Andrea Palladio

   2.  IL CINQUECENTO >> Nuove ricerche e nuovi protagonisti

Andrea Palladio

La cultura architettonica di Iacopo Sansovino, di matrice fiorentina ma arricchita e articolata dal suo fondamentale soggiorno romano, ha un’influenza determinante su colui che si sarebbe distinto come il più importante architetto del Cinquecento veneto: Palladio.
Lo scalpellino Andrea di Pietro (Padova 1508-Maser, Treviso 1580) fu detto Palladio per volontà del suo primo mecenate, il letterato Giangiorgio Trissino, che aveva dato questo nome al personaggio di un suo poema in omaggio alla dea Pallade Atena. Il giovane si forma a Vicenza, città del dominio veneziano che si caratterizza per la partecipazione attiva della nobiltà cittadina al commercio, attività da cui derivano capitali consistenti da reinvestire nell’architettura e nei possedimenti terrieri. Nel 1541 Palladio compie il primo viaggio a Roma con Trissino, fondamentale per lo sviluppo di una particolare sensibilità per l’architettura antica, studiata sia nel linguaggio degli ordini sia nelle tipologie edilizie.

Palazzo Thiene 

Al suo rientro a Vicenza diviene responsabile del cantiere di Palazzo Thiene, commissionato da una delle più importanti famiglie cittadine e iniziato su progetto di Giulio Romano (139). Alla morte di quest’ultimo nel 1546, la fabbrica non era però arrivata oltre il primo piano. Palladio porta avanti l’opera secondo la propria invenzione, realizzando un piano nobile di raffinata eleganza conseguita mediante l’uso sapiente dell’ordine architettonico: una teoria di semicolonne inquadra imponenti aperture a edicola e crea un ritmo di pacata varietà, rafforzata dall’alternanza dei timpani circolari e triangolari. La diversità del registro espressivo scelto da Palladio rispetto a quello di Giulio è enfatizzata proprio dal contrasto fra il possente bugnato del piano terra e la razionale sobrietà di stampo classicista del registro superiore.

Palazzo Chiericati 

Il successo di Palladio presso l’aristocrazia vicentina è dovuto soprattutto alla sua capacità di creare edifici razionali nelle piante e negli assetti distributivi (per esempio scale, atrii e corridoi), oltre che facciate concepite secondo un sobrio ma magniloquente linguaggio classicista. Palazzo Chiericati, progettato nel 1550, esemplifica questi due temi portanti dell’operosità palladiana (140). Inoltre l’architetto qui dimostra di saper elaborare soluzioni compositive originali, rimanendo nell’alveo della tradizione classica: nella sovrapposizione canonica dei due ordini (dorico e ionico) che contraddistinguono i due piani in cui si articola l’edificio, si alternano parti finestrate e parti loggiate, a creare una dinamica contrapposizione di pieni e vuoti. Il leggero arretramento delle due porzioni laterali rispetto al settore centrale della facciata appare una soluzione di grande rilievo per rafforzare l’asse di simmetria del prospetto: le colonne del loggiato inferiore, nel passaggio fra la porzione centrale e questa sorta di ali del fronte, sono disposte sfalsate a 45°, così che monumentali piedritti creano un vero e proprio snodo visivo che conferisce ritmo e ulteriori vibrazioni chiaroscurali all’intero palinsesto.

Palazzo Valmarana 

Il vicentino Palazzo Valmarana (141) si propone come un ripensamento sulle soluzioni già adottate in Palazzo Thiene, sebbene sviluppate in un’accentuata verticalità, sfruttando al meglio i vincoli imposti dal sito (una strada molto stretta): l’ordine gigante delle paraste si impone qui sui due piani, secondo un ritmo serrato, che inquadra le grandi finestre a edicola del piano nobile; il trattamento delle cortine murarie è ancora più astratto e improntato alla ricerca dell'esaltazione delle valenze delle superfici, col ricorso a bugne poco pronunciate nel solo pianterreno. Il cantiere dovette procedere con una qualche lentezza: cominciato nel 1566, non venne terminato prima del 1582. 

