El Greco
2. IL CINQUECENTO >> Tra Italia ed Europa
El Greco
Ragazzo che accende una candela
Il dipinto (206) viene probabilmente realizzato durante
il soggiorno romano dell’artista: questo spiegherebbe anche la presenza del quadro nelle collezioni
napoletane, dove confluisce la maggior parte delle collezioni farnesiane. Di difficile interpretazione
il tema: la critica respinge l’ipotesi che vede nel detto italiano "soffiare sul fuoco" l’ispirazione
per il dipinto. Si tratta probabilmente, invece, di una derivazione da un passo della Naturalis historia di Plinio il Vecchio (I secolo d.C.), nel quale si parla di pittori intenti a rappresentare giovinetti
che soffiano su un tizzone infuocato. La tecnica è molto vicina a quella dei pittori veneti ed è
una dimostrazione dell’alta qualità raggiunta dal Greco nelle raffigurazioni concepite durante il
suo periodo italiano. Accanto a un’estrema attenzione nella resa dei particolari,
è la luce che scaturisce dal tizzone a essere protagonista, inondando col suo chiarore il viso del
giovinetto.
Veduta di Toledo
El Greco in quest’opera (207) sceglie di raffigurare la
città di Toledo, antica capitale spagnola e luogo che egli ha scelto per risiedere e per impiantare
la sua bottega. L’immagine è una delle più famose vedute di città della storia dell’arte. La scena
si differenzia dalle precedenti e coeve vedute urbane per due motivi fondamentali: l’uso particolare del colore e della luce, e la scelta di rappresentare, assieme a costruzioni realmente esistenti, anche elementi d’invenzione.
La città è arroccata, quasi a picco sul Tago. Si percepiscono perfettamente gli edifici principali:
il Castello di San Servando a sinistra, l'Alcazar (edificio principale della città, distrutto
durante la guerra civile e ricostruito in epoca franchista) e il campanile della cattedrale a
destra. Questi fabbricati sono resi con dovizia di particolari, come del resto anche gli edifici
minori. Il particolare colore del cielo, delle zone verdi e degli edifici contribuisce a conferire
un sapore d'irrealtà a una visione di un luogo reale, a esemplificare la dimensione
trasognata e vagamente surreale che si riscontra in altre opere dell'artista.
La cacciata dei mercanti dal Tempio
L’opera (208) è una versione tarda, probabilmente quella
meglio riuscita, di un tema già raffigurato dal Greco. La composizione è molto articolata, con un
assetto delle figure nello scenario architettonico che appare improntato a una magniloquente teatralità: una straordinaria galleria di personaggi affolla il dipinto, con caratterizzazioni nei gesti, nelle
pose e nella resa fisiognomica. Degna di nota è la restituzione coloristica, nella quale si coglie
appieno l’eco della formazione veneziana dell’artista, con una
tavolozza vibrante e accesa.
L’anatomia dei corpi, derivata da un attento studio della figura umana, appare volutamente deformata
con l’obiettivo di comunicare con immediatezza lo scompiglio che l’azione di Cristo provoca nei mercanti.
In quest’opera la presenza dell’architettura ha un ruolo di rilievo: il tempio è evocato mediante
elementi architettonici classicisti, che sembrano materializzare un grande arco di trionfo. Fusti
di colonne serrano bassorilievi con scene bibliche: si riconosce chiaramente la cacciata di Adamo
ed Eva dal Paradiso Terrestre sulla sinistra. Il fornice centrale inquadra un brano di città immaginaria
con un colonnato, una costruzione a cupola e un palazzo porticato, che sembra echeggiare esempi di
architettura che El Greco può avere visto durante il suo soggiorno veneziano.
Dossier Arte - volume 2
Dal Quattrocento al Rococò