Il Divisionismo

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Il Divisionismo

A partire dagli anni Ottanta alcuni artisti, in particolare di formazione lombarda, cominciarono a scomporre la campitura e a restituire l’insieme della forma attraverso il solo accostamento di colori primari, stesi per sottili filamenti. Lo spazio vuoto tra un tratto e l’altro, impercettibile a distanza, fa sì che l’occhio ricomponga la figura apprezzandone le delicate sfumature tonali. Gli elementi del dipinto sono dunque sintetizzati dalla retina umana con un’inevitabile percentuale di soggettività.
Lo sviluppo delle ricerche divisioniste è sollecitato anche da alcuni studi sulla percezione e sulla scomposizione del colore in luce del fisico francese Michel-Eugène Chevreul (1786- 1889) nonché dalla pubblicazione, nel 1879, di Modern Chromatics (tradotto in Italia come La scienza moderna dei colori) del fisico statunitense Ogden N. Rood (1831-1902).
Gli esperimenti di scomposizione dell’immagine attuata dai divisionisti hanno dunque anche basi scientifiche, come del resto accadde in Francia con i colleghi pointillistes. Possiamo individuare una data di nascita ufficiale del Divisionismo italiano nel 1891, in corrispondenza della Triennale di Milano, quando i caratteri di una pittura basata sul controllo della composizione e sul paziente accostamento di fili cromatici, contraddistinguono con evidenza le proposte di Giovanni Segantini e Angelo Morbelli.

La pittura per filamenti di Giovanni Segantini

Gaetano Previati (► p. 217) chiude un suo trattato affermando che Giovanni Segantini (Arco 1858-Engandina 1899) è il padre del Divisionismo italiano. Formatosi all’Accademia di Belle Arti di Brera, che frequenta dal 1874, Segantini si avvicina alla tecnica divisionista nel 1886, quando sperimenta un allungamento della pennellata che si trasforma in sottile filamento di colore. Predilige soggetti che si prestano a una lettura simbolista, ovvero immagini di fantasia o di apparente realismo che rimandano a concetti esistenziali, toccando le corde più vive dell’emotività umana attraverso il sapiente controllo del contrasto luministico.

Ave Maria a trasbordo

Ne è una prova eccellente l’Ave Maria a trasbordo (32) un’opera chiave della svolta divisionista di Segantini. Al tocco dell’ Angelus, il pastore smette di remare e prega, assieme alla moglie che diviene immediatamente il simbolo di una Madonna contadina con il bimbo al collo. Segantini secolarizza l’iconografia della Sacra famiglia e dedica la stessa attenzione di matrice verista alle pecore, alle figure umane e al paesaggio intorno, a sottolineare il senso di profonda armonia che lega l’uomo alla natura. La stesura concentrica del colore crea un’aureola luminosa attorno alla barca, enfatizzata dai riflessi dell’acqua. Attraverso la luce Segantini crea un’atmosfera mistica immersa in un’ideale sospensione spazio-temporale. Il dipinto, che è un rifacimento di una precedente versione del 1882, viene inviato nel 1887 a una Esposizione ad Amsterdam, dove l’artista riceve una medaglia d’oro.

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Le due madri

Segantini conclama la sua adesione al Divisionismo con il dipinto Le due madri (33) alla Triennale di Milano del 1891. Ancora debitore di un certo spirito verista nella scelta del soggetto, egli mostra la struggente scena dell’interno di una stalla, dove una donna dorme col suo piccolo sulle ginocchia; per analogia, un vitello si è assopito ai piedi della mucca. Il parallelismo tra la maternità umana e quella animale eleva il sentimento a simbolo di amore universale; un messaggio che passa per via emotiva grazie agli intensi effetti luministici consentiti dalla tecnica divisionista. Segantini indaga il soggetto dal vero, come dimostra il breve testo in cui egli stesso racconta come abbia studiato gli effetti luministici: «Ritrattomi indietro sporsi la mano in direzione della lanterna per coprirvi la fiamma, la quale allora era affatto scoperta, e rividi come per incanto il primo effetto luminoso, caldo e dorato che dà il vecchio legno di larice». La resa vivida dell’atmosfera all’interno della stalla, è ciò che Segantini mira a riprodurre nel dipinto, e lo fa ricorrendo all’uso degli ocra e dei rossi, che vanno ad aggiungersi all’accostamento dei colori puri, accorgimento caratteristico della tecnica divisionista. La pennellata tattile è descrittiva ma si rende al contempo filamento che tesse le forme, ovattandone i contorni nella penombra. Il trattamento calibrato della luce immerge la scena in un profondo silenzio che ammanta il dipinto di un velo di misticismo.
Tre anni più tardi, nel 1894, Segantini si trasferirà in Engadina e le Alpi svizzere diverranno il soggetto principale della sua ricerca pittorica.

