L’Arte concettuale

   9.  DAL DOPOGUERRA ALLA FINE DEL NOVECENTO >> I maestri e i movimenti del secondo Novecento

L’Arte concettuale

Il termine Conceptual Art (Arte concettuale) è coniato nel 1961 dal filosofo e artista statunitense Henry Flynt (Greensboro 1940) per indicare un’arte focalizzata sul concetto che sta alla base dell’opera e non sull’opera stessa. In questo tipo di espressione, razionale e lontanissima da qualsiasi obiettivo di piacere visivo, gli artefatti tendono a scomparire per essere rappresentati in video e fotografie, o per essere sostituiti dalle parole che li descrivono. Inoltre il momento esecutivo ha un ruolo meramente meccanico e tutta l’importanza dell’azione creativa sta nella fase preliminare di progettazione dell’opera. L’arte insomma è legittimata unicamente dall’idea, mentre l’oggetto, e il processo necessario per ottenerlo, vengono minimizzati, se non addirittura negati.
In tutto ciò è contenuta una forte polemica nei confronti del mondo capitalistico con le sue dinamiche di produzione e di mercato. La Conceptual Art rifiuta infatti la sostanziale adesione alla cultura di massa manifestata invece dalla Pop Art, proponendo una nuova riflessione critica sulla condizione esistenziale e sui valori dell’uomo moderno.

Joseph Kosuth

Joseph Kosuth (Toledo, Ohio 1945) è uno dei maggiori artisti concettuali e la sua opera One and three chairs (82) analizza il rapporto tra realtà e apparenza. Per interrogarsi (e interrogarci) sull’idea di un artefatto comune come una sedia, l’autore si affida a una fotografia dell’oggetto in scala 1:1, alla sedia stessa realizzata in legno e alla definizione dell’arredo data dal dizionario. Il progetto artistico rende percepibile l’essenza dell’oggetto attraverso la sua immagine, la sostanza della sua presenza e la parola con cui a essa ci si riferisce nel linguaggio corrente. Si attiva così una valutazione critica di natura generale sui rapporti tra codice visuale, concretezza materiale ed espressione verbale.

Bruce Nauman

Con One Hundred Live and Die (83), Bruce Nauman (Fort Wayne 1941) si concentra sul linguaggio, accostando e manipolando termini (e quindi concetti) connessi alla vita quotidiana e alla morte. L’opera è infatti composta da cento scritte al neon multicolori disposte in quattro colonne. In ogni settore, accanto ai due verbi live (vivere) e die (morire), compaiono parole relative ad azioni quotidiane come eat (mangiare) e pay (pagare). Le frasi si accendono in successione, prima singolarmente, poi simultaneamente per gruppi e infine tutte insieme. In questo modo, Nauman sprona l’osservatore a riflettere sui limiti e sulle contraddizioni del linguaggio e, in ultima analisi, dell’esistenza.

Dossier Arte - volume 3 
Dossier Arte - volume 3 
Dal Neoclassicismo ai giorni nostri