Dossier Arte - volume 2

   3.  IL SEICENTO >> Arte e stupore: il Barocco

L'Olanda e l'epoca d'oro

I Paesi Bassi del Nord, a maggioranza calvinista, si erano resi autonomi dai Paesi Bassi del Sud, cattolici e governati dalla Spagna, nel 1581, dandosi un assetto statale repubblicano guidato da uno statolder, capo di governo nominato dagli Stati generali delle sette province del Paese. L’Olanda è la principale tra le regioni aderenti, guidata per primo da Guglielmo il Taciturno (1533-1584) della casa di Orange, destinata - salvo alcune parentesi - a governare il Paese fino ai giorni nostri.
Come per la Spagna, anche per l’Olanda il Seicento è il Secolo d’oro: grazie al clima di tolleranza religiosa, i Paesi Bassi del Nord attirano commercianti, artigiani, uomini di scienza, filosofi da ogni parte d’Europa, soprattutto ebrei e protestanti. Con le dighe, nuove terre vengono sottratte al mare, mentre la flotta olandese traccia rotte commerciali in concorrenza con Inghilterra, Spagna, Francia e Portogallo. In un contesto di particolare benessere economico si diffonde una produzione artistica indirizzata non più alla Chiesa o alla corte ma a quella che si va affermando come la nuova classe dirigente: la borghesia. Il mercato chiede quadri di piccole dimensioni, una forte aderenza alla rappresentazione della realtà (caratteristica secolare della pittura fiamminga e dei Paesi Bassi in generale), temi legati alla vita quotidiana, mentre diminuisce la richiesta di storie mitologiche o religiose; si diffonde invece la pittura "di genere" e molti artisti si specializzano in nature morte, paesaggi, fiori, ritratti, interni domestici o scene di taverna. In un contesto vivace fatto di numerose personalità artistiche, i principali esponenti del Secolo d’oro sono due artisti diversi fra loro per indole e tecnica pittorica ma simili per gli esiti di innovazione, Jan Vermeer e Rembrandt van Rijn.

Jan Vermeer

Johannes (o Jan) Vermeer (Delft 1632-1675) nasce in una famiglia protestante: il padre è mercante di opere d’arte e albergatore, mestieri che il figlio continuerà a svolgere nel corso della propria vita. La sua formazione di pittore avviene in ambito locale, e alla città di Delft Vermeer rimane legato in maniera esclusiva. I documenti relativi alla biografia del pittore sono pochissimi. È certo che abbia dovuto affrontare notevoli problemi economici, solo in parte risolti grazie al matrimonio con Catharina, di famiglia agiata ma cattolica: religione che Vermeer adotta nel 1653, l’anno in cui si sposa.
Le sue opere sono pochissime, oscillano fra le trenta e le quaranta al massimo (mentre il catalogo di Rubens è sterminato, e lo stesso Rembrandt ha prodotto molte centinaia di opere, ma entrambi grazie anche a un atelier con numerosi collaboratori). Vermeer è invece un solitario, non ha allievi né aiuti. Eppure la sua pittura costituisce uno dei principali contributi olandesi all’arte moderna.
Quel che colpisce subito è la distanza enorme dal modello italiano in voga nell’Europa barocca: le pose teatrali, i gesti enfatici hanno lasciato il posto nei suoi dipinti ad azioni quotidiane, alla poesia luminosa di semplici gesti. Il Barocco trova proprio in Olanda il suo limite geografico estremo; giunge qui a compimento un percorso di liberazione dalle convenzioni che parte da Caravaggio, dalla materialità dei suoi soggetti anche religiosi, e si compie in pochi decenni dilagando in Europa, innervando la pittura di genere, aggiornando e ridimensionando a misura d’uomo le scene religiose, restituendo dignità a ogni singolo volto e oggetto. Inizia qui, in Olanda, un’arte "laica", concentrata sul presente e su un mondo condiviso dal pittore e dal suo pubblico.

