Luciano Fabro

   9.  DAL DOPOGUERRA ALLA FINE DEL NOVECENTO >> I maestri e i movimenti del secondo Novecento

Luciano Fabro

Geometrie primarie e nuovo umanesimo

I lavori di alcuni artisti degli anni Sessanta presentano caratteri trasversali che fondono approcci e tematiche diverse. È il caso per esempio dei poveristi Merz e Boetti che, come abbiamo visto, introducono elementi concettuali nelle loro sequenze numeriche o nelle mappature geografiche.
Anche l’opera di Luciano Fabro (Torino 1936-Milano 2007) mostra una compresenza di peculiarità riconducibili a diverse linee di sviluppo dell’arte del suo tempo, ma, più di altre, approda a una sintesi del tutto inedita e personale, destinata a distinguersi rispetto alle ricerche che si svolgono parallelamente in Europa e in America. Se è vero, infatti, che le realizzazioni di questo artista sono contrassegnate da geometrie primarie e da una straordinaria sobrietà materica, è altrettanto vero che esse ambiscono a una flessibilità e a una complessità alternative rispetto alle espressioni riduzioniste o antiartistiche ben esemplificate da autori come Donald Judd o Joseph Kosuth.
In verità Fabro, rifiutando certi eccessi ripetitivi e formalisti del Minimalismo o lo spostamento dell’attenzione dall’opera all’idea attuato dall’Arte concettuale, intende recuperare una dimensione umanistica del fare artistico, concreta e totalizzante, basata su un’esperienza diretta dei materiali e su una ritrovata consapevolezza dello spazio.
Ciò è ben evidenziato dal ciclo unitario di sculture denominate Ruota, Asta, Croce e Squadra e costituite da sottili aste metalliche che instaurano un dialogo conciso ma estremamente pregnante con gli ambienti espositivi, accostandosi o penetrando nelle pareti, nei pavimenti o nei soffitti.

Ruota

È lo stesso Fabro a descrivere la prima di queste strutture, Ruota (99), in modo molto efficace: «Un cerchio si appoggia a un braccio pensile che, nello sforzo, si tende. In pratica noi non vediamo il braccio e poniamo attenzione invece al cerchio e alla sua accresciuta instabilità, lo sentiamo ruotare già». L’artista sottolinea il dinamismo virtuale della forma circolare che sembra appunto ruotare lungo il segmento.

Asta

L’Asta (100) è una realizzazione che scende dal soffitto della sala in cui si trova e arriva a sfiorarne il pavimento. Essa appare come un elemento unico, ma a ben guardare è costituita da due segmenti tubolari di diametri leggermente differenti; inoltre non è perfettamente a piombo ma risulta inclinata di pochi gradi rispetto alla verticale.

Croce

La Croce (101) è invece appoggiata a terra e sfiora il soffitto. I suoi bracci sono costituiti da barre di acciaio di diametri disuguali, che per questo si incurvano sotto il peso della gravità seguendo linee diverse.

Squadra

Anche la Squadra (102), costituita da due elementi uniti ad angolo retto, si flette, poiché il segmento verticale non è fissato al soffitto e grava sull’estremità di quello orizzontale. In questo modo la stabilità dei lati e l’indeformabilità dell’angolo sono messi in discussione in maniera dinamica, a negare una volta di più gli statuti delle forme fisse e precisamente determinate. Di fronte a queste strutture lo spettatore fa esperienza di lievi scarti geometrici e di configurazioni effettivamente o apparentemente variabili, che contraddicono la regola euclidea e la razionalità degli spazi circostanti, attivando una riflessione sull’imprevedibile mutevolezza della realtà. È chiaro che l’invenzione formale è certamente ridotta al minimo, ma l’artefice non si pone limiti e riconsidera il valore sensoriale dell’opera. Per Fabro, insomma, la forza dell’arte non è concettuale e assoluta ma è percettiva e richiede continue nuove verifiche.

Dossier Arte - volume 3 
Dossier Arte - volume 3 
Dal Neoclassicismo ai giorni nostri