L’architettura del ferro e la città moderna

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L’architettura del ferro e la città moderna

La Rivoluzione industriale, avviata già dalla fine del Settecento, nel corso del secolo successivo conobbe un inarrestabile sviluppo con dirette conseguenze sul progresso delle tecnologie, incluse le tecniche costruttive. I nuovi forni progettati per le industrie potevano sviluppare un potere calorico tanto alto da piegare il ferro soddisfacendo le esigenze progettuali della nuova architettura. A partire dalla metà dell’Ottocento gli architetti potevano dare forma ai progetti più ambiziosi, tenendo conto anche della possibilità di impiego di nuovi materiali, come la ghisa e l’acciaio e dell’uso del vetro, anche su ampie superfici. D’un tratto, dunque, le strutture murarie sembrarono obsolete e divennero il simbolo di un pensiero e di un gusto retrogradi. Emerse una nuova figura, l’ingegnere, ormai indispensabile al fianco dell’architetto per risolvere i complessi calcoli statici di edifici e strutture in ferro dalle dimensioni monumentali.
La nuova architettura si rivelò infatti idonea e vantaggiosa per le grandi opere pubbliche – stazioni, ponti, torri, viadotti e palazzi espositivi – e il paesaggio urbano mutò profondamente.

Una cattedrale moderna

Emblema e celebrazione dell’evoluzione sviluppata dalla società moderna, Londra – non a caso allora la città industrialmente più avanzata – inaugurò nel 1851 la Prima Esposizione Universale (24), per la quale innalzò un edificio di straordinaria imponenza completamente realizzato in metallo e vetro, e dunque subito ribattezzato Crystal Palace (Palazzo di Cristallo).

Crystal Palace

La costruzione è opera dell’architetto inglese Joseph Paxton (Bedfordshire 1803-1865), il cui progetto ebbe la meglio sugli altri 245 concorrenti (25). Paxton, esperto di serre, realizzò una sorta di enorme “scatola” in cristallo che con i suoi 92 000 metri quadrati doveva ospitare la storia dell’umanità. La struttura era costituita da una navata centrale, lunga circa mezzo chilometro, su cui si affacciavano delle gradonate che ospitavano gli stand, e da un transetto. L’incrocio col transetto era coperto da un’alta volta a botte ideata per accogliere alcuni alberi secolari. L’edificio monumentale venne realizzato in pochi mesi grazie alla capacità di Paxton di destreggiarsi con le nuove tecniche edilizie. Il progetto era infatti costituito da elementi geometrici piuttosto semplici, in ghisa e vetro, così da poter affidare la produzione delle varie parti a differenti fonderie per poi assemblare i singoli pezzi. L’aspetto della modularità implicava anche un altro vantaggio: il padiglione poteva essere smontato e rimontato altrove, riciclando le strutture tutt’altro che fragili e in ogni caso facilmente sostituibili. Terminata la mostra, l’edificio fu infatti smantellato e ricostruito alle porte di Londra, a Sydenham, dove un incendio lo distrusse nel 1937.
L’Esposizione del 1851, con i suoi 6 milioni di visitatori, provenienti da ogni classe sociale (l’entrata costava solo uno scellino), in soli 141 giorni d’apertura fu un successo straordinario, anche in termini economici. Gli organizzatori incassarono 522 000 sterline, contro le 335 000 di spese. Il ritorno economico, nonché il prestigio di ospitare manifestazioni-volano per l’economia della nazione, fece sì che il sistema delle Esposizioni Universali continuasse, con una certa regolarità, nelle maggiori città europee e negli Stati Uniti.

Dossier Arte - volume 3 
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Dal Neoclassicismo ai giorni nostri