Villa Barbaro a Maser 

Palladio è raffinato interprete della volontà di autorappresentazione della nobiltà veneta non solo nei palazzi ma soprattutto nelle residenze di campagna, ovvero le celebri ville che in questa realtà geografica uniscono gli aspetti della piacevolezza e dello svago campestre alle esigenze di controllo e gestione del patrimonio fondiario dei ricchi proprietari. Dopo La Rotonda (► pp. 286-287), la Villa Barbaro a Maser (142) è il più celebre fra gli edifici nobiliari extraurbani realizzati da Palladio. La villa, costruita fra il 1554 e il 1558, è importante per l’assetto planimetrico, per la presenza di una straordinaria fontana a emiciclo (unica nei progetti palladiani) e, soprattutto, per il ruolo dei committenti, i fratelli Barbaro: Marcantonio era un appassionato cultore dell’arte, Daniele era un intellettuale di primo piano nell’Italia del tempo per i suoi studi aristotelici e, in particolare, per l’edizione del trattato di Vitruvio da lui tradotto e commentato (1556), oltre che illustrato con i disegni di Palladio. Per quanto riguarda la planimetria, il complesso ingloba un edificio preesistente in un disegno razionale e bilanciato che porta alla perfetta integrazione fra le parti destinate alla residenza del proprietario (l’edificio al centro) e le strutture che si sviluppano ai lati, funzionali all’attività agricola. La definizione dei prospetti è una questione dibattuta dagli studiosi e si suppone un intervento non secondario dello stesso Daniele Barbaro. Gli interni sono arricchiti dagli affreschi di Veronese (► pp. 296-297).

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Basilica Palladiana 

Dopo un secondo soggiorno a Roma, Palladio riceve un importante incarico pubblico a Vicenza e cioè il rinnovamento della struttura tardomedievale del Palazzo della Ragione, ovvero l’edificio noto come Basilica Palladiana (143). Rifacendosi dichiaratamente a prototipi veneziani, e in particolare alla Libreria Marciana di Iacopo Sansovino (► p. 277), Palladio a partire dal 1549 riveste l’edificio preesistente con un loggiato a due piani, caratterizzato dall’uso di doppie serliane alternate a colonne giganti. L’utilizzo delle serliane permette a Palladio di conferire omogeneità e compattezza alla struttura: la luce delle arcate delle serliane, infatti, rimane costante mentre può variare leggermente la dimensione degli architravi che le fiancheggiano, rendendo visivamente molto contenute le irregolarità del complesso. Il risultato è quello di una struttura di gusto classicista, prossima alle soluzioni dei teatri romani, resa moderna dall’uso di un lessico aggiornato sui modelli di Giulio Romano e di Sansovino; l’impianto si contraddistingue per gli effetti chiaroscurali, tipici dell’architettura civile lagunare. Tutta l’operosità di Palladio è caratterizzata da questa tendenza, coerentemente perseguita dall’architetto nel corso della sua carriera, attraverso un’evoluzione che lo porta a una più piena e monumentale assimilazione del linguaggio architettonico dell’Antico.

Teatro Olimpico 

Il Teatro Olimpico a Vicenza (144) è un complesso progetto di Palladio, che lo impegna negli ultimi mesi di vita e che è strettamente collegato ai lunghi anni di studio delle rovine della Roma dei Cesari. Proprio dal sogno di poter ricreare gli spazi e gli assetti del teatro antico prende le mosse questo progetto, concluso da Vincenzo Scamozzi (Vicenza 1552-Venezia 1616). Un ruolo importante hanno avuto nell’impresa i membri dell’Accademia Olimpica, sodalizio di aristocratici vicentini fondato alla metà del XVI secolo con lo scopo di promuovere le rappresentazioni teatrali. I nobili accademici, come ha scritto la studiosa Donata Battilotti, sono perenni attori e spettatori di uno spazio virtuale che Scamozzi realizza dietro il proscenio palladiano, trasformando Vicenza in una mitica Tebe e utilizzando con estrema sapienza gli artifici prospettici. La morfologia e l’assetto del teatro sono debitori della descrizione di Vitruvio, da cui si differenzia per essere una struttura coperta. Gli elementi di contatto con l’antico teatro romano sono: la cavea ellittica, con gradinate; il palcoscenico rettangolare e un magniloquente proscenio all’antica, organizzato su due registri conclusi da un piano attico. Dal grande fornice centrale, esemplato sul modello dell’arco di trionfo, si intravede un brano di città in prospettiva, che simula un complesso spazio urbano.

Dossier Arte - volume 2
Dossier Arte - volume 2
Dal Quattrocento al Rococò