Dossier Arte - volume 2

   2.  IL CINQUECENTO >> I grandi maestri

Ultima cena 

Fra il 1495 e il 1497 Leonardo dipinge nel refettorio del Convento di Santa Maria delle Grazie a Milano una grande scena che rappresenta l’episodio dell’Ultima cena (23), soggetto consueto nelle vaste sale destinate ad accogliere le comunità religiose nel momento dei pasti quotidiani. La commissione è legata a Ludovico il Moro: nella chiesa del convento, infatti, il duca intraprende una riconfigurazione della zona presbiteriale con lo scopo di trasformarla in mausoleo per gli Sforza, creando una monumentale tribuna su progetto di Bramante.
La composizione ideata da Leonardo è strettamente connessa all’architettura del vasto ambiente conventuale, ponendosi come ideale completamento del lato corto del vano, con i varchi rettangolari sullo sfondo della scena che sembrano alludere a reali aperture sullo spazio esterno. Il punto di fuga (22) era in origine collocato a circa sei metri d’altezza, una soluzione ideale per ricostruire la scena nella sua verità storica, poiché l’evento si sarebbe svolto secondo il racconto evangelico in un ambiente posto al secondo piano. Il rialzamento del pavimento di oltre un metro ha compromesso la percezione dell’assetto visivo originario.
Cristo, isolato e maestoso, è al centro della rappresentazione e costituisce il perno della composizione che si snoda lungo la tavola apparecchiata, dove prendono posto gli apostoli riuniti in gruppi di tre, sei per parte. Con il gesto delle mani Cristo sta indicando il pane e il vino che è in procinto di benedire, alludendo così all’istituzione del sacramento dell’eucarestia. Accanto alla memoria del principale rito cristiano, Leonardo raffigura con precisione il momento in cui il Salvatore sta dicendo agli apostoli «uno di voi mi tradirà», suscitando con il suo annuncio stupore e sconcerto, emozioni e sentimenti (i cosiddetti "moti dell’animo") raffigurati con grande precisione. Come un sasso gettato in una pozza d’acqua che genera onde in cerchi concentrici, la frase del Salvatore scuote i presenti e le loro reazioni sono ritratte con attenzione. Ogni discepolo assume così caratteri fisiognomici ma soprattutto atteggiamenti diversificati, con il pieno rispetto del testo sacro nella cui lettura e traduzione visiva Leonardo è guidato dal priore del convento, il teologo Vincenzo Bandello. Tommaso, per esempio, è riconoscibile per il dito levato . Anche i volti di Giovanni e Pietro, i due apostoli subito alla destra di Gesù, appaiono fortemente caratterizzati e la loro riconoscibilità è rafforzata dall’accostamento dei loro profili psicologici (come tramandati dai Vangeli) notoriamente contrapposti: l’atteggiamento iracondo di Pietro risalta ancora più evidente nel momento in cui è avvicinato alla mansuetudine di Giovanni. Dal medesimo priore Bandello si ritiene che Leonardo abbia tratto l’indicazione di porre Giuda  dallo stesso lato del tavolo degli apostoli; quest’ultimo - come tutti gli altri - non è dotato di aureola. Si tratta di una soluzione insolita, ma non del tutto inconsueta, specialmente negli ambienti domenicani e che ricorre, per esempio, in un affresco fiorentino del Beato Angelico nel Convento di San Marco dove Giuda non è isolato dagli altri apostoli.
In quest’opera Leonardo utilizza una tecnica pittorica originale e sperimentale che ha determinato il suo precocissimo deterioramento (già a pochi anni dalla sua ultimazione), aggravato dai problemi di umidità nella parete. L’artista rinuncia al tradizionale "buon fresco", tecnica estremamente resistente, ma non amata da Leonardo perché lavorare sull’intonaco fresco rendeva necessaria un’esecuzione molto rapida e senza drastici ripensamenti; al suo posto, l’artista utilizza colori a tempera su due strati di preparazione: la cosiddetta " tempera forte". Già a pochi anni dalla sua ultimazione, il Cenacolo di Leonardo era così rovinato che Vasari nel 1568 scrisse che «era tanto mal condotto che non vi si scorge più se non una macchia abbagliata»: proprio per le sue cattive condizioni, che dovevano rendere la scena pressoché illeggibile, i frati decisero di aprire una porta nel refettorio, causando la scomparsa della parte inferiore dell’affresco, con i piedi di Cristo. La mancata comprensione della tecnica utilizzata dal pittore ha causato, nei secoli, restauri sbagliati, che hanno contribuito al degrado del dipinto. Nel 1978 iniziava una lunghissima opera di restauro durata più di vent’anni, diretta dalla restauratrice Pinin Brambilla Barcilon, che seguiva un’altra campagna di lavori apertasi all’indomani della Seconda guerra mondiale, per consolidare la struttura del refettorio a seguito di un devastante bombardamento. Il prezioso dipinto è oggi costantemente sotto osservazione, con strumenti che monitorano il suo delicatissimo stato di conservazione. 

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Madonna con il Bambino e sant'Anna 

All’Inizio del suo secondo soggiorno fiorentino, intorno al 1501, Leonardo espone, ospite del convento servita della SS. Annunziata, il cartone di una grande composizione con sant’Anna, la Vergine, il Bambino e san Giovanni: probabilmente l’intenzione originaria è quella di farne un dipinto per la chiesa del convento, ma l’opera è realizzata solo una decina d’anni dopo e portata da Leonardo in Francia nel 1516 insieme alla Monna Lisa. Questa lunga elaborazione spiega come mai esistano differenze sostanziali tra il cartone - dove è presente la figura di san Giovannino e dove i personaggi si dispongono in maniera differente - e la realizzazione finale, in cui è presente un agnello, simbolo del sacrificio di Cristo: con ogni probabilità Leonardo, tra Milano e Firenze, realizzò diverse versioni del cartone, e soltanto una, oggi conservata a Londra, ci è pervenuta.
Nel cartone le figure, grandiose e monumentali, si stringono in un blocco compatto, articolato da fluidi movimenti evidenziati dai panneggi ricchi di pieghe. Anche nella tavola (24) le figure sono tutte legate tra loro, secondo uno studio della composizione piramidale già iniziato con l’Adorazione dei Magi e lontano da ogni iconografia tradizionale: la Vergine siede sulle ginocchia della madre e si sporge per sostenere il figlio, che, a sua volta, abbraccia l’animale. Il legame tra i personaggi è rafforzato anche dal gioco di sguardi che percorrono i volti dolcissimi delle figure: è un rapporto emotivo e insieme simbolico, perché la nascita di Maria da Anna rende possibile la nascita del Salvatore. Alle spalle del gruppo, un vasto paesaggio si allarga all’orizzonte : come negli altri capolavori leonardeschi, i dettagli naturali sono trattati con la tecnica dello sfumato realizzato con una digradazione cromatica che ammorbidisce i contorni delle cime montuose e ne perde i profili in una nebbia azzurrina; rispetto alla prospettiva geometrica fiorentina, nella prospettiva atmosferica i colori diminuiscono d’intensità con un effetto convincente e profondamente legato agli studi scientifici di Leonardo sull’ottica.

Dossier Arte - volume 2
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Dal Quattrocento al Rococò