Dossier Arte - volume 2

   3.  IL SEICENTO >> Arte e stupore: il Barocco

Le Fiandre

Le Fiandre sono la regione più settentrionale dell’attuale Belgio, estesa lungo le coste del mare del Nord. Nel Cinquecento, con il resto del Belgio e le terre dell’odierna Olanda, costituivano ancora un’unica entità territoriale - i Paesi Bassi - sotto la corona spagnola. Le contese religiose e il diffondersi del Protestantesimo avevano però spaccato in due la provincia e nel 1581 le zone settentrionali dei Paesi Bassi, di religione calvinista (variante del Protestantesimo in Svizzera e nel Nord Europa), dichiararono la propria autonomia costituendosi in una repubblica, riconosciuta ufficialmente nel 1648.
Il Belgio (Vallonia francofona e Fiandre, dove si parla una variante dell’olandese), a maggioranza cattolica, rimase invece dominio della Spagna di Filippo II d’Asburgo.
Nel Seicento i due principali poli artistici del Paese sono Bruxelles - sede della corte dell’arciduca Alberto e dell’infanta Isabella sua moglie, figlia del re di Spagna - e Anversa, centro principale delle Fiandre. Proprio Anversa è la patria dei due maggiori artisti fiamminghi del tempo: Antoon van Dyck e Pieter Paul Rubens.

Antoon van Dyck

Van Dyck (Anversa 1599-Londra 1641) è allievo - e poi amico - di Rubens: la sua opera si svolge pressoché interamente all’estero. A ventuno anni si trova a Londra, dove lavora nell’entourage della corte di re Giacomo I. Nel 1621 è in Italia, vera calamita per quasi tutti gli artisti europei; dapprima a Genova, raccomandato da Rubens, poi a Roma, Firenze, Palermo, Venezia - dove può concentrarsi sul suo maestro ideale, Tiziano - e Mantova. Si specializza nei ritratti, genere molto richiesto dalla nobiltà inglese e italiana.
L’interpretazione che Van Dyck dà del Barocco italiano è una fastosa e scenografica celebrazione del potere e del suo apparato amministrativo e aristocratico. Come Rubens e Velázquez, Van Dyck si muove e vive alla pari con la nobiltà, soggetto e destinatario dei suoi dipinti, tra feste sontuose e servitori, carrozze e residenze di lusso: in particolare a Genova, presentato alla migliore aristocrazia cittadina, ha modo di ritrarre alcuni esponenti delle più facoltose famiglie del patriziato locale.

La famiglia Lomellini

Ricca e potente, la famiglia Lomellini sceglie di farsi rappresentare a grandezza naturale, in un ambiente sontuoso che deve sottolinearne la posizione sociale (113). Il capofamiglia, primo da sinistra, veste un’armatura, che scintilla di bagliori metallici, a indicare la sua professione o forse la sua volontà di difendere la famiglia.

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Ritratto della marchesa Elena Grimaldi Cattaneo

Elena Grimaldi Cattaneo (114) è accompagnata soltanto da un servitore, che le regge il parasole: tutta l’attenzione è concentrata nell’emblematico significato sociale del ritratto, elegante e pieno di dignità, quasi aulico come le colonne dello sfondo, e decisamente ricco secondo quanto indicano i dettagli della veste, i pizzi, le perle dell’acconciatura.
Tornato nelle Fiandre, Van Dyck si adatta volentieri alle esigenze della corte, che promuoveva quasi esclusivamente la pittura religiosa, anche per contrastare le tendenze protestanti, nemiche di ogni raffigurazione di soggetto sacro.
Il richiamo di Londra è tuttavia più forte: nel 1632 diviene il pittore preferito del re inglese Carlo I, che sarà oggetto di molti suoi ritratti, a cavallo, a caccia, in vesti regali. Il re gli conferì il titolo nobiliare di baronetto e gli garantì una rendita annua di 200 sterline, oltre a ufficializzare la sua nomina a primo pittore di corte.

Triplo ritratto di Carlo I

Su un piano diverso ma tutto sommato analogo alle complesse creazioni di Velázquez, l’opera (115) è non solo una raffigurazione del potente committente, ma anche una riflessione sulle possibilità dell’arte pittorica. Il dipinto non doveva infatti ritrarre il re per celebrarne la potenza o esaltarne la figura, ma servire da modello a Gian Lorenzo Bernini per realizzare il busto del sovrano: il quadro fu infatti inviato a Roma, per evitare che lo scultore abbandonasse la città. Per rendere più preciso il lavoro di Bernini - che realizzò un ritratto andato poi distrutto in un incendio - la tela raffigura il re frontale, di profilo, e di tre quarti, suggerendo così allo scultore le tre viste da privilegiare nella composizione e dando nuova linfa al dibattito cinquecentesco sul paragone tra le arti, ossia alla disputa su quale forma artistica fosse la maggiore, da un punto di vista estetico e di abilità dell’artefice, se la scultura, che permetteva di apprezzare un soggetto in molteplici vedute, semplicemente camminandoci attorno, o la pittura, che spesso consentiva altrettanto, grazie alla presenza di artifici, come gli specchi o, in questo caso, le vedute multiple.
Van Dyck muore giovane, a quarantadue anni, e riesce così a non assistere alla decapitazione del suo re, Carlo I, vittima illustre dell’atto conclusivo, nel 1649, della guerra civile inglese.

