Azimuth

   9.  DAL DOPOGUERRA ALLA FINE DEL NOVECENTO >> I maestri e i movimenti del secondo Novecento

Azimuth

Nei tardi anni Cinquanta anche in Italia prendono avvio alcune ricerche artistiche che si rifanno all’avanguardia Dada in contrapposizione al ripiegamento interiore e soggettivo dell’Arte informale. Milano è la capitale del boom economico nazionale del dopoguerra ed è il luogo dove i fermenti culturali e artistici sono più vivaci. Punti di riferimento imprescindibili sono da un lato lo Spazialismo di Lucio Fontana, dall’altro le espressioni monocromatiche di Yves Klein che, proprio in questi anni, vengono esposte in città presso la Galleria Apollinaire.
Tra la fine del 1959 e i primi mesi dell’anno successivo esce la rivista “Azimuth” che, pur avendo una vita molto breve, rappresenta uno spaccato di estremo interesse per capire le dinamiche artistiche milanesi di questo periodo. Tra i suoi giovanissimi fondatori figurano Agostino Bonalumi, Enrico Castellani e Piero Manzoni. Alla rivista, Castellani e Manzoni affiancano la gestione della piccola galleria Azimut (volutamente senza la acca finale per marcare una sottile differenza rispetto al progetto editoriale), nella quale chiamano a esporre i principali rappresentanti delle tendenze d’avanguardia dell’epoca.

Agostino Bonalumi

Dopo aver abbandonato una fase creativa iniziale, contrassegnata da ready-made naturalistici ottenuti con arbusti e fogliame, Agostino Bonalumi (Vimercate 1935-Desio 2013) si concentra sulla tela, che da semplice supporto diventa opera d’arte a sé stante. Mediante introflessioni ed estroflessioni (imbottite di carta o gommapiuma), essa acquisisce la terza dimensione, catturando lo spazio in quadri-scultura dalle forme geometriche pure e astratte. È il caso di Rosso (52), in cui una tela, dipinta appunto di rosso, è estroflessa per formare quattro ellissi identiche, disposte in maniera simmetrica. La scelta è di intervenire su superfici monocrome, in cui l’azione dell’autore sia il più possibile limitata, cancellando ogni traccia di soggettivismo, al contrario di ciò che accade nell’Arte informale, espressiva e gestuale.

Enrico Castellani

Anche Enrico Castellani (Castelmassa 1930) rivolge il suo interesse alla minimizzazione degli elementi del quadro. Egli utilizza infatti soltanto tele, chiodi e pochi colori acrilici che ben presto si riducono unicamente al bianco. La sua opera Superficie bianca (53) presenta una tela mossa da una tessitura geometrica regolare di concavità e convessità, che attiva un’inusuale trama di luci e ombre e che sviluppa, con estremo rigore, la dialettica spaziale di Lucio Fontana.

Piero Manzoni

Degli artisti di “Azimuth”, Piero Manzoni (Soncino 1933-Milano 1963) è certamente il più drastico e provocatorio. Il suo Uovo con impronta (54) è una “scultura da mangiare” e compare per la prima volta in una personale dell’autore a Copenaghen. Il 21 luglio 1960, presso la galleria Azimut, Manzoni ripete quanto già fatto nella capitale danese: nel corso di un evento intitolato “Consumazione dell’arte dinamica del pubblico divorare l’arte”, centocinquanta uova sode vengono contrassegnate dall’impronta digitale del pollice destro dell’artista e poi offerte ai visitatori. L’uovo si trasforma in opera nel momento in cui l’autore lo “firma” col suo gesto. La scelta di rendere commestibile il prodotto artistico è motivata dalla volontà di stabilire un contatto più diretto con il pubblico, che cessa di essere soltanto spettatore per diventare anch’esso parte del processo creativo. Una delle poche uova rimaste, conservata nella bambagia dentro a una scatola di legno, è quella presente nella collezione del Museo del Novecento a Milano; di fatto essa è al contempo un’opera autonoma e la testimonianza di un’azione collettiva.
L’anno successivo, Piero Manzoni realizza le novanta scatole della Merda d’artista (55), raggiungendo uno degli esiti più polemici e volutamente paradossali della sua ricerca. Un contenitore cilindrico in metallo, come quello della carne in scatola, contiene i suoi escrementi. Un’etichetta dettaglia in quattro lingue il contenuto, il peso e la data di produzione. Ogni Merda viene messa in vendita al prezzo corrente dell’oro. Sebbene ancora oggi, a distanza di oltre cinquant’anni, non si sappia con certezza che cosa contengano le scatolette (veri escrementi, gesso, carne in scatola?), resta intatto il valore dell’operazione di matrice dadaista con cui Manzoni critica e irride il collezionismo e il mercato dell’arte dei primi anni Sessanta. Il contenuto non è visibile, ma il significato sta nell’idea che induce a riflettere sul mito dell’artefice e sui luoghi comuni a esso associati.

Dossier Arte - volume 3 
Dossier Arte - volume 3 
Dal Neoclassicismo ai giorni nostri