Jacopo Sansovino

   2.  IL CINQUECENTO >> Nuove ricerche e nuovi protagonisti

Iacopo Sansovino

Iacopo Tatti (Firenze 1486-Venezia 1570) secondo il racconto vasariano nasce da una famiglia di mercanti fiorentini, che da Lucca si erano trasferiti a Firenze nel XIV secolo. Si avvicina all'arte del disegno nella bottega di Andrea Contucci (► p. 325). Con il maestro intesse un rapporto così stretto da perdere presto il proprio cognome e acquisire quello con cui Andrea era comunemente chiamato, ovvero Sansovino, dal borgo di Monte San Savino, località in provincia di Arezzo, di cui era originario Contucci. Un ruolo fondamentale nella definizione del profilo artistico di Iacopo è svolto da Andrea del Sarto, con cui intesse una stretta collaborazione a delineare un rapporto che Vasari definisce quasi simbiotico e che lascia traccia nelle opere di entrambi. La formazione di Iacopo si completa a Roma, dove si reca nel 1506 al seguito di Giuliano da Sangallo. Qui entra in contatto con le opere di Bramante ma soprattutto con l’architettura e la scultura antica. Ancora Vasari ricorda che il giovane Iacopo fa parte del gruppo di scultori chiamati a partecipare al concorso organizzato da Bramante per scegliere chi si sarebbe aggiudicato il compito di realizzare la replica in bronzo del Laocoonte; Raffaello in persona è invitato a giudicare i bozzetti in cera realizzati dai partecipanti e indica quello di Iacopo come il migliore. Il contesto romano rappresenta un'occasione straordinaria per il giovane Sansovino di integrare le conoscenze acquisite a Firenze: gli orientamenti della cultura artistica e architettonica che andavano maturando nella Roma di Giulio II e Bramante producono infatti nuove spazialità e nuovi codici figurativi. Tornato a Firenze intorno al 1510, Iacopo coordina la straordinaria impresa della creazione della residenza periurbana di Gualfonda dei Bartolini con il suo vasto e ricco giardino, purtroppo perduto nella sua configurazione originale, ma di cui rimane una delle sculture più importanti, il Bacco, che Iacopo scolpisce nel 1511.
Tornato a Roma nel 1518, rafforza il legame con i Sangallo e in particolare con Antonio da Sangallo il Giovane, dedicandosi all’architettura. Nel 1527, dopo il drammatico evento del Sacco, Sansovino si trasferisce a Venezia, dove risiederà fino alla morte. Il periodo veneziano è segnato dal doppio impegno di scultore e architetto: si delinea un profilo professionale di altissimo livello, riconosciuto dal governo della Serenissima con la nomina a "proto di San Marco" (dal 1529), ovvero responsabile unico di tutti i cantieri pubblici della città. Vasari introduce una biografia di Iacopo nella seconda edizione delle Vite (1568), e, alla morte dell’artista, ne redige un’altra con ulteriori aggiunte e revisioni che stampa come opera autonoma, a sancire il grande valore dell’operosità di Iacopo. Il lascito più importante dell’artista è rappresentato dalla particolare sensibilità nel far dialogare architettura e scultura, con eleganza e grazia, atteggiamenti che si ritrovano nei suoi più talentuosi allievi, come Niccolò Tribolo (Firenze 1497-1550) o il giovane Bartolomeo Ammannati (► p. 304).

Bacco 

Nel complesso fiorentino di Gualfonda, vicino all’attuale stazione di Santa Maria Novella, Iacopo coordina un folto gruppo di scultori, architetti e pittori per trasformare un modesto edificio rurale in un’articolata residenza, dotata di un ampio giardino con fontane e sculture di altissimo pregio. Pochi frammenti rimangono di quello straordinario microcosmo di natura e arte, fra cui spicca il Bacco conservato oggi al Museo del Bargello (131). Come nell’opera di analogo soggetto realizzata da Michelangelo alla fine del Quattrocento (► p. 199), insieme al dio si trova un piccolo satiro che tenta di mordere l’uva. Il confronto con la scultura michelangiolesca rivela i caratteri di questo capolavoro di Iacopo: armonia, grazia e un raffinato naturalismo si uniscono a uno studio accurato dell’arte antica. Il gesto del braccio teso verso l’alto, frutto di un virtuosismo tecnico di altissima qualità, è ritenuto infatti una suggestione dall’ Apollo del Belvedere, la celebre statua della seconda metà del II secolo a.C. ritrovata alla fine del Quattrocento e conservata in Vaticano dal 1508; allo stesso modo l’espressione del volto dialoga con quella del volto di uno dei fanciulli del gruppo del Laocoonte.

