L’Arte informale

   9.  DAL DOPOGUERRA ALLA FINE DEL NOVECENTO >> I maestri e i movimenti del secondo Novecento

L’Arte informale

La risposta data dagli artisti europei alla spaventosa crisi esistenziale e ideologica scaturita dalla Seconda guerra mondiale prende il nome di Arte informale. La definizione stessa suggerisce la forte polemica che i suoi fautori instaurano con tutto ciò che può essere ricondotto a una forma, sia figurativa che astratta. Per questo nuovo modo di comunicare, l’evento artistico è ormai privo di ogni valore stilistico e il suo solo significato è rappresentato dal processo creativo seguito dall’autore e dai materiali con cui l’opera è realizzata.
Rivisitando alcuni temi di movimenti d’anteguerra come il Dada e l’Espressionismo, i protagonisti dell’Informale rifiutano le convenzioni precostituite e le regole razionalmente individuate per assegnare un primato decisivo al gesto estemporaneo attuato con la materia e sulla materia. Nelle loro opere pittoriche questi artisti utilizzano pennellate decise come colpi di sciabola, o schizzi e grumi di colore, rapidi gocciolamenti o lente colature, o ancora graffi, cretti e corrosioni. Così l’Arte informale dà una nuova rappresentazione al carattere precario e contingente della condizione umana, con i suoi disagi e le sue passioni; essa ha il suo epicentro a Parigi alla fine degli anni Quaranta, si diffonde in tutta Europa e in America, raggiungendo il suo apice tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, ma la sua vitalità si prolunga di fatto in numerose declinazioni fino alla fine del Novecento.

Jean Fautrier

Uno dei protagonisti iniziali dell’Informale è Jean Fautrier (Parigi 1888-Châtenay-Malabry 1964), che negli anni Quaranta, durante l’occupazione nazista della Francia, si rifugia in un ospedale per malati di mente e realizza la serie di dipinti conosciuta come gli Otages (Ostaggi).
Con queste tele l’artista, che assiste personalmente alle fucilazioni eseguite dai nazisti nel cortile della prigione attigua alla clinica, vuole richiamare gli orrori che gli occupanti perpetrano nel suo Paese. Convinto dell’impossibilità di rappresentare la drammaticità di tali eventi con opere eminentemente figurative, Fautrier delinea i volti degli ostaggi condannati o morenti in modo estremamente sintetico e semplificato, in dipinti inquietanti e potenti che traggono la loro forza espressiva da stesure di colore a volte dense e compatte, a volte rarefatte e rugose. L’autore utilizza colori a olio e polveri di pastello, con l’aggiunta di colle, cere o segatura.

Testa di ostaggio n. 21

Nell’opera Testa di ostaggio n. 21 (6) la materia pittorica sembra lievitare; pennellate violacee e colature rossastre tagliano come ferite le fattezze del viso appena abbozzate, in un’interpretazione dell’Arte informale che restituisce a un tempo la sofferenza del soggetto e la tragedia collettiva dell’occupazione e della guerra.

Jean Dubuffet

Ben diverso da quello di Fautrier è il percorso artistico che Jean Dubuffet (Le Havre 1901-Parigi 1985) intraprende sempre in Francia e all’incirca negli stessi anni. Nel 1945 formula il concetto di Art brut (Arte bruta) che applica a qualsiasi tipo di manifestazione espressiva immediata ed elementare, lontana da codificazioni e spesso nata senza alcuna intenzionalità artistica.

L’Ebrea

Aderisce alla perfezione al concetto di Art brut il dipinto L’Ebrea (7): l’immagine di una donna nuda è resa mediante un disegno schematico che si espande, privo di proporzioni, invadendo la tela fino a toccarne i bordi. I tratti del volto, i segni delle braccia, dell’addome e del sesso richiamano certamente le forme del corpo umano ma veicolano prima di tutto un linguaggio spontaneo privo di elaborazioni razionali, carico appunto di un’energia “bruta” che potremmo assimilare a quella delle rappresentazioni primitive o degli scarabocchi infantili.

Georges Mathieu

Negli anni Cinquanta è Georges Mathieu (Boulogne-sur-Mer 1921-Boulogne-Billancourt 2012) a valorizzare al massimo grado l’atto creativo spremendo i tubetti dei colori direttamente sulla tela; talvolta egli realizza le sue opere di fronte al pubblico, anticipando la pratica della performance artistica.

Montuoissier

Proprio in questo modo è eseguito il quadro Montuoissier (8): su una rossa stesura omogenea di fondo, Mathieu svuota numerosi tubetti creando segni per lo più lineari di colore giallo e nero; questi ultimi sono le tracce della gestualità dell’autore, in cui è racchiuso l’unico vero significato dell’evento artistico. Dopo aver negato ogni forma e ogni figurazione, il segno è ormai la sola espressione possibile.

Dossier Arte - volume 3 
Dossier Arte - volume 3 
Dal Neoclassicismo ai giorni nostri