Il secondo Rinascimento a Firenze

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Il secondo Rinascimento a Firenze

Accanto alla figura solitaria e alla carriera isolata di Bottlcelli, la Firenze del secondo Quattrocento è caratterizzata da diverse personalità artistiche, che gestiscono botteghe di successo: Antonio e Piero del Pollaiolo, Andrea del Verocchio, Domenico Ghirlandaio e Filippino Lippi.

Antonio del Pollaiolo

Antonio Benci (Firenze 1431 ca.-Roma 1498), figlio di un pollivendolo del Mercato Vecchio a Firenze (paternità che gli valse il soprannome), fu pittore, orafo e scultore, al pari del fratello minore Piero (Firenze 1441-Roma 1496).

Battaglia di uomini nudi

L’incisione con la Battaglia di uomini nudi (152), firmata orgogliosamente entro una tabella ispirata alle epigrafi antiche, raffigura dieci uomini nudi, armati di spade, archi, asce e pugnali, impegnati, o meglio, incatenati in una furiosa battaglia: i loro corpi muscolosi sembrano combinare in modo insieme perfetto e insolito vere anatomie e dettagli classici. L’incisione, replicata numerose volte come permetteva questa nuova tecnica, ebbe un notevole successo e assicurò all’artista una straordinaria fama anche fuori dai confini della Toscana, tant’è vero che una copia della stampa è ricordata nel 1468 in possesso di Francesco Squarcione a Padova, a testimonianza delle nuove possibilità di scambi e contatti artistici garantite dalla facile mobilità di questi fogli.

Monumento funebre di Sisto IV della Rovere

La fama di Antonio del Pollaiolo è dovuta soprattutto al Monumento funebre di Sisto IV della Rovere (153). Firmato e datato 1493, fu compiuto in dieci anni di intenso lavoro, necessari per la modellazione, fusione e rinettatura delle vaste ed elaborate superfici di bronzo, su commissione del nipote del papa, il cardinal Giuliano. Isolata su tutti i lati, la tomba è concepita per stare al centro della cappella, leggermente sopraelevata su una base di marmo verde, perduta in seguito agli spostamenti subiti dall’opera. La tomba rinnova sensibilmente la tipologia quattrocentesca dei sepolcri papali, in genere addossati a una parete, e richiama invece le sepolture dei regnanti d’oltralpe. Il corpo del papa giace su un letto coperto da un lenzuolo riccamente ricamato, circondato dalle Virtù, mentre sui lati del basamento trovano posto le immagini allegoriche delle Arti e delle Scienze: tutte figure di fanciulle leggiadre che ben si adattano all’atmosfera culturale neoplatonica che caratterizzava la corte di Lorenzo il Magnifico a Firenze.

Andrea del Verrocchio

Andrea di Francesco di Cione detto il Verrocchio (Firenze 1435-Venezia 1488) si forma come orafo al pari di Antonio del Pollaiolo, divenendo poi affermato pittore e soprattutto grande scultore. Evidente appare l’interesse dell’artista a sperimentare le molteplici soluzioni offerte dalle vibrazioni della luce sui differenti materiali e sulle superfici.

Incredulità di san Tommaso

Questo gruppo bronzeo (154) è commissionato nel 1467 dal Tribunale della Mercanzia per uno dei tabernacoli esterni della Chiesa di Orsanmichele a Firenze, ma l’opera fu portata a termine solo molti anni dopo, nel 1483. Le due sculture si inseriscono nella nicchia perfettamente rinascimentale dilatandone lo spazio: l'apostolo Tommaso che dubita della resurrezione sta toccando il costato di Cristo che alza il braccio e apre la veste per mostrare la ferita al discepolo. Per risolvere il problema della scarsa profondità della nicchia già esistente, san Tommaso è posto un gradino sotto al Cristo, in una zona intermedia tra la scena sacra e lo spazio dello spettatore: così il tema sacro diventa vivace dialogo.

David

Il bronzo (155), eseguito tra il 1472 e il 1475 per Lorenzo e Giuliano de’ Medici, testimonia i valori cari alla classe dirigente fiorentina, soprattutto se messo a confronto con il precedente David di Donatello (► p. 49). A differenza dell’accento sottilmente inquieto di non facile definizione, perfino nella postura, della scultura di Donatello, il David di Verrocchio è un paggio adolescente trionfante e sicuro, definito da contorni guizzanti: scomparsa è anche la sconcertante nudità dell’esemplare precedente, e il giovane eroe veste una tunica corta decorata d’oro.