Zecca 

Come architetto della Repubblica veneziana, Sansovino realizza un edificio di grande importanza per la vita economica e sociale della città, simbolo del suo prestigio e della sua ricchezza: la sede della Zecca (132). L’edificio ha una valenza urbana perché si trova sul molo di San Marco e dunque assume quasi il valore di una porta della città. Si presenta ora su tre livelli, ma nel progetto sansovinesco si articolava su due piani, entrambi qualificati da superfici bugnate, a richiamare l'idea dell'impenetrabilità e dunque del "forziere". La sensibilità dello scultore emerge nel trattamento del bugnato , che presenta fasce alterne, una poco più sporgente dell'altra, creando raffinati giochi di chiaroscuro amplificati dalla vicinanza dell'acqua. Lo stesso orientamento anima la conformazione delle finestre doriche del primo piano qualificate da elementi decorativi desunti liberamente dall'ordine dorico: quasi come oggetti autonomi, dotati di un singolare vigore plastico, s'incastrano nella sequenza delle semicolonne doriche nella versione "rustica". La vibrante composizione di questo primo piano è conclusa da un possente cornicione dorico, terminazione originale della fabbrica sansoviniana, esemplato su modelli antichi. 

Libreria Marciana 

A fianco della Zecca si trova la Libreria Marciana (134), risolta da Sansovino col ricorso a un elegante gioco di pieni e vuoti che reinterpretano, secondo un linguaggio fortemente classicista, il motivo di base del vicino edificio delle Procuratorie Vecchie. L’impiego dell’ordine dorico nelle colonne del pian terreno si rifà al modello della Basilica Aemilia nel Foro romano, letta con gli occhi del maestro di Iacopo, Giuliano da Sangallo, che ha lasciato uno splendido disegno del frammento antico. Nel registro superiore il partito architettonico si complica proponendo una sequenza di "serliane" ioniche molto contratte (la serliana è un costrutto architettonico desunto dall’Antico ed è formato da un arco a tutto sesto affiancato simmetricamente da due piedritti sormontati da un architrave). Il fregio della trabeazione, dilatato per dare spazio a una serie di aperture, presenta una ricca decorazione scultorea che si ispira direttamente a motivi ornamentali presenti in un frammento di sarcofago antico (133) delle collezioni della nobile famiglia veneziana dei Grimani.

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Loggetta

La loggetta (135) è accostata al piedi del campanile di San Marco, sul lato est, per armonizzarne la verticalità con il nuovo aspetto cinquecentesco della piazza (136); questa architettura sontuosa enfatizza, inoltre, un asse cerimoniale che culmina nel cuore del Palazzo Ducale. La loggetta e la scala dei Giganti sono i due poli di un percorso che ha il suo snodo nel quattrocentesco Porticato Foscari: ai visitatori più influenti, una volta percorsa la scala dei Giganti e usciti da Palazzo Ducale, era infatti concesso salire in cima al campanile percorrendo la scala a spirale interna ma passando prima attraverso questa sorta di atrio, decorato e strutturato come un frammento di architettura antica. La loggetta si caratterizza per uno spiccato gusto dell’ornato e per un’attenzione agli effetti chiaroscurali; presenta inoltre la precipua sensibilità sansovinesca del dialogo fra scultura e architettura, nel segno della grazia e dell’eleganza. Il progetto risale al 1537 e la sua realizzazione si compie entro il 1541. La loggia è stata interamente ricostruita nel 1902 dopo il crollo del campanile, reimpiegando in parte i frammenti superstiti. 
Il tema compositivo è quello dell’arco trionfale della Roma imperiale e in particolare il riferimento è all’esuberanza scultorea dell’Arco di Costantino (315 d.C.). In questa rilettura dell’Antico viene ulteriormente accentuato il ruolo degli elementi plastici, sia nel registro inferiore sia nel piano attico di coronamento. Nelle quattro nicchie di base sono inserite altrettante sculture di Atena, Apollo, Mercurio e Pace, ispirate ai nuovi orientamenti della scultura fiorentina e romana ma soprattutto segnate dal dialogo ravvicinato con i prototipi di Età Ellenistica: ancora una volta l'Apollo del Belvedere è richiamato nella figura sansovinesca di Apollo. 

Scala dei Giganti 

Realizzata alla fine del Quattrocento, deve il proprio nome alle colossali sculture di Marte e Nettuno (137) di Sansovino, create per esaltare la potenza guerriera di Venezia: dal 1566 in poi, ogni doge appena eletto era acclamato fra le due pregevoli statue, che divengono dunque gli scenografici e muti testimoni che inquadrano l'epifania del massimo esponente del Governo della Repubblica. Questi due giganti vanno inoltre a completare il programma della loggetta con i simboli classici più espliciti del potere della città per terra e per mare.

Porta della sacrestia di San Marco 

La raffinata connessione fra architettura e scultura che rappresenta un carattere distintivo dell'opera di Sansovino si riconosce anche nella porta della sacrestia della Basilica di San Marco (1546-1569) (138). Quest'opera si inserisce in una serie di lavori per il presbiterio marciano che vede impegnato a lungo l'artista. Il varco è inquadrato da un'articolata cornice marmorea all'antica, qualificata nella parte sommitale da due angeli a tutto tondo che sorreggono un festone naturalistico. La forma concava è legata alla necessità di seguire la curvatura dell'abside della chiesa. I battenti bronzei ospitano scene che raffigurano la Deposizione e la Resurrezione di Cristo. La prima scena dialoga con la Pala Baglioni di Raffaello (► p. 188), mentre l'impostazione delle figure della Resurrezione testimonia lo scambio con la cultura artistica veneziana contemporanea e, in particolare, con le opere di Lorenzo Lotto.

Dossier Arte - volume 2
Dossier Arte - volume 2
Dal Quattrocento al Rococò