Dossier Arte - volume 3 

   9.  DAL DOPOGUERRA ALLA FINE DEL NOVECENTO >> I maestri e i movimenti del secondo Novecento

Andy Warhol

Andy Warhol (Pittsburgh 1928-New York 1987) pseudonimo di Andrew Warhola, nasce in una famiglia di immigrati cecoslovacchi. Studia nella sua città natale per poi trasferirsi a New York, dove lavora come vetrinista per importanti grandi magazzini e come disegnatore nel campo della grafica commerciale e pubblicitaria. All’inizio degli anni Sessanta intraprende la carriera di pittore: è in questo periodo che comincia la costruzione del personaggio Andy Warhol come protagonista dell’Arte pop, mediante la scelta dello pseudonimo e di un look eccentrico, spesso eccessivo.
Abbandona ben presto la pittura per dedicarsi a tempo pieno alla realizzazione di opere riprodotte con la tecnica della serigrafia, nelle quali raffigura principalmente prodotti commerciali e ritratti di celebrità. Negli stessi anni impianta la Factory, una sorta di laboratorio sperimentale in cui operano numerosi giovani artisti suoi collaboratori. Dopo essersi dedicato parallelamente al cinema, alla televisione e all’editoria, muore nel 1987, celebrato da numerosi media come il più americano degli artisti del Novecento.

Brillo Box

Nel 1964 Warhol realizza quest’opera che trae ispirazione dai prodotti commerciali della società consumistica americana. L’operazione compiuta dall’artista è quella di realizzare una scultura in tutto e per tutto identica all’imballaggio delle pagliette insaponate Brillo (67), molto diffuse negli anni Sessanta e destinate alla pulitura delle pentole in alluminio.
Mediante l’impiego di pannelli di compensato, montati a forma di cubo, vengono realizzate alcune repliche della scatola originale. Sulle tavole sono riprodotti il marchio e i colori Brillo. La scelta di rappresentare un oggetto simbolo della società dei consumi ha il fine di rendere il quotidiano stesso una vera e propria forma d’arte: per Warhol l’opera deve essere comprensibile e la gente capisce solo quello che conosce, solo la realtà di ogni giorno. Niente di meglio quindi che rappresentare fumetti, immagini di cronaca, personaggi famosi e prodotti commerciali che connotano la vita ordinaria di un americano qualsiasi degli anni Sessanta.

Big Electric Chair

La grande serigrafia Big Electric Chair (68) fa parte di una lunga serie dedicata alla sedia elettrica. L’interesse dell’artista nei confronti dell’oggetto è stato spesso letto come una denuncia della barbarie della pena di morte. Al di là delle implicazioni politiche connesse al tema, per le quali per altro Warhol non ha mai dichiarato alcun interesse, la sedia elettrica rappresenta uno dei tanti volti dell’America. L’immagine dello strumento di morte è ravvicinata e in essa non sono percepibili né il cartello con la scritta “Silence”, che presuppone la presenza di un pubblico all’esecuzione, né la vastità della grande stanza in cui la sedia è collocata.
Così decontestualizzate e contaminate con stesure cromatiche piatte e brillanti, le immagini proposte da Warhol perdono ogni espressività, sopravvivendo soltanto come icone e feticci dell’uomo, con i suoi desideri e le sue ossessioni.

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Dal Neoclassicismo ai giorni nostri