Edgar Degas

   4.  LA STAGIONE DELL’IMPRESSIONISMO >> L’Impressionismo

Edgar Degas

Edgar Degas (Parigi 1834-1917) nasce in una ricca e nobile famiglia di origine napoletana; il padre, un raffinato banchiere, lo guida alla scoperta dei capolavori del Louvre. Nell’aprile del 1855 entra all’Accademia di Belle Arti di Parigi dove segue i corsi di disegno di Louis Lamothe (1822-1869), allievo diretto di Ingres. Dopo appena sei mesi abbandona l’Accademia ritenendo più attraente e utile trascorrere del tempo in Italia, dove vivrà per quattro anni (1856-1859). Sviluppa allora un linguaggio pittorico che fa riferimento al colorismo di Eugène Delacroix e alle opere del Rinascimento italiano. La presenza di Degas in Italia, in particolare a Firenze dove entra in contatto con i macchiaioli, costituì una grande occasione di crescita per gli artisti italiani. Rientrato a Parigi, nel 1864 conosce Édouard Manet col quale instaura una profonda quanto complicata amicizia. È Manet a introdurlo all’ambiente artistico del Caffè Guerbois, dove Degas può intrattenersi in lunghe discussioni sulla pittura in compagnia del resto del gruppo impressionista, col quale condivide certamente l’esigenza di raccontare la vita moderna parigina. Al contempo, tuttavia, Degas non è disposto a rinunciare né alla presenza del disegno né all’elaborazione del dipinto in atelier. Se infatti gli impressionisti lavorano en plein air e si pongono come fine ultimo la resa dell’impressione, Degas mira all’essenza della pittura stessa e ritiene che il disegno sia uno strumento imprescindibile. Alla domanda dello scrittore e critico Paul Valéry (1871-1945) su che cosa rappresentasse per lui il disegno, Degas rispose che «il disegno non è la forma, è il modo di vedere la forma».
L’artista si concentra su scene d’interno restituite con un’apparente immediatezza d’esecuzione, che è in realtà il frutto di un’operazione intellettuale che passa dall’esercizio puntuale del disegno e del bozzetto preparatorio. «Nessun’arte è tanto poco spontanea quanto la mia», era infatti solito affermare.

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Il periodo italiano

Gli anni italiani rappresentarono una tappa fondamentale per Degas che, viaggiando per la Penisola da Venezia a Firenze, da Roma a Napoli a Palermo, trovò negli artisti rinascimentali del calibro di Giotto, Signorelli e Botticelli un’inesauribile fonte di ispirazione.

La famiglia Bellelli

Proprio nel rispetto del rigore compositivo di Giotto e del primo Rinascimento, ne La famiglia Bellelli (15) ritrae la zia paterna, Laura, con le due figlie Giulia e Giovanna avute dal marito, il barone Bellelli. Lo zio, patriota italiano, fu espulso da Napoli a causa delle sue idee politiche e si trasferì con la famiglia a Firenze, dove Degas ebbe modo di realizzare il dipinto. La zia, che porta ancora il lutto per la morte del padre, è una figura di composta tristezza: lo sguardo duro rivolto al marito rivela la delusione per l’abbandono della città partenopea ed esprime tutta la fermezza di un temperamento severo.
Sono infinitamente più dolci i volti tondeggianti – evidente eredità di Ingres – delle due figlie, una delle quali tiene una gamba ripiegata, gesto che apporta una certa colloquialità alla scena. La gestione compositiva di un dipinto di così grandi dimensioni mette a dura prova il giovane Degas che compie lunghi disegni preparatori per giungere a un impianto rigoroso, tenendo a mente la lezione compositiva seicentesca, prima fra tutte quella di Antoon Van Dyck (1599-1641). Il dipinto ha le dimensioni del quadro di storia, proprio perché Degas vuole elevare il dolore della zia a una tragedia greca. Vi è un clima di sospensione che ammanta la scena, i personaggi sono immobili, in posizioni che rivelano con chiarezza i rapporti emotivi che intercorrono nella famiglia: la distanza fisica è metafora di un allontanamento della coppia. Il senso di sottile inquietudine è ribadito dal ripetersi della carta da parati che si riflette anche nello specchio, che a sua volta dilata la prospettiva della stanza all’infinito.
L’artista intrattiene un costante carteggio con la zia nei mesi in cui, rientrato a Parigi, sta ultimando il dipinto con l’intenzione – poi disattesa – di esporlo al Salon del 1859. In realtà il grande ritratto potrà dirsi concluso solo nel 1867.

L’analisi della società parigina

Il rientro a Parigi coincide anche con una fase di cambiamento nella scelta dei soggetti: influenzato dalla diffusione dei romanzi naturalisti, Degas dimostra un certo interesse verso soggetti tratti dalla vita reale e dà inizio alla celebre serie delle lavandaie e stiratrici che, all’inizio del Novecento, saranno evocate anche da Picasso.

Una stiratrice

Realizzato nel 1873, il dipinto (16) è uno splendido esempio del cambiamento che corrisponde anche a un mutamento di stile pittorico: Degas, dopo l’incontro con Manet, sta volgendo a soluzioni impressioniste.
La piccola tela mostra un laboratorio di stireria dove una giovane donna, di profilo e in controluce, passa energicamente il ferro sui panni. La figura della ragazza prende forma dal solo contrasto cromatico col chiarore del fondo ed è trattata come una silhouette, senza una vera profondità plastica. Gli effetti luministici sono sorprendenti e garantiscono alla scena la vivacità dell’attimo: nel tentativo di immortalare il movimento, Degas impiega una pennellata rapida, densa di colore ma non definita all’interno di contorni definiti. Soprattutto i bianchi sono stesi per strati spessi e sovrapposti, che imitano la rapidità del movimento stesso nel quale i contorni delle mani si scompongono. La piccola tela, esposta alla Seconda Mostra degli impressionisti (1876) accanto ad altri quattro dipinti di soggetto analogo, è accolta da parole di elogio da Zola e correttamente il critico di “La Presse”, Alexandre Pottery, ne individua «una vena forte, alla Daumier». Come questo artista, infatti, Degas mantiene in ombra il soggetto e non ne definisce il volto, così da rendere possibile identificarvi la maggior parte delle anonime stiratrici attive nella Parigi del tempo. Il braccio sinistro della donna è fortemente ridipinto, probabilmente su richiesta di Paul Durand-Ruel, mercante del gruppo, che non era soddisfatto della prima stesura del dipinto.

Dossier Arte - volume 3 
Dossier Arte - volume 3 
Dal Neoclassicismo ai giorni nostri