9.  DAL DOPOGUERRA ALLA FINE DEL NOVECENTO


Jackson Pollock, Convergence, particolare, 1952, olio su tela. Buffalo, Albright-Knox Art Gallery.

L'EPOCA E LE IDEE

La fine della Seconda guerra mondiale segna la sconfitta dei fascismi nati in Europa negli anni Venti e Trenta, ma, allo stesso tempo, inaugura una nuova età di tensione. Con la divisione del mondo in due blocchi contrapposti – da una parte gli Stati Uniti e l’Europa occidentale, dall’altra l’Unione Sovietica e i suoi Stati satelliti dell’Europa orientale – ha inizio la guerra fredda, ossia un’ostilità permanente che non si traduce però in conflitto aperto, anche per la consapevolezza delle conseguenze catastrofiche che una nuova guerra mondiale, combattuta questa volta con le armi nucleari, avrebbe sulla stessa sopravvivenza del genere umano.

Cultura e mercato dell’arte nel dopoguerra

L’ascesa delle superpotenze americana e sovietica sancisce la fine della centralità europea. Il fenomeno è evidente anche nel mondo della cultura, che presenta in questi anni una forte tendenza all’“internazionalizzazione”. La capitale mondiale dell’arte si sposta da Parigi a New York, dove la scena culturale è ravvivata da un facoltoso collezionismo privato, dall’apertura di nuove gallerie, dall’attività di importanti istituzioni museali e dalla presenza di una sorta di mecenatismo pubblico che si traduce nel finanziamento di mostre e pubblicazioni. In un mercato dell’arte in cui il valore delle opere cresce vertiginosamente, l’acquisto di un dipinto diventa un investimento volto a trarre profitto dal rialzo dei prezzi, anche al di là dell’interesse specifico per l’arte.
Si afferma inoltre una nuova immagine sociale dell’artista, lontana dalla figura dell’artista ottocentesco, solitario o inserito in ristrette cerchie di critici e collezionisti. I nuovi creativi sono immersi in vasti sistemi di relazioni professionali e commerciali, e conoscono, in alcuni casi, ampia popolarità.

Dal boom economico al Sessantotto

Queste novità si spiegano con le grandi trasformazioni degli anni Cinquanta. Stati Uniti, Europa e Giappone conoscono straordinari ritmi di crescita economica, che permettono la costruzione, all’interno dei singoli Stati, di complessi sistemi di welfare (assistenza sanitaria, scuole e servizi alla persona). Il welfare contribuisce a estendere su larga scala il benessere sociale e quindi i consumi, incentivati da forme sempre più studiate di pubblicità. Insieme al cinema, alla fotografia e alla televisione – che si diffonde rapidamente in tutti i Paesi industrializzati – la pubblicità contribuisce al predominio dell’immagine sulla parola scritta. Questi processi comportano anche un’omologazione culturale che suscita la reazione di parte del mondo intellettuale. È il caso, in ambito filosofico, della Scuola di Francoforte e di Herbert Marcuse, che con il suo L’uomo a una dimensione (1964) denuncia il carattere oppressivo di una società che ingloba – e quindi neutralizza – qualsiasi pensiero critico e qualsiasi opposizione sociale.
La critica alla società capitalistica si intreccia, alla metà degli anni Sessanta, con l’opposizione alla Guerra del Vietnam. Iniziata nel 1964 con l’occupazione dell’università di Berkeley, in California, la “contestazione giovanile” si diffonde anche in Europa, culminando nelle imponenti manifestazioni parigine del maggio 1968. Se i contenuti politici della contestazione trovano scarsa applicazione, molto più incisiva è la rivoluzione dei costumi che, anche grazie all’apporto dei movimenti femministi, conduce a una liberalizzazione dei comportamenti sessuali e, in alcuni Paesi come l’Italia, alla riforma del diritto di famiglia (che ridimensiona il potere di mariti e padri nei confronti di mogli e figli) e alla legalizzazione del divorzio e dell’aborto.

La fine di un’epoca

Proprio mentre si allargano i diritti sociali e civili, il modello di sviluppo occidentale mostra chiari segni di crisi. La crisi petrolifera del 1973 rivela la vulnerabilità di un’economia dipendente dalle risorse petrolifere, mentre la crisi del welfare dovuta a una spesa pubblica ormai insostenibile apre la strada a ricette politiche ed economiche di stampo liberista, che negli anni Ottanta, con il premier britannico Margaret Thatcher e il presidente americano Ronald Reagan, pongono le basi per il superamento degli equilibri che hanno governato il pianeta dal dopoguerra in poi.
Alla fine degli anni Ottanta, anche il contesto geopolitico subisce una radicale trasformazione. La caduta del muro di Berlino, nel novembre del 1989, e la riunificazione della Germania dell’Est e dell’Ovest, nel 1990, sono il preludio al crollo dell’Unione Sovietica (1991). Il venir meno di uno dei due protagonisti dell’ordine mondiale postbellico segna la fine della guerra fredda e, per qualche tempo, l’illusione di una nuova stabilità mondiale.

Dossier Arte - volume 3 
Dossier Arte - volume 3 
Dal Neoclassicismo ai giorni nostri