Ciò ha un diretto riflesso sulla produzione artistica per la quale il Bello poteva dunque trovarsi anche nelle manifestazioni più anomale e orrorifiche della natura. La montagna diviene uno dei soggetti prediletti, soprattutto nei suoi aspetti più impervi, come i dirupi e gli orridi. I panorami romantici si aprono su situazioni nelle quali l’uomo è messo alla prova dovendo fronteggiare forze infinitamente più grandi, che lo hanno generato ma che possono facilmente annientarlo. La figura umana è piccola, immersa nel paesaggio con il solo scopo di definirne la vastità e la grandezza; i luoghi sono spesso punteggiati di rovine, resti di cattedrali, antiche dimore abbandonate. Questa tipologia di pittura viene anche chiamata “ruderismo”. Nel corso dell’Ottocento il genere del paesaggio consolida lo status di soggetto autonomo che è, nella sua spettacolarizzazione, specchio di un sentimento interiore. Per toccare le corde emotive del pubblico l’artista romantico ricorre a un virtuosismo tecnico in cui il disegno e la costruzione compositiva dell’immagine hanno un ruolo basilare che gli permette di cogliere la suggestione dei passaggi luministici. Il tepore dei raggi del sole o il gelo della tormenta devono essere quasi percettibili. Tendenzialmente l’artista romantico abbina una salda formazione accademica d’impronta ancora neoclassica, basata sul disegno, alla curiosa osservazione dal vero dei mutamenti atmosferici. Predilige la tecnica dell’olio, steso con una pennellata leggera, pressoché trasparente, che possa meglio rendere le infinite sfumature dei mari, dei laghi, delle foreste, delle albe e dei tramonti con una forte attenzione per il contrasto luce/ombra che accentua l’effetto spettacolare del soggetto.

Friedrich: il paesaggio come universo simbolico

Caspar David Friedrich (Greifswald 1774-Dresda 1840) è il massimo esponente del paesaggismo romantico tedesco. Nasce a Greifswald, piccola città medievale nell’estremo Nord della Germania, in una famiglia borghese – il padre è un commerciante di sapone – ma la sua esistenza è presto segnata da una tragedia: nel 1787 Friedrich cade in acqua pattinando sul fiume gelato: lo salva il fratello dodicenne che però annega. La vicenda non sarà irrilevante rispetto allo sviluppo d’un temperamento tendente alla depressione, che si traduce nella predilezione per soggetti estremamente malinconici. Nel 1794 Friedrich si trasferisce a Copenaghen per frequentare l’Accademia di Belle Arti, dove viene educato sia al disegno dall’Antico sia a un’attenta analisi del paesaggio all’aperto. Segue i corsi di Christian August Lorentzen (Sønderborg 1749-Copenaghen 1828) e del pittore di paesaggi Jens Juel (Falster 1745-Copenaghen 1802), fortemente ispirati dal movimento tedesco dello Sturm und Drang, il cui senso malinconico si ritrova anche nella produzione di Friedrich. L’artista si dedicherà interamente al paesaggio: anche quando include qualche figura umana, non la definisce mai davvero ma la rende strumentale alla spettacolarizzazione del manifestarsi della furia degli elementi. Dal 1798 si trasferisce a Dresda, rifiutando di compiere il consueto viaggio formativo in Italia. Del resto, i soggetti di Friedrich non attingono al repertorio classicheggiante come la rovina sotto il sole italiano, ma ritraggono le radure attorno a Greifswald, i boschi di abeti, le montagne, i ghiacci del mare nordico e le ampie coste brumose.

Abbazia nel querceto

I paesaggi riflettono uno stato d’animo: nelle vedute di Friedrich quello che non si vede ha ancora più peso di ciò che è visibile. 

Ne è un esempio l’Abbazia nel querceto (34), un’immagine di desolante tristezza e, al contempo, un trionfo visivo nel controluce delle querce scheletrite. L’artista immagina il proprio funerale: alcuni monaci stanno portando una bara verso il portale diroccato che introduce a un aldilà indefinito. La tela è strutturata su due ampie fasce orizzontali, scandite dalla linea ellittica che divide il cielo luminescente da uno spesso muro di nebbia; al centro si erge la rovina di Eldena, il rudere dell’antica abbazia cistercense di Greifswald, visitata tanto frequentemente dal pittore quando era ragazzo da lasciargli una suggestione indelebile nella memoria. Il concetto di morte in Friedrich è profondamente spirituale «per vivere eternamente, spesso ci si deve arrendere alla morte» ribatte a chi chiede spiegazioni sull’insistenza su soggetti funebri.

Viaggiatore davanti a un mare di nebbia

Otto anni più tardi Friedrich licenzia un dipinto che diverrà uno dei manifesti della pittura romantica: il Viaggiatore davanti a un mare di nebbia (35). Un uomo di spalle si trova di fronte all’immenso spettacolo di un abisso nebbioso, nel quale si distinguono solo alcune cime. Rispetto a dipinti precedenti, Friedrich dedica maggiore attenzione alla presenza umana soffermandosi persino sulla resa del velluto verde della redingote, in contrasto con la camicia bianca che sbuca dal collo, e su altri dettagli dell’abbigliamento come le scarpe e il bastone da passeggio.
Non è però una figura con un’identità reale ma piuttosto l’emblema di colui che ha raggiunto il limite dell’esperienza terrena e si confronta con l’immensità della natura, magnifica e al contempo terrificante. Il protagonista si trova di fronte a uno spettacolo vertiginoso: Friedrich costruisce una visione prospettica estremamente scorciata, dando modo all’osservatore di condividere con il viaggiatore lo stesso punto di vista.

Dossier Arte - volume 3 
Dossier Arte - volume 3 
Dal Neoclassicismo ai giorni nostri