Geometrie primarie e nuovo umanesimo
I lavori di alcuni artisti degli anni Sessanta presentano caratteri trasversali che fondono approcci e tematiche diverse. È il caso per esempio dei poveristi Merz e Boetti che, come abbiamo visto, introducono elementi concettuali nelle loro sequenze numeriche o nelle mappature geografiche.
Anche l’opera di Luciano Fabro (Torino 1936-Milano 2007) mostra una compresenza di peculiarità riconducibili a diverse linee di sviluppo dell’arte del suo tempo, ma, più di altre, approda a una sintesi del tutto inedita e personale, destinata a distinguersi rispetto alle ricerche che si svolgono parallelamente in Europa e in America. Se è vero, infatti, che le realizzazioni di questo artista sono contrassegnate da geometrie primarie e da una straordinaria sobrietà materica, è altrettanto vero che esse ambiscono a una flessibilità e a una complessità alternative rispetto alle espressioni riduzioniste o antiartistiche ben esemplificate da autori come Donald Judd o Joseph Kosuth.
In verità Fabro, rifiutando certi eccessi ripetitivi e formalisti del Minimalismo o lo spostamento dell’attenzione dall’opera all’idea attuato dall’Arte concettuale, intende recuperare una dimensione
umanistica del fare artistico, concreta e totalizzante, basata su un’esperienza diretta dei materiali e su una ritrovata consapevolezza dello spazio.
Ciò è ben evidenziato dal ciclo unitario di sculture denominate
Ruota, Asta, Croce e Squadra e costituite da sottili aste metalliche che instaurano un dialogo conciso ma estremamente pregnante con gli ambienti espositivi, accostandosi o penetrando nelle pareti, nei pavimenti o nei soffitti.