Baldassarre Peruzzi

   2.  IL CINQUECENTO >> Culture e forme della "maniera"

Baldassare Peruzzi

Baldassarre Peruzzi (Siena 1481-Roma 1536), pittore e architetto, giunge a Roma grazie alla committenza di un conterraneo, il già citato banchiere senese Agostino Chigi, che nel 1505 ordina all'artista la costruzione di un edificio suburbano lungo le sponde del Tevere.

Villa Farnesina 

Prende così avvio la fabbrica della Farnesina (119), che prende il nome dalla famiglia che l’ha a lungo posseduta dopo i Chigi, cioè i Farnese. L’edificio presenta uno schema planimetrico (120) a "U", derivato direttamente da quello della Villa Chigi (121) alle Volte nei pressi di Siena, attribuita a Francesco di Giorgio Martini. Il volume centrale su due piani principali è affiancato da ali laterali della stessa altezza. L’intero corpo della villa è caratterizzato da una cornice marcapiano e da due ordini di paraste con capitelli tuscanici: una soluzione influenzata dalla nuova temperie classicista della Roma di Giulio II. Il settore centrale del piano terra verso il giardino è traforato da una loggia a cinque grandi aperture centinate, caratterizzate dal tema dell’arcata teatrale, motivo sapientemente riproposto da Bramante come derivazione dall’Antico nel chiostro di Santa Maria della Pace a Roma (► p. 167). La documentazione d’archivio indica che la definizione estetica dei fronti era affidata alla bicromia mattone-peperino (roccia magmatica grigia) delle paraste, a un fregio in stucco di grande qualità e, soprattutto, all’abilità pittorica di Peruzzi che aveva dipinto "a chiaroscuro" le superfici a intonaco fra le paraste, di cui restano poche e labili tracce. Lo spazio di fronte a essa, compreso fra gli avancorpi, era stato immaginato dall’artista senese come una quinta scenica, in modo da poter ospitare rappresentazioni teatrali. Nel pianterreno è presente anche una loggia sul fianco laterale che, con quella centrale, determina un effetto di transizione fra l’interno e l’esterno dell’edificio, che si apre così al paesaggio e alla luce. Pur di dimensioni modeste, questo edificio rappresenta una nuova tipologia di villa che grande diffusione avrà nel corso del secolo: si tratta cioè di una struttura edificata nei pressi di un centro urbano, priva di funzioni agricole e destinata allo svago piuttosto che alla residenza della famiglia del proprietario. Arricchiva il complesso una scuderia monumentale di cui rimangono oggi solo poche tracce del fronte su via della Lungara: era destinata a ospitare con sfarzo i preziosi destrieri del «Magnifico» Agostino Chigi, come era chiamato il banchiere senese dai contemporanei.

Presentazione di Maria al Tempio 

Nella sua permanenza a Roma, Peruzzi studia con grande attenzione l’architettura antica e lascia decine e decine di importantissimi rilievi, ossia accurati disegni in scala di edifici antichi eseguiti grazie a puntuali misurazioni. Anche la sua attività di pittore è influenzata da questo interesse, come dimostra il dipinto con la Presentazione di Maria al tempio, (122) realizzato per la Chiesa di Santa Maria della Pace. L’episodio della tradizione cattolica che ricorda l’ingresso della Vergine all’età di tre anni nel tempio è ambientato in un vero e proprio "foro degli antichi", ossia uno spazio aperto organizzato secondo criteri di regolarità, assialità e profonda conoscenza dei monumenti romani: i personaggi che affollano la composizione si dispongono infatti davanti a un tempio esastilo (sulla destra) e a un tempio ionico tetrastilo (al centro). L'architettura, restituita con spirito quasi archeologico, diviene l'elemento più importante della rappresentazione e costituisce una testimonianza preziosa del clima culturale di riscoperta analitica dell'Antico germogliato nella Roma di Giulio II e pienamente maturato nell'età di Leone X. 

Palazzo Massimo alle Colonne 

Per realizzare Palazzo Massimo alle Colonne (1533-1536) Peruzzi ricompone delle strutture già costruite, in una zona della città profondamente segnata dal tessuto viario medievale, da vie ed edifici preesistenti. L’architetto dimostra di aver raggiunto la piena maturità nella definizione di un linguaggio che combina elementi che derivano dall’architettura classica, secondo un’ottica improntata alla ricerca dell’armonia e dell’equilibrio. Questo approccio è esemplificato in particolare nella facciata (123). Sisto IV aveva ordinato di chiudere i portici medievali delle case romane, perché spesso rifugio di criminali. La famiglia Massimo riesce a mantenerli e Peruzzi li trasforma in una sorta di vestibulum, un atrio con colonne doriche a sostegno di una trabeazione correttamente tripartita. L’architetto rispetta il principio della sovrapposizione degli ordini: nella parte superiore della facciata si aprono grandi finestre di tipo "ionico" (come rivelano le allungate mensole che sostengono la cornice). Un raffinato rivestimento a bugnato piatto privo di cornici orizzontali crea un prospetto unitario che richiama l’esempio classico del Tempio di Marte Ultore. Secondo un procedimento antico già ripreso da Bramante, le bugne sono realizzate in stucco a imitazione del più prezioso travertino, utilizzato solo per alcuni elementi, come le paraste del piano terra.

Dossier Arte - volume 2
Dossier Arte - volume 2
Dal Quattrocento al Rococò