Lucio Fontana e lo Spazialismo

   9.  DAL DOPOGUERRA ALLA FINE DEL NOVECENTO >> I maestri e i movimenti del secondo Novecento

Lucio Fontana e lo Spazialismo

Lucio Fontana (Rosario, Santa Fé 1899-Comabbio, Varese 1968) nasce in Argentina da genitori italiani; il padre è scultore. Dopo essersi stabilito in Italia nel 1905, tra gli anni Venti e gli anni Trenta studia a Milano all’Accademia di Brera e si dedica alla scultura figurativa o astratta, sviluppando parallelamente tecniche tradizionali e d’avanguardia. Pur suscitando l’apprezzamento di altri artisti la sua prima produzione non riesce ad imporsi all’attenzione della critica. Durante il secondo conflitto mondiale ritorna nel suo Paese d’origine, dove dà vita al movimento dello Spazialismo, finalizzato ad adeguare i linguaggi e le tecniche artistiche a un progresso scientifico che in quegli anni diventa sempre più rapido e incisivo. Le linee guida del movimento sono esplicitate nelle pagine del Manifesto Blanco, scritto dallo stesso Fontana con un gruppo di altri artisti e pubblicato nel 1946.
Alla fine degli anni Quaranta rientra definitivamente in Italia e collabora con numerosi architetti dell’ambiente milanese realizzando installazioni ambientali; contemporaneamente concepisce le prime opere che, come nel caso del Concetto spaziale del 1949-1950 (1), sono caratterizzate da buchi irregolari praticati sulla tela con un punteruolo. Da questo momento, negandole con lacerazioni, o ricoprendole con incrostazioni di polveri e frammenti, o ancora arricchendole con fonti luminose artificiali, l’autore supera le espressioni artistiche tradizionali, restituendo loro al contempo una nuova vitalità.

Finito l’uomo, continua l’infinito

Per Lucio Fontana l’epoca contemporanea esige un’arte lontana dalla rappresentazione figurativa; inoltre, anche le forme astratte ottenute per deformazioni progressive di immagini realistiche sono superate. Egli scrive che «la scoperta di nuove forze fisiche, il dominio della materia e dello spazio impongono gradualmente all’uomo condizioni che non sono mai esistite nella sua precedente storia. L’applicazione di queste scoperte in tutte le forme della vita crea una trasformazione sostanziale del pensiero. Il cartone dipinto, la pietra eretta non hanno più senso […]. L’opera d’arte non è eterna, nel tempo esiste l’uomo e la sua creazione, finito l’uomo continua l’infinito». L’artista deve quindi tendere a una sintesi, integrando tra loro molteplici elementi come la materia, il colore, la luce, lo spazio e il tempo e, soprattutto, deve lavorare affinché il rapporto tra opera e osservatore sia di tipo dinamico e partecipativo. Quasi tutte le realizzazioni di Fontana avranno il titolo di Concetto spaziale, spesso seguito da un sottotitolo; in questa denominazione è racchiuso il significato di un’arte che ambisce a essere creazione unitaria, di un uomo contemporaneo che nel suo fare vuole cogliere la totalità dello spazio e l’estensione del tempo.

Le Pietre e i Barocchi

Dopo le prime essenziali realizzazioni dei Buchi, l’artista esegue opere più complesse, come il Concetto spaziale del 1956.

  › pagina 403  

Concetto spaziale (1956)

In quest’opera (2), accanto alle forature del supporto compaiono aggiunte di nuovi materiali disposti sulla tela in un dialogo vorticoso tra pieni e vuoti, sporgenze e rientranze, luci e ombre. Grazie a striature di sabbia e lustrini, o a pezzi di vetro che lo stesso Fontana chiama “pietre”, l’autore manipola ulteriormente la materia e il colore, distaccandosi dall’approccio minimale delle opere iniziali per aprire un ulteriore percorso dello Spazialismo improntato a una maggiore articolazione creativa.

Il Golgotha: Crocifissione

Tale linea di sviluppo diventa ancor più esuberante nei cosiddetti Barocchi, un ciclo di realizzazioni in cui Fontana si riavvicina alla rappresentazione, tracciando forme ideogrammatiche attraverso coaguli di colore, frammenti vitrei o ceramici, porporine dorate, polveri di gesso o di marmo. In particolare, nel Concetto spaziale denominato Il Golgotha: Crocifissione (3), che appartiene a questa serie, viene affrontato il tema sacro della crocifissione; da un fondo cupo, punteggiato da spezzoni di vetro giallo, emergono due forme: una croce bianca in alto e una figura rossa, vagamente antropomorfa, in basso. Con alcune lampadine fissate dietro alla tavola l’artista vuole conferire all’opera un effetto di retroilluminazione che sfrutta le proprietà riflettenti e di traslucenza del vetro.

Nei Barocchi Fontana prosegue il processo di superamento della pittura e della scultura in favore di nuove forme di espressione delle nozioni del tempo e del movimento nello spazio. In tutto ciò il riferimento al Barocco, che l’autore coltiva da sempre nei suoi scritti, è più esplicito e diretto; egli ritiene infatti che questa stagione artistica costituisca un esempio insuperato di introduzione della dimensione temporale nelle opere, attraverso una sintesi grandiosa tra rappresentazione plastica e resa dinamica dei soggetti.

  › pagina 404  

I Tagli

Successivamente l’artista ritorna a una gestualità più austera con i Tagli: si tratta di veri e propri squarci praticati con precisione su tele monocrome e spesso chiusi sul retro con strisce di garza nera. Quest’ultima tecnica, che impedisce allo sguardo di apprezzare riferimenti oltre il supporto, è utilizzata per rafforzare nello spettatore la sensazione di attraversamento verso prospettive spaziali indefinite e totali. Infatti, grazie alle fenditure, lo spazio può fluire attraverso una nuova tipologia di opera che si estende in modo decisivo e potente, superando i limiti usuali di un quadro o di un volume scultoreo, per raggiungere l’unità ideale e materiale prospettata da Fontana nelle sue teorie.
Disposti in serie ritmiche o realizzati singolarmente come nel caso della nitida apertura obliqua di Concetto spaziale. Attesa (4) del 1960, i tagli vengono praticati da Fontana non solo sulle tele ma anche su lastre metalliche, lucide e riflettenti. Il trittico Concetto spaziale. New York 10 (5) del 1962 è un insieme di tre fogli di rame segnati da graffi e da grandi lacerazioni verticali. Nell’opera, realizzata al rientro da un soggiorno negli Stati Uniti, l’artista intende restituire le impressioni della città americana; è egli stesso infatti a dichiarare che solo la lamiera riesce perfettamente «a dare il senso di questa metropoli tutta fatta di vetri, di cristalli, di orge di luci, di bagliori di metallo».

Dossier Arte - volume 3 
Dossier Arte - volume 3 
Dal Neoclassicismo ai giorni nostri