Battesimo di Cristo

Nonostante fosse essenzialmente scultore, Verrocchio riuscì a organizzare una delle più affermate botteghe di Firenze anche nel campo della pittura e la lista dei giovani pittori che transitarono nel suo prolifico ambiente è davvero lunga: Botticelli, Leonardo da Vinci, Perugino, Domenico Ghirlandaio e altri ancora. Nel Battesimo di Cristo (156), dipinto per il monastero fiorentino di San Salvi intorno al 1475, Verrocchio restituisce la preziosità dei tessuti - come nel perizoma singolarmente sfarzoso di Gesù - e dimostra di conoscere i dipinti fiamminghi; ha però un disegno incisivo, che è tratto distintivo dei fiorentini del secondo Quattrocento. Giorgio Vasari, nelle sue Vite, riferisce che il maestro aveva lasciato l’esecuzione dell’angelo all’estremità sinistra e del paesaggio sullo sfondo a un giovane allievo della bottega, e da allora, nello spazio che si dilata, nell’espressione dolcissima e pregnante dell’angelo, i critici hanno riconosciuto una delle prime prove di Leonardo da Vinci (► p. 174).

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Filippino Lippi

Filippino Lippi (Prato 1457-Firenze 1504) ricevette i primi insegnamenti dal padre Filippo e poi da Botticelli: da questi due maestri trae le sue eleganti figure allungate, definite da un disegno guizzante. Come abbiamo visto, è lui che è chiamato a completare e forse in parte a ridipingere gli affreschi della Cappella Brancacci (► pp. 41-43): si tratta, per la pittura fiorentina, di un momento fondamentale di riflessione, ma anche di critica discussione dei capolavori del primo Quattrocento.

Pala degli Otto di Pratica

Nel 1486 Filippino mostra di aver raggiunto la piena autonomia stilistica nella Pala degli Otto di Pratica  (157), per la Sala del Maggior Consiglio in Palazzo Vecchio a Firenze, con la Madonna col Bambino in trono, due angeli e i santi Giovanni Battista, Vittore, Bernardo e Zanobi. L’opera, che rivestiva un alto significato civico, segna l’affermazione definitiva del pittore nel contesto politico-sociale della sua città. Lo scudo con la croce rossa in campo bianco alla sommità della pala, al centro di un incredibile intreccio di nastri sfrangiati svolazzanti, è l’emblema del popolo fiorentino, e anche i santi sono tutti per varie ragioni legati alla città. L’ambiente della sacra conversazione è insieme austero e ricco: di richiamo classico è il fregio a maschere che corre intorno alla sommità delle pareti, al pari della finta decorazione scolpita alla base del trono.

Cappella Carafa

A conferma della posizione raggiunta, Filippino riceve una commissione di grande prestigio fuori dai confini cittadini, la cappella del cardinale Oliviero Carafa - protettore dell’Ordine domenicano - nella Chiesa di Santa Maria sopra Minerva a Roma, che lo impegna tra il 1488 e il 1493. Gli affreschi romani sono il suo capolavoro, in cui il pittore rivela un originale rapporto con l’Antico. La sua visione appare talvolta anticlassica, fondata su un’eclettica mescolanza di citazioni dalla scultura antica, accumulate senza ordine ed elaborate da una fantasia in libertà. Nella finta pala che ospita l’affresco dell’Annunciazione sulla parete di fondo della cappella (158), il cardinale - vittorioso sui Turchi nel 1472 al comando di una flotta papale - si arroga il diritto di farsi presentare da san Tommaso d’Aquino al cospetto della Vergine, proprio nel momento in cui Maria riceve l’annuncio della venuta di Gesù. Il finto quadro è inserito in una fastosa decorazione, dove, in cielo, un gruppo di angeli danza intorno alla Vergine. Tutta la scena è riquadrata da una finta architettura, le architravi sono stipate da un insieme entusiasmante di motivi cristiani e pagani, mentre nei pilastri compaiono le cosiddette grottesche. Questo motivo decorativo, che avrà grande fortuna nel Cinquecento, imita le decorazioni, ricche di elementi vegetali e animali, della Domus Aurea, la magnifica residenza dell’imperatore Nerone che proprio in quegli anni si andava riscoprendo e ai cui scavi si accedeva dall’alto, come in una grotta.

Dossier Arte - volume 2
Dossier Arte - volume 2
Dal Quattrocento al Rococò