Michelangelo

   2.  IL CINQUECENTO >> I grandi maestri

Michelangelo

Michelangelo Buonarroti (Caprese, Arezzo 1475-Roma 1564) si forma a Firenze nella bottega di Domenico Ghirlandaio: entra così in contatto con l’ambiente di Lorenzo il Magnifico, dove si distingue precocemente. I cambiamenti politici e il suo spirito inquieto lo portano a lasciare Firenze per recarsi a Venezia e a Bologna (1494-1495). Dopo un breve rientro a Firenze, è a Roma (1496-1498); il vivace clima culturale dell’Urbe è il contesto ideale per sviluppare nuove attitudini: Michelangelo, che già eccelle nel disegno, accresce la propria sensibilità per l’Antico nell’ambiente del cardinale Raffaele Riario, personaggio di raffinata cultura. Giunge così la prima importante commissione di un gruppo scultoreo: la Pietà Vaticana (1497-1499). L’inizio del nuovo secolo lo vede nuovamente a Firenze, dove riceve l’incarico della grande statua del David. Nell’anno in cui il gigante di marmo è collocato in piazza della Signoria (1504), Michelangelo inizia gli studi per l’affresco della Battaglia di Cascina, episodio della storia militare fiorentina che doveva fare pendant con la Battaglia di Anghiari di Leonardo: Buonarroti non va oltre il cartone, ma la sua fama è ormai consolidata. Papa Giulio II della Rovere lo chiama nuovamente a Roma per un’opera di assoluto rilievo: la propria sepoltura nella nuova Basilica di San Pietro (1505), un’opera fra scultura e architettura, a delineare una compenetrazione delle arti che caratterizza l’altro capolavoro della committenza di Giulio II, gli affreschi della volta della Cappella Sistina (1508-1512). Con il figlio di Lorenzo il Magnifico, papa Leone X, Michelangelo esordisce come architetto: nel 1516 lavora ai progetti per la facciata della Basilica di San Lorenzo a Firenze, e poi, nello stesso complesso, alla Sagrestia Nuova (dal 1519) e alla Biblioteca Laurenziana (1523-1534). Durante il pontificato di Clemente VII Medici (1523-1534), Firenze torna a essere brevemente una Repubblica (1527-1530) e subisce l’assedio delle truppe imperiali di Carlo V, alleate del papa: Michelangelo partecipa alla difesa della città progettando mirabolanti fortificazioni e sfidando così il pontefice. Hanno la meglio le forze filo-medicee e Michelangelo è costretto a riappacificarsi con Clemente VII, ma nel 1534 lascia Firenze per recarsi definitivamente a Roma.
Con Paolo III Farnese (1534-1549) instaura un rapporto molto stretto da cui nascono opere di grande rilievo in pittura (fra cui Il Giudizio universale, nella Cappella Sistina) e in architettura, che culminano con la nomina a primo architetto della Basilica di San Pietro; è Paolo III, inoltre, a liberarlo da ogni responsabilità nei confronti degli eredi di Giulio II per i quali non aveva ancora concluso la tomba del papa: una vicenda dolorosa per l’artista che lo aveva tormentato a lungo. Con i successori di papa Farnese, Giulio III, Paolo IV e Pio IV, Michelangelo continua a dedicarsi a San Pietro, progettandone il tamburo e la cupola. Durante il pontificato di Pio IV, a pochi anni dalla morte, Buonarroti si impegna in lavori architettonici sempre più complessi: è il caso della piazza del Campidoglio, dove affronta il problema della progettazione a scala urbana. Nell’ultima fase della sua lunghissima vita continua a praticare la scultura e a esplorare forme espressive segnate dal senso del dramma, della sofferenza e della precarietà della vita: è il caso della Pietà Rondanini, sorta di testamento spirituale a cui l’artista stava lavorando poco prima della morte, sopraggiunta alla vigilia del suo ottantanovesimo compleanno, nel 1564.

Gli esordi di Michelangelo scultore

L’esordio di Michelangelo è contrassegnato da una profonda riflessione sui maestri del primo Quattrocento e sull’arte antica. Questo esaltante "tirocinio" si svolge a partire dal 1489 nel "giardino di San Marco", una sorta di accademia artistica promossa da Lorenzo il Magnifico, dove gli artisti e i letterati si confrontano in un percorso di scambio reciproco. Nel giardino, non distante dal palazzo dei Medici in via Larga, crea le sue prime opere in marmo: la Madonna della Scala e la Battaglia dei Centauri e dei Lapiti.

