Dossier Arte - volume 3 

   10.  IL CONTEMPORANEO >> Temi e sperimentazioni di un’arte in divenire

Olafur Eliasson

Olafur Eliasson (Copenaghen 1967) è un artista nordico; è nato nella capitale danese e in questa città è rimasto per tutto il periodo della sua formazione, avvenuta presso l’Accademia Reale di Belle Arti. Si è trasferito poi a Berlino dove ha aperto un atelier sperimentale in cui sviluppa i suoi lavori in stretta collaborazione con architetti, designer e tecnici specializzati.
Eliasson utilizza il colore e il movimento concentrandosi sul valore percettivo dell’arte. In particolare crede che il colore abbia un fortissimo potenziale psicologico, legato alla cultura e alla memoria dell’uomo; mentre il movimento è l’elemento cardine per stabilire una relazione tra la persona e la realtà.

I only see things when they move

Una delle realizzazioni più significative di Eliasson è I only see things when they move (6). Si tratta di un’installazione rotante in cui una lampada è schermata da lastre di vetro colorate che scompongono la luce bianca in innumerevoli bande di tinte diverse. L’effetto luminoso dinamico, proiettato sui muri circostanti, è l’assoluto protagonista di un’opera che induce negli spettatori una sensazione di totale immersione e che per l’artista riesce ad attivare in ogni individuo un processo di ricerca introspettiva poiché, come egli afferma, «analizzare il colore è come analizzare noi stessi».

Pierre Huyghe

Uno degli artisti contemporanei che più si avvale delle nuove tecnologie e della contaminazione tra diverse forme espressive è il francese Pierre Huyghe (Parigi 1962). Il suo esordio avviene nel solco della Video Art, corrente sviluppatasi dalla fine degli anni Sessanta ed evoluta fino a oggi con l’avvento delle immagini digitali, dell’alta definizione e del suono sintetizzato.

L’Expédition scintillante

In quest’opera (7) Huyghe combina l’impiego di luci Led multicolori con l’emissione di vapore e la diffusione di musica. Al centro di una stanza buia, come se si trattasse di un piccolo palcoscenico, una struttura costituita da due parallelepipedi sovrapposti emette fasci luminosi che mutano di orientamento e intensità; a questi si aggiungono i getti di vapore e le note di un brano musicale, in una sequenza ritmata e sincronizzata grazie all’impiego di un computer. Huyghe coinvolge così il visitatore in una nuova forma di arte, articolata e complessa; in un’esperienza polisensoriale assimilabile a uno spettacolo in cui mancano solo gli attori o i musicisti.

Anish Kapoor

Nato da padre indiano e madre irachena, Anish Kapoor (Mumbai 1954) ha studiato in Israele e all’età di diciannove anni si è stabilito in Gran Bretagna. Le sue opere, in genere di grandi dimensioni, sono realizzate con materiali plastici e metallici e colpiscono per l’acceso cromatismo, o per le superfici fluide e specchianti che catturano lo spazio deformandolo. Così, tra realtà e illusione, l’arte di Kapoor ci assorbe e ci sospende, aprendo un varco verso altre dimensioni, unificando presenza e assenza, concretezza e immaterialità, limite misurabile e proiezione infinita.

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Marsyas

Ne è un esempio un’installazione Site Specific concepita a Londra per la Turbine Hall della Tate Modern, Marsyas (8). L’opera invade completamente l’enorme atrio dell’edificio museale, costruito in origine, alla metà del Novecento, come centrale elettrica e ristrutturato nei tardi anni Novanta come sede delle collezioni contemporanee della Tate Gallery. Il nome deriva da Marsia, satiro della mitologia classica scorticato vivo da Apollo. L’immagine della pelle ritorna nella struttura, composta da tre anelli in acciaio posizionati in maniera tale da tendere una membrana in PVC di colore rosso cupo. La grande forma che si viene a creare si sviluppa per circa 150 metri di lunghezza e con il suo profilo sinuoso richiama elementi organici e dà vita a una presenza quasi corporea che confonde la percezione dello spazio.

Cloud Gate

Se Marsyas è un’installazione temporanea, il Cloud Gate (9) è pensato fin dall’inizio per caratterizzare stabilmente uno degli spazi più frequentati del Millennium Park di Chicago. Kapoor crea una struttura convessa in acciaio lucido, costruita con l’ausilio della modellazione computerizzata; essa ricorda una grande goccia di mercurio e unifica ancora una volta entità oppositive, in questo caso il cielo e la terra, riflettendo in maniera distorta e seducente la skyline urbana. Al centro dell’installazione è posto il cosiddetto omphalos (ombelico), uno spazio in cui il visitatore può entrare e specchiarsi, percependo la sua immagine deformata e interagendo quindi con l’opera d’arte. In poco tempo il Cloud Gate si è trasformato in uno dei principali riferimenti identitari della città e dell’intera nazione, al punto che l’immagine dei grattacieli riflessa sulla sua superficie è diventata una delle più fotografate degli Stati Uniti.

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Dal Neoclassicismo ai giorni nostri