La lattaia

Nel dipinto (119), realizzato tra il 1658 e il 1661, Vermeer opta per un approccio "tattile" al colore che aiuti la rappresentazione nella simulazione illusionistica del vero senza però rinunciare alla cura meticolosa dei dettagli. In un’ambientazione austera, la protagonista è una solida donna del popolo, con le maniche rimboccate e intenta ai lavori domestici, bloccata nel suo gesto di versare latte da una brocca; al tempo stesso naturale e in posa; non ritratto ma espressione di un concetto, quello della dignità delle occupazioni più quotidiane, fondamento della morale olandese; sul tavolo pochi oggetti di uso comune e due simboli tradizionali della semplicità: il pane e il latte.

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La ragazza con l'orecchino di perla

II dipinto (120), eseguito intorno al 1665, è uno dei più famosi dell’arte occidentale, una fama conquistata con pochi elementi comunicativi: uno sguardo carico di fascino e mistero, la bocca socchiusa, le labbra umide, un atteggiamento naturale - quasi un’istantanea -, il lampo di luce della perla nel buio. In questo "tronie" (ossia non un vero ritratto, cioè, ma una raffigurazione di fantasia a partire da un modello) si evidenza la mancanza di ogni disegno preliminare sulla tela. Vermeer dipinge direttamente sul supporto; il profilo del naso è dato da una differenza di colore dell’incarnato rispetto a quello della guancia, il profilo destro emerge dal buio senza soluzione di continuità, anzi, è il buio che prosegue nel nero dell’occhio; le pieghe del vestito sul braccio, in primo piano, sono appena accennate .

Allegoria della pittura

La scena (121) si svolge nello studio del pittore, raffigurato di spalle mentre dipinge e individuato da una giacca scura a listelli già vista in altri dipinti suoi; una modella coronata di alloro regge la tromba della Fama e il libro, attributo di Clio, musa della Storia; la grande carta geografica alla parete raffigura i Paesi Bassi nella loro integrità precedente la guerra con la Spagna; un ampio tendaggio si apre come un sipario e una sedia ingombra il primo piano come a sottolineare l’esistenza di un diaframma che separa il nostro mondo da quello rappresentato.
Il quadro - realizzato con una cura dei dettagli e dell’effetto complessivo perfino superiori al consueto - è certamente un orgoglioso omaggio del pittore a se stesso e alla pittura.

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Rembrandt

Il più anziano fra i due artisti, Rembrandt Harmenszoon van Rijn (Leida 1606-Amsterdam 1669), nasce nella famiglia di un mugnaio benestante. La sua abilità di pittore gli frutta incarichi prestigiosi da parte della corte dell’Aia e della borghesia facoltosa di Amsterdam.
Il suo modo di lavorare - con l’aiuto di uno stuolo di apprendisti in un grande atelier - lo rende uno dei più prolifici artisti del suo tempo. Come Vermeer, deve fare i conti con problemi economici, ma nel suo caso sono determinati da un’innata propensione a spendere più di quanto sia il guadagno, fra mogli e amanti, figli legittimi e non, debiti e creditori. Come Vermeer, sposta l’arte del suo tempo in una diversa direzione rispetto alla tradizione legata all’arte italiana di quell’epoca, cercando nella materia del colore, spesso magmatica e grumosa, la via di una comunicazione emotiva dei caratteri del personaggio, al di là di ogni idealizzazione.
La sua produzione consta di dipinti, disegni e incisioni. Dai soggetti religiosi o storici della gioventù passa ai paesaggi, poi soprattutto ai ritratti, anche di gruppo. Appartengono a quest’ultima categoria alcuni tra i suoi capolavori di penetrazione psicologica nella resa dei volti dei personaggi.

La lezione di anatomia del dottor Tulp

Il dipinto, eseguito nel 1632, è un ritratto di gruppo (122), categoria in cui l’artista dà il meglio di sé: era infatti pagato circa cento fiorini al pezzo, per ogni ritratto, ma in questo caso la cifra va moltiplicata per ciascuno dei personaggi. Il dottor Claes Pieterszoon sceglie il cognome Tulp dal nome olandese del fiore simbolo del Seicento olandese. Noto chirurgo, affida la propria immagine professionale e quella di sette suoi colleghi al pennello di Rembrandt, che riesce a rendere in modo credibile le interazioni fra gli astanti, in una scena realistica e correttamente documentata sul piano scientifico-anatomico. Il professor Nicolaes Tulp esegue la dissezione del corpo di un giustiziato: un assistente regge un libro con i nomi dei personaggi ritratti, colti in differenti espressioni di stupore, ribrezzo e curiosità e magnificamente sottolineati dalla luce.