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Pieter Paul Rubens

Rubens (Siegen 1577-Anversa 1640) nasce nel pieno delle guerre di religione tra nord e sud dei Paesi Bassi. Suo padre, avvocato calvinista ad Anversa, si era rifugiato in Germania per sfuggire alle persecuzioni in corso nelle Fiandre ma, alla morte del padre, Pieter Paul torna a soli dieci anni ad Anversa, e aderisce al Cattolicesimo, religione della madre. A partire dal 1600 risiede per lunghi periodi in Italia, dove esegue anche copie da Tiziano e da Caravaggio. La tappa più significativa per la sua carriera è la corte dei Gonzaga a Mantova, ma lavora anche a Roma, Genova, Venezia: per i Gonzaga acquista la tela rifiutata dai committenti della Morte della Vergine di Caravaggio (► p. 348), intuendone immediatamente il valore di sconvolgente capolavoro. Nel 1608 torna ad Anversa e ha un successo clamoroso, diventando artista di riferimento dell’arciduca Alberto, governatore dei Paesi Bassi meridionali. Nel 1609 sposa la diciassettenne Isabella Brant.

Autoritratto con la moglie

Il quadro (116) raffigura la coppia, bella, ricca, serena e sicura di sé, seduta ai piedi di un caprifoglio, pianta beneaugurante, ed è una perfetta rappresentazione della personalità del pittore, giovane di successo e protagonista della scena culturale e sociale. Tutto nella tela esprime agiatezza sociale, grazie soprattutto ai particolari minuziosamente realistici che fanno risaltare la materialità dei tessuti, dei pizzi e dei gioielli.
La sua fama valica i confini di ogni Stato europeo, lavora per mercanti e principi, dalla reggente di Francia Maria de’ Medici a Carlo I d’Inghilterra, a Filippo IV di Spagna. Dipinge soggetti religiosi, ma anche disegna serie di arazzi, illustra libri e fa scenografie per le feste. Ad Anversa apre una bottega (o per meglio dire una fabbrica) in cui dirige uno stuolo di collaboratori aggiungendo sempre alle opere principali il suo tocco personale. Mantiene comunque in tutta la produzione una straordinaria maestria nel colore e una grandiosa complessità delle composizioni. Eccezionale figura di pittore, filosofo, letterato, gentiluomo, Rubens è l’emblema stesso del Barocco e per conto dell’arciduca svolge anche azioni diplomatiche.

Arrivo di Maria de' Medici a Marsiglia

Alla fine del 1621, Rubens riceve da Maria de’ Medici, madre del re francese Luigi XIII, l’incarico di dipingere una serie di quadri monumentali per ornare la galleria del Palazzo del Luxembourg con un ciclo allegorico che illustri la vita e gli ideali politici della committente, reggente del trono francese tra il 1610 e il 1617. In questi anni tumultuosi Maria de' Medici cercò di porre le basi per una pace duratura tra la corona francese e la potenza spagnola, ma quando il figlio salì al trono Maria fu allontanata da Parigi per alcuni anni e solo nel 1620 potè riconciliarsi ed essere riammessa a palazzo. Fu in questo contesto che Maria decise allora di giustificare il suo operato attraverso un grande ciclo pittorico, scegliendo un artista dal lessico aristocratico e magniloquente.
La tela (117) dall'impianto verticale è divisa nettamente in due zone: in alto, spostato verso il fondo, si staglia di scorcio il gruppo delle dame e dei sudditi, che incedono lenti e misurati, mentre in basso, in primo piano, danzano le divinità marine che rappresentano uno dei soggetti più audaci e vitali dell'arte del pittore, con forme opulente, vivaci movimenti e colori cristallini. Le complesse posizioni delle dee marine richiamano da vicino i muscolosi Ignudi michelangioleschi della volta della Sistina, mentre il colore, dai toni caldi e sfumati, rimanda ai maestri veneziani del Cinquecento come Tiziano e Veronese, con una sintesi potente tra due differenti tradizioni artistiche italiane.

Le conseguenze della guerra

Si tratta di una delle opere (118) più significative ed è una drammatica scena allegorica, di eloquenza teatrale, popolata di personaggi-simbolo che devono raffigurare gli effetti dei disastri bellici sulla società e la cultura: a sinistra Europa invoca la pace, al centro Venere cerca invano di trattenere Marte. Il dio della guerra, che brandisce la spada e solleva lo scudo, trascinato da Discordia, travolge le Arti (la Musica, con un liuto spezzato e l’Architettura, in basso, nell’atto di sollevare un compasso) e la Carità, una figura femminile che stringe tra le braccia un bambino. In secondo piano, sullo sfondo di un cielo popolato da tenebre e nubi minacciose, imperversano Peste e Carestia. Il dipinto è una sinfonia di figure di forte presa emotiva, in una perfetta organizzazione scenica, e insieme un efficace veicolo di propaganda per l’Europa dilaniata dalla Guerra dei Trent’anni: le pennellate sono ampie e veloci, forti i contrasti di luce e colore e mentre le Arti tormentate hanno un corpo livido, le bellissime carni rosate di Venere, dietro la quale si apre uno squarcio di cielo azzurro, raffigurano ancora la speranza nella fine del conflitto.

Dossier Arte - volume 2
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Dal Quattrocento al Rococò