La villa: natura, architettura e scultura

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La villa: natura, architettura e scultura

Nel Cinquecento la villa è una tipologia caratterizzata da un particolare sviluppo in termini di articolazione dello spazio interno e di quello esterno, che si arricchisce nell’ornato e nel decoro. Il rapporto con l’ambiente naturale è sempre più centrale nel progetto con una spiccata attenzione all’ideazione di vasti giardini, qualificati da fontane, grotte artificiali e raffinate sculture. L’acqua diviene, infatti, un elemento fondamentale, che conferisce qualità dinamiche e sonore all’architettura (per esempio cascate e organi ad acqua) e rinsalda - nella magnificenza degli acquedotti appositamente costruiti per alimentare questi sontuosi giardini - un particolare dialogo con lo splendore delle ville degli antichi imperatori.
La dimensione concettuale della villa come luogo riservato al riposo, allo svago, all’otium - tematiche ampiamente esplorate nella tradizione della letteratura e dell’architettura della Roma repubblicana e imperiale - era già stata recuperata dall’Umanesimo. A queste importanti componenti culturali nel XVI secolo si affiancano nuove istanze: la villa diviene simbolo di potere del proprietario, oltre che segno tangibile di una volontà di affermazione e di dominio sull’ambiente circostante. In questa prospettiva s’inserisce anche una rivalutazione culturale della vita agreste, che va di pari passo con una rappresentazione falsamente idilliaca della realtà contadina. Il ruolo del committente è dunque cruciale più che in altri contesti, in quanto le possibilità economiche, le capacità organizzative e la vastità dei possedimenti a disposizione sono fattori decisivi per garantire la realizzazione di progetti così ampi e complessi.
Nella definizione di questo tipo edilizio sono state determinanti le commissioni dei pontefici e dei cardinali a Roma e nel territorio circostante. Grande rilievo hanno avuto anche gli interventi dei nobili veneziani nell’entroterra della Serenissima, a creare una fitta maglia di dimore nobiliari al centro di vaste proprietà agricole: in questa cornice, Palladio è stato protagonista assoluto. La dinastia dei granduchi di Toscana, da Cosimo I a Ferdinando I, ha inoltre rinnovato e ampliato in modo decisivo la rete di dimore agresti che i loro antenati nel corso del Quattrocento avevano creato nelle colline intorno a Firenze: Cosimo il Vecchio e Lorenzo il Magnifico, in particolare, avevano dato corpo agli indirizzi enucleati nel De re aedificatoria di Alberti. L’architettura delle ville, infatti, era stata oggetto di puntuali riflessioni nel trattato di Leon Battista, dando dignità teorica a un genere che, invece, nella prassi costruttiva del Medioevo e del primo Quattrocento, aveva mantenuto alcuni caratteri delle dimore fortificate (come torri, merli, beccatelli, aperture piccole e irregolari), oltre a una spiccata semplicità dello stile e a certe incoerenze nell’assetto compositivo.

Le ville cardinalizie a Roma e nel Lazio

Villa Giulia

Nella lenta ripresa della curia romana dopo il Sacco, la costruzione di lussuosi edifici in aree periferiche della città, servite da nuove infrastrutture promosse dai pontefici come strade o reti idriche, diviene elemento di particolare rilevanza. Spicca in tal senso la villa di papa Giulio III Del Monte (1550-1555), progetto che nasce dalla collaborazione di Giorgio Vasari, Iacopo Vignola, Bartolomeo Ammannati e la consulenza di Michelangelo (170)
Divenuto papa nel gennaio del 1550, Giulio III riprende le fila di un progetto maturato prima del Sacco. Il sito è una piccola valle, tra Porta del Popolo e Ponte Milvio, dove la collina dei monti Parioli scende verso il Tevere, ben raggiungibile dal Vaticano. La nuova proposta per il papa, del tutto inedita nel panorama dell'architettura di villa del Rinascimento, prevede un edificio sviluppato in senso longitudinale, costituito dalla successione di tre strutture a livelli diversi: la palazzina, ovvero l'edificio residenziale vero e proprio; il cortile semicircolare, scenografico elemento di passaggio e connessione fra le parti; il corpo della loggia con il ninfeo a una quota più bassa, scrigno misterioso di sculture e fontane (171). Questa articolata struttura era il fulcro della Vigna del papa (intendendo in generale nel contesto laziale con questo termine una proprietà coltivata, destinata al rifornimento dei prodotti della terra per la famiglia del proprietario, più o meno qualificata), che prevedeva un vasto giardino con una grotta artificiale (oggi perduta nel suo allestimento interno) e due fontane pubbliche poste all'angolo fra la via Flaminia e la nuova strada di collegamento con la villa papale. 

