Arte programmata e cinetica

   9.  DAL DOPOGUERRA ALLA FINE DEL NOVECENTO >> I maestri e i movimenti del secondo Novecento

Arte programmata e cinetica

Un’ulteriore reazione al soggettivismo dell’Informale è rappresentata da una rivalutazione della razionalità e dei fenomeni percettivi. Infatti, dalla fine degli anni Cinquanta, principalmente in Italia, ma anche in Francia e in Germania, nascono gruppi di artisti che lavorano in modo collettivo e sperimentale, elaborando espressioni il più possibile oggettive e superando la separazione tra pittura e scultura per coinvolgere attivamente lo spettatore in inedite esperienze ottiche e dinamiche. Tutto ciò avviene rileggendo la tradizione avviata dal Bauhaus tedesco e sviluppando i dettami dello Spazialismo di Lucio Fontana.
È l’avvento della cosiddetta Arte programmata, per la quale l’opera deve essere concepita appunto in modo coerente rispetto a un programma logico e predefinito. In questo contesto l’artista rifiuta ogni protagonismo e abbandona ogni approccio istintuale per diventare parte di un gruppo di operatori che si confrontano con il progresso scientifico e tecnologico, utilizzandone consapevolmente gli strumenti. Questi concetti vanno mano nella mano con una critica radicale del mercato dell’arte e innescano processi di replicazione seriale a basso costo delle opere che prendono il nome di “multipli”.

Bruno Munari

Bruno Munari (Milano 1907-1998) è uno dei primi e principali esponenti dell’Arte programmata e già nel 1952 firma il Manifesto del Macchinismo, in cui prefigura un futuro soggiogato dal dominio incontrastato delle macchine. Per Munari solo l’artista può ristabilire un nuovo equilibrio tra l’uomo e la tecnologia, abbandonando i pennelli e lo scalpello e iniziando a lavorare proprio con le macchine, che devono essere trasformate in strumenti di produzione estetica. Tale proposito si concretizza per esempio in Aconà biconbì (56), una scultura componibile in acciaio inossidabile commissionata a Munari dal Centro Inox, che nasce nel 1962 per incentivare l’utilizzo di questo prodotto metallico industriale, resistente e moderno. L’artista ingrandisce una struttura realizzata in precedenza nella serie delle sue Sculture da viaggio, multipli portatili privi di una reale funzione e concepiti per abbellire i contesti temporanei in cui un viaggiatore si può trovare. Tali piccole sculture sono fatte in origine di materiali leggeri e sono vendute in semplici kit di montaggio che l’utente può costruire in autonomia: nel caso specifico di Aconà biconbì più moduli circolari, forati al centro e ripiegati sui bordi, possono essere uniti secondo molteplici configurazioni, accoppiando le lettere stampate sui bordi (A con A, B con B...) come si può vedere dallo schema di montaggio (57).
Arte, industria e artigianato sono così compresenti, demistificandosi a vicenda, mentre l’opera diventa un’occasione creativa condivisa con lo spettatore o, meglio ancora, con il fruitore.

Dossier Arte - volume 3 
Dossier Arte - volume 3 
Dal Neoclassicismo ai giorni nostri