La dimensione concettuale della villa come luogo riservato al riposo, allo svago, all’otium - tematiche ampiamente esplorate nella tradizione della letteratura e dell’architettura della Roma repubblicana e imperiale - era già stata recuperata dall’Umanesimo. A queste importanti componenti culturali nel XVI secolo si affiancano nuove istanze: la villa diviene simbolo di potere del proprietario, oltre che segno tangibile di una volontà di affermazione e di dominio sull’ambiente circostante. In questa prospettiva s’inserisce anche una rivalutazione culturale della vita agreste, che va di pari passo con una rappresentazione falsamente idilliaca della realtà contadina. Il ruolo del committente è dunque cruciale più che in altri contesti, in quanto le possibilità economiche, le capacità organizzative e la vastità dei possedimenti a disposizione sono fattori decisivi per garantire la realizzazione di progetti così ampi e complessi.
Nella definizione di questo tipo edilizio sono state determinanti le commissioni dei pontefici e dei cardinali a Roma e nel territorio circostante. Grande rilievo hanno avuto anche gli interventi dei nobili veneziani nell’entroterra della Serenissima, a creare una fitta maglia di dimore nobiliari al centro di vaste proprietà agricole: in questa cornice, Palladio è stato protagonista assoluto. La dinastia dei granduchi di Toscana, da Cosimo I a Ferdinando I, ha inoltre rinnovato e ampliato in modo decisivo la rete di dimore agresti che i loro antenati nel corso del Quattrocento avevano creato nelle colline intorno a Firenze: Cosimo il Vecchio e Lorenzo il Magnifico, in particolare, avevano dato corpo agli indirizzi enucleati nel De re aedificatoria di Alberti. L’architettura delle ville, infatti, era stata oggetto di puntuali riflessioni nel trattato di Leon Battista, dando dignità teorica a un genere che, invece, nella prassi costruttiva del Medioevo e del primo Quattrocento, aveva mantenuto alcuni caratteri delle dimore fortificate (come torri, merli, beccatelli, aperture piccole e irregolari), oltre a una spiccata semplicità dello stile e a certe incoerenze nell’assetto compositivo.