Madonna della Scala 

Il primo marmo è una rappresentazione della Madonna con il Bambino (42) che dialoga con la scultura donatelliana, anche nell’uso dello "stiacciato", ossia un rilievo sottilissimo che con un leggero sfalsamento dei piani restituisce l’effetto della profondità spaziale in una lastra dallo spessore minimo. La composizione ideata da Michelangelo è tuttavia del tutto innovativa nell’impostazione della scena, nell’atteggiamento dei personaggi e nei loro rapporti dimensionali. Maria, che domina la scena, non volge lo sguardo verso Gesù che, con una scelta insolita, è rappresentato di spalle; tale posa permette all’artista di concentrarsi sulla resa della muscolatura e dell’anatomia del corpo, due temi che caratterizzeranno a lungo la sua produzione. Sulla sinistra, l’invenzione della scala su cui giocano in lontananza alcuni putti rafforza il senso della terza dimensione oltre ad alludere, forse, alla metafora neoplatonica di Maria come "scala" che unisce l’uomo al divino.

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Battaglia dei Centauri e dei Lapiti 

Un soggetto mitologico, lo scontro tra uomini e centauri, è sviluppato da Michelangelo su suggerimento di Poliziano, grande letterato al servizio di Lorenzo il Magnifico (43). Il tema diviene l’occasione per esplorare l’espressività dei corpi in tensione e la drammaticità dell’intreccio di muscoli, due motivi che rimarranno costanti nella produzione scultorea dell’artista. Questa indagine sul nudo maschile in movimento si svolge nel quadro di una riflessione sulle soluzioni formali degli esempi antichi: un probabile modello è stato individuato in uno dei sarcofagi romani conservati nel Camposanto Monumentale di Pisa. Si evidenzia così precocemente come Buonarroti legge l’Antico: il suo interesse si rivolge verso le opere ellenistiche, caratterizzate da maggior pathos e senso del movimento.

Le prime commissioni romane

Nel 1492 muore Lorenzo il Magnifico e il clima artistico fiorentino cambia rapidamente: Michelangelo viaggia tra Venezia e Bologna, per poi raggiungere Roma nel 1496 su invito del cardinale Raffaele Riario.

Bacco 

È proprio per il cardinale Riario che Michelangelo realizza il suo primo grande marmo a tutto tondo: il Bacco (44), poi rifiutato dal committente e approdato nelle collezioni del suo agente, Iacopo Galli, che lo esponeva nel giardino della sua residenza romana insieme a pezzi antichi. L’originalità con cui Michelangelo affronta la rappresentazione della divinità antica e compete con l’arte classica si riconosce soprattutto nel rapporto con il piccolo satiro alle sue spalle: un sottile dinamismo, che invita lo spettatore a girare attorno all’opera, percorre le due figure che sfidano la staticità della materia e i vincoli del marmo, per mostrarsi in una posizione sinuosa (il satiro) e in un equilibrio fatto di contrasti (Bacco). La posa delle gambe e delle braccia del dio rivela la capacità di Michelangelo di sperimentare soluzioni ardite e dare la massima espressività ai gesti e alle posizioni del corpo per restituire pensieri e stati d’animo: il dio barcolla instabile per l’ebbrezza e fissa senza quasi vederla la coppa sollevata, con un naturalismo che dialoga con i più alti esempi della statuaria antica.

Pietà Vaticana 

L'opera (45) è commissionata dal cardinale francese Jean Bilhères Lagraulas nel 1497 per la propria sepoltura: nella scelta di raffigurare la Vergine che regge il corpo morto di Cristo deposto dalla croce, l'alto prelato seguiva una tradizione consueta nel Paese d'origine, diffusasi a partire dal XIV secolo proprio in connessione ai monumenti funerari. Il gruppo non si trova più nella posizione originale, una rotonda tardo antica posta a fianco del transetto sud della Basilica di San Pietro profondamente alterata nel Cinquecento, e questo ha creato discussioni fra gli studiosi sull'originaria disposizione e l'altezza rispetto all'osservatore concepita da Michelangelo: il volto di Cristo nell'attuale sistemazione è meno visibile rispetto a quello della Madonna, che si offre invece a una predominante vista frontale divenendo il focus della composizione. La Vergine, seduta su una roccia, metafora del Calvario, è raffigurata (con un anacronismo), non come la madre di un uomo di trentatré anni ma come un'adolescente, insieme madre di Cristo e figlia di Dio, perfetta nella sua bellezza incorrotta. Le posizioni reciproche del figlio e della madre, la combinazione della posa del volto di Maria e del corpo esanime di Gesù sono cifre distintive dell'opera, insieme alla straordinaria lucentezza e al candore del marmo - che dona ai volti una ideale perfezione - e all'accuratezza nella lavorazione dei dettagli, soprattutto nell'amplissimo manto che ricade sulle gambe della Vergine e che si confonde con il lenzuolo funebre su cui appoggia il corpo di Cristo. L'opera ebbe immediatamente un grande successo e segnò la consacrazione del giovanissimo artista, appena ventiduenne .

Dossier Arte - volume 2
Dossier Arte - volume 2
Dal Quattrocento al Rococò