La ronda di notte

Il più noto e teatrale fra i suoi ritratti di gruppo, La ronda di notte (124), a dispetto del titolo poi attribuito al quadro, è una rappresentazione diurna: l’aspetto scuro è dovuto al deteriorarsi di alcuni colori e un recente restauro ha restituito brillantezza alle rapide pennellate intrise di luce. L’artista riesce a togliere alla raffigurazione collettiva l’inevitabile, fino allora, sensazione di "posa forzata", la ripetitiva immobilità che ritroviamo nelle nostre foto di classe dei tempi della scuola; conferisce al gruppo della milizia cittadina profondità e movimento, colloca al centro i due personaggi principali, il capitano Frans Banninck Cocq, vestito di scuro, e il suo luogotenente con una giacca di un giallo vivace sulla quale spicca, con un effetto pittorico magistralmente controllato, l’ombra della mano sinistra del capo milizia; attorno si muovono disordinatamente, al ritmo di un tamburino, fucilieri e alabardieri. Il dipinto decorava il quartier generale della Guardia civica di Amsterdam.

Gli autoritratti

L’ossessione del volto e delle sue espressioni è testimoniata, in Rembrandt, anche dall’altissimo numero di autoritratti, circa un centinaio: una carrellata di visioni di se stesso - spesso con abiti di scena e strani copricapi - che idealmente parte da un giovanile, ombroso Pittore nello studio e termina con il maestoso Autoritratto con tavolozza e pennelli del 1665 circa (123). In questo dipinto l’artista, ormai sessantenne, si ritrae all’opera, nel suo studio, fiero degli umili panni da lavoro che indossa e che lo proteggono dalle macchie di colore. Sulla parete di fondo si intravvedono alcuni cerchi di difficile interpretazione, forse mappamondi stilizzati o semplici forme geometriche che vogliono suggerire la perfezione della pittura e la sua capacità di ritrarre l’universo. 
Ne Il pittore nello studio (125), la scena è spoglia e quasi povera, con un pavimento di legno grezzo e, nell'ombra dell'angolo sinistro, il tavolo. In ombra è anche il pittore, perché l'attenzione si concentra piuttosto sull'intera stanza e non sui lineamenti del suo volto. 

La sposa ebrea

Il dipinto raffigura una coppia spiata, alle spalle, da un uomo (126). È questo un soggetto che è stato variamente interpretato: si tratta forse della coppia biblica di Isacco e Rebecca, che si fingevano fratello e sorella, ma furono scoperti in atteggiamenti affettuosi dal re Abimelech. L’ultima maniera del pittore è caratterizzata da un trattamento del colore particolarmente elaborato, fatto di molteplici tocchi incrociati e sovrapposti, in cui la materia si raggruma e si stratifica, rendendo impossibile distinguere con chiarezza il percorso del pennello o della spatola. La sposa ebrea è un’opera emblematica del periodo tardo: le vesti sono un incredibile intrico di filamenti colorati, e la diversa grana della pelle femminile rispetto a quella maschile è resa grazie a una diversa gradazione della ruvidezza superficiale del colore, oltre che dalla sua differente intensità. Non stupisce trovare fra gli ammiratori di quest’opera il giovane Vincent van Gogh, che nel 1885 scrive a un amico di essere disposto a «restare seduto davanti a questo dipinto dieci giorni filati con una crosta di pane per unico cibo»: anche nella sua pittura la materia pittorica finirà per impastarsi in grumi espressivi, filamenti luminosi ed esplosioni di colore puro.

Dossier Arte - volume 2
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Dal Quattrocento al Rococò