Villa d'Este 

La committenza cardinalizia ebbe un ruolo altrettanto importante nella definizione di nuovi modelli e nuove soluzioni per le residenze extraurbane. Fra i cardinali più colti e raffinati della corte papale si distingue la figura di Ippolito II d’Este che nel 1550 ottiene l’incarico di governatore pontificio di Tivoli, dando il via alla progettazione dello straordinario complesso oggi noto come Villa d’Este (172), i cui lavori sarebbero iniziati alcuni anni dopo per proseguire fino alla fine del secolo. Da questo progetto emerge chiaramente uno dei caratteri principali dei giardini del Cinquecento, manifestazione dell’organicità concettuale che li contraddistingue: natura, architettura, scultura, tecnica idraulica compongono uno scenario armonioso, dove i moderni cercano di superare gli antichi. Così accade infatti a Villa d’Este, dove l’architetto Pirro Ligorio (Napoli 1510 ca.-Ferrara 1583), dopo aver studiato e rilevato i resti della celebre Villa di Adriano nella stessa località, è autore di uno stupefacente progetto (173). Fra i riferimenti culturali per questa grandiosa residenza si riconoscono anche i resti del Tempio di Ercole vincitore a Tivoli, ritenuto nel Rinascimento la Villa di Augusto, complesso studiato insieme ad altre testimonianze archeologiche nell’area dallo stesso Ligorio: in questa struttura antica il concetto dei terrazzamenti, delle sostruzioni e del dominio del paesaggio circostante sono chiaramente esemplificati e divengono motivi conduttori della progettazione della villa e del giardino del cardinale. Il palazzo, che razionalizza e incorpora preesistenze medievali, è parte di un vasto complesso (35 000 metri quadrati) dove l’acqua è motivo unificante e pervasivo, al pari della trasformazione della natura attraverso l’arte, la scienza e l’ars aedificatoria: una natura artificialis che crea stupore e meraviglia, secondo un complesso programma simbolico che celebrava Venere, la Sibilla Albunea ed Ercole. Uno stringente reticolo geometrico governa la composizione, impostata su due assi ortogonali punteggiati da fontane e vie d’acqua. I piani furono realizzati con imponenti sbancamenti e rimodellamenti del terreno per sottoporre a una logica unitaria declivi irregolari e consistenti dislivelli.

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Palazzo Farnese di Caprarola 

Negli stessi anni in cui si sviluppa l’immaginifico progetto del cardinale d’Este, il nipote di papa Paolo III, Alessandro Farnese, rinnova profondamente il possedimento di Caprarola, dove Antonio da Sangallo il Giovane, architetto del palazzo romano della famiglia, negli anni Trenta del Cinquecento aveva impostato ai margini dell’abitato del piccolo centro laziale una grandiosa fortezza pentagonale (174-175). La villa è il più ambizioso progetto di carattere profano del cardinale, noto per la sua grande attività di mecenate, e con questa impresa architettonica ha inizio la sua collaborazione con l’architetto Iacopo Barozzi detto il Vignola (► p. 319); questi, fra il 1559 e il 1573, rivisita il progetto sangalesco e trasforma i bastioni angolari e il perimetro del presidio militare nell’imponente basamento di una grandiosa villa.
La singolarità dell’edificio ha sempre colpito la fantasia dei visitatori per essere «hora rocca, hora palazzo», ossia insieme rocca fortificata e palazzo signorile: la struttura si sviluppa su tre piani fuori terra e i suoi ambienti sono articolati intorno a un vasto cortile circolare (176). Tale elemento distributivo orizzontale ha un particolare valore scenico, enfatizzato dalla magniloquente Scala regia elicoidale (177). Alla ricca decorazione pittorica degli ambienti principali della villa, si uniscono i soffitti lignei intagliati a cassettoni e le preziose pavimentazioni, che conferiscono all’edificio la magnificenza di un palazzo urbano. Completano la residenza due giardini quadrati che si sviluppano su piani terrazzati, secondo rigorosi princìpi di geometria, alle spalle dell’edificio. Degne di nota sono inoltre le relazioni che la villa instaura con il paesaggio circostante: è tracciato ex novo, con sbancamenti e demolizioni, un lungo rettifilo che è allineato con il fronte principale del palazzo; su tale asse stradale l’architetto promuove la costruzione di nuovi edifici che sostituiscono brani dell’antico abitato.

Dossier Arte - volume 2
Dossier Arte - volume 2
Dal Quattrocento al Rococò