Il Divisionismo applicato ai soggetti sociali: Angelo Morbelli

Come Segantini, anche Angelo Morbelli (Alessandria 1853-Milano 1919) apprende la pittura all’Accademia di Brera, che frequenta dal 1867. Nel 1883 vince il prestigioso Premio Fumagalli, conferito dalla stessa Accademia, seguito da una medaglia d’oro all’Esposizione Universale di Parigi nel 1889.

In risaia

A partire dagli anni Novanta Morbelli s’interessa a soggetti di ambito verista, come dimostra la serie dedicata al lavoro delle donne nelle risaie, situazione a lui ben nota essendo originario del Monferrato. In risaia (34), esposto a Milano nel 1900, è un dipinto iniziato nel 1898, nel quale il rigore di un’impostazione accademica, basata sul disegno e sul controllo delle proporzioni, risulta però abbinato a una tecnica pittorica divisionista, per la quale il colore è steso sulla tela per brevi tratti regolari. In un formato insolitamente verticale, Morbelli inserisce in primo piano le figure delle tre mondine che, avendo dimensioni di poco inferiori al vero, accentuano il senso di coinvolgimento dello spettatore. Anche il gioco dei movimenti delle tre figure è assai studiato: le due donne chinate mettono in risalto la terza, che si è rimessa in piedi per sgranchire la schiena, sottolineando dunque la fatica del lavoro. File ben ordinate di piantine di riso sbucano dall’acqua e scandiscono i piani della visione fino al secondo gruppo di donne al lavoro. La scena si chiude con un orizzonte lontano, disegnato da un bosco spontaneo. Il campo inondato d’acqua diviene lo specchio d’innumerevoli riflessi che Morbelli restituisce nelle tonalità dei verdi e dei blu. La sapiente alternanza di chiaroscuri accende i bianchi delle camicie e dei fazzoletti delle operaie e rende sature le tinte delle gonne, abilmente arrotolate in vita. La tecnica pittorica così controllata, l’elusione di gesti scomposti, a rimarcare la fatica, e l’uso sapiente di una luce pressoché mistica elevano la fatica di queste braccianti a un messaggio di universale dignità del lavoro, anche del più umile.

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Il Natale dei rimasti

Morbelli espone alla Biennale di Venezia del 1903 Il Natale dei rimasti (35). L’immagine dei “rimasti” nell’istituto di accoglienza per anziani di Milano nel giorno di Natale rende con straordinaria efficacia il senso di solitudine e abbandono del tema annunciato nel titolo.
Dopo un attento studio dal vero, Morbelli pone al centro della scena la figura di un uomo, colpito dalla stessa luce zenitale che illumina il compagno seduto sulla panca alle sue spalle, con il capo reclinato. Solo in un secondo momento si notano gli altri “rimasti” nella penombra, tutti contraddistinti da un evidente atteggiamento di rassegnazione. La tecnica divisionista crea una trama pittorica fitta e vibrante che colma la stanza di una luce pulviscolare. La descrizione dell’interno, estremamente spoglio, accentua il senso di solitudine e di marcato silenzio che ammanta la scena.

Pellizza da Volpedo: un divisionismo tardo

Alla esposizione di consacrazione del Divisionismo, la Triennale del 1891, partecipa anche Giuseppe Pellizza da Volpedo (Volpedo 1868-1907), anche se le opere che presenta non sono ascrivibili al Divisionismo canonico, ma risentono ancora del soggiorno parigino in occasione dell’Esposizione Universale del 1889.

La processione

È solo con la successiva frequentazione di Morbelli che Pellizza, nel giugno del 1892, sperimenta una stesura sistematicamente separata del colore. La processione (36), un dipinto iniziato proprio nel 1892 e concluso tre anni dopo per essere presentato alla Prima Biennale di Venezia (1895), è una delle prime opere divisioniste di Pellizza. La scena è resa con una pennellata intessuta di una fitta trama di colori puri, ben dosati, che rendono la complessità del passaggio di luce e ombra del pieno giorno. La scansione netta delle ombre rende l’effetto dell’avanzare delle figure. La scelta di un soggetto di stampo religioso e l’accensione dei bianchi così densi di luce rimandano anche alla precedente pittura preraffaellita, corrente stilistica particolarmente apprezzata sia dagli artisti sia dalla critica italiana di fine Ottocento. La fuga prospettica della stradina e l’incrociarsi degli alberi attirano immediatamente l’attenzione sulla croce al centro, permettendo solo successivamente all’occhio di vagare sugli altri elementi del dipinto costituito per la massima parte dalla porzione di strada. Un’accentuazione così forte del viottolo in primo piano, che tiene a distanza la processione, permette un diretto coinvolgimento dello spettatore, elemento compositivo che Pellizza da Volpedo riproporrà anche nel celebre Quarto Stato.

Dossier Arte - volume 3 
Dossier Arte - volume 3 
Dal Neoclassicismo ai giorni nostri