La Body Art

   9.  DAL DOPOGUERRA ALLA FINE DEL NOVECENTO >> I maestri e i movimenti del secondo Novecento

La Body Art

Gli artisti della Body Art utilizzano il corpo, proprio o altrui, come soggetto privilegiato delle loro opere. Per far ciò progettano azioni di varia natura, che prendono il nome di performance e che hanno una duplice vita: quella reale che si consuma nel momento dell’esecuzione e quella virtuale che sopravvive in fotografie e filmati. Anche questo genere di espressione artistica è quindi intimamente connessa allo sviluppo delle tecnologie di registrazione e riproduzione delle immagini.

Vito Hannibal Acconci

Un rappresentante di rilievo della Body Art è l’americano Vito Hannibal Acconci (New York 1940), che inizia la sua attività alla fine degli anni Sessanta dedicandosi a composizioni di poesia sonora. Ben presto, tuttavia, il suo interesse si concentra sul corpo, con la realizzazione di riprese audiovisive dove, nella maggior parte dei casi, è lui stesso a essere protagonista di performance che mirano a suscitare la reazione emotiva del pubblico.

Centers

In Centers (123), per esempio, l’artista punta l’indice con insistenza contro la telecamera: tutta la tensione dell’opera è quindi rivolta, di fatto, verso lo spettatore. Il video è una sorta di specchio del corpo di Acconci, ma ancor più della sua interiorità, che viene rivelata e coinvolge l’osservatore, chiedendogli di diventare un interlocutore partecipativo.

Bill Viola

Se Acconci si focalizza sull’intensità dell’espressione personale, Bill Viola (New York 1951) predilige un approccio più articolato, che, esplorando una variegata fenomenologia di opere, approda alla realizzazione di ambienti sonori, semplici videotape o complesse videoinstallazioni architettoniche. In ogni caso, l’artista osserva i caratteri universali della vita umana, colta nei suoi vari stadi e nelle sue più disparate circostanze.

The Quintet of the Unseen

Viola riprende azioni spontanee o performance di cui progetta accuratamente la regia, come nel caso di The Quintet of the Unseen (124) in cui cinque attori declinano espressioni di inquietudine e sofferenza in una progressione estremamente rallentata. La scena si svolge su di uno sfondo nero, privo di qualsiasi connotazione ambientale, e i personaggi non interagiscono tra loro. L’illuminazione, particolarmente incisiva, valorizza appieno le espressioni dei protagonisti. Grazie all’assenza di elementi accessori, alla lentezza e alla nitidezza delle immagini, lo spettatore si può immergere totalmente nell’osservazione di un dolore potente e assoluto che attiva un’inevitabile, profonda, riflessione.

Dossier Arte - volume 3 
Dossier Arte - volume 3 
Dal Neoclassicismo ai giorni nostri