Le “città-laboratorio”

   1.  IL QUATTROCENTO >> La diffusione del linguaggio rinascimentale

Le “città-laboratorio”

Le corti italiane divennero vivaci laboratori artistici e architettonici: spesso l'arte fu utilizzata dai signori per affermare visivamente il loro potere e dimostrare il proprio generoso legame con la città governata. In questo senso, tre città italiane - Pienza, Urbino e Ferrara - vissero nel secondo Quattrocento un profondo rinnovamento urbanistico che può essere preso a modello sia del mutamento delle strutture architettoniche cittadine sia del mecenatismo delle corti. Bisogna tener presente che i tessuti urbani medievali preesistenti rendevano spesso difficile stravolgere radicalmente l'assetto cittadino: le cosiddette città ideali, immaginate da artisti e architetti rinascimentali, rimasero quindi per lo più sulla carta. 

La Pienza di papa Pio II Piccolomini

Per questo motivo è eccezionale la "costruzione" di Pienza, nella campagna senese, progettata da Bernardo Rossellino nel 1459 per papa Pio II Piccolomini, intenzionato a ristrutturare profondamente il borgo natale di Corsignano che dal suo mecenate prenderà il nome di Pienza e a monumentalizzarlo secondo i dettami dell'architettura rinascimentale fiorentina (113). Pienza - la "città di Pio" - è l'unico esempio concreto delle nuove teorie sulla città ideale
L'architetto fiorentino ha immaginato e realizzato il fulcro della cittadina in una nuova piazza di forma trapezoidale, dominata dalla facciata classicheggiante della Cattedrale e chiusa dalle  due quinte del Palazzo Piccolomini e del Palazzo Vescovile, in asse perpendicolare (114). In questo suggestivo spazio gli edifici sono situati secondo precise regole di simmetria, e la fuga prospettica è rimarcata dai grandi riquadri del pavimento, come se fosse un dipinto rinascimentale costruito secondo la prospettiva centrale, tradotto in architettura. Il Palazzo Piccolomini, che sul lato corto guarda verso una veduta spettacolare della campagna, è isolato rispetto ai monumenti circostanti, e si ricollega nelle sue forme eleganti al fiorentino Palazzo Rucellai (► p. 62), così come la Cattedrale, di spirito profondamente albertiano, che rielabora il modello del Tempio Malatestiano a Rimini (► p. 63). 

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Urbino e il cantiere di Palazzo Ducale 

Anche Urbino, governata dai duchi di Montefeltro fin dal Medioevo, è un caso unico. Il grandioso Palazzo Ducale, vero e proprio fulcro della città (115-116), fu voluto da Federico da Montefeltro e costruito nelle sue parti principali tra il 1464 e il 1472. In seguito, intorno al 1528, l'erudito e letterato Baldassarre Castiglione avrebbe definito l'edificio «una città in forma di palazzo», giacché l'immensa costruzione, progettata dall'architetto Luciano Laurana (Zara 1420 ca.-Pesaro 1479), oltre a essere dimora privata, ospitava gli uffici amministrativi del ducato: il complesso, senza cancellare i caratteri medievali della città, si integra armonicamente con essa, adattandosi e mutando in base alla natura accidentata del suolo su cui sorge. Costruito sfruttando le diverse pendenze e altezze del suolo urbinate,  Palazzo Ducale appare dall'alto un assemblaggio di parti diverse, disposte su differenti livelli altimetrici e dotate, ciascuna, di una propria logica costruttiva. La fronte esterna verso la vallata sembra un fortilizio inespugnabile, serrata da due torrioni cilindrici che inquadrano tre logge sovrapposte, simili ad archi trionfali. All'interno i differenti nuclei che costituiscono l'edificio si articolano attorno al grande cortile d'onore, impostato su basi razionali che rimandano a esempi pittorici e in particolare ai dipinti di Piero della Francesca. Sulla pianta quadrata (117) si alza il porticato a colonne corinzie; nel secondo ordine, alle colonne corrispondono paraste altrettanto corinzie, che si stagliano sul fondo di mattoni. Lungo la trabeazione corre un fregio con un'iscrizione continua a lettere capitali classiche, a testimonianza della volontà ducale di imporre visivamente la propria piccola ma potente corte come nuova Roma. 

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L'Addizione erculea di Ferrara 

Anche a Ferrara il profondo riassetto urbanistico cittadino rigenera la città medievale, riconoscendone comunque il valore. Il duca Ercole I d'Este incarica l'architetto Biagio Rossetti (Ferrara 1447 ca.-1516) di rinnovare l'immagine della città in senso rinascimentale. Il progetto si realizza nella cosiddetta "Addizione erculea", riqualificazione urbana della città duecentesca e trecentesca (mantenuta integra e salvaguardata) grazie al prolungamento in forme rinascimentali delle antiche strade, per creare una rete viaria ortogonale articolata su due assi principali  (118). Si tratta di uno dei primi progetti urbanistici moderni che traduce le nuove teorie rinascimentali sulla città, la disposizione dei suoi spazi e l'organizzazione delle sue fronti architettoniche tenendo sempre ben presente l'insegnamento dell'architetto e teorico antico Vitruvio e i princìpi dell'urbanistica romana classica: l'addizione rinnova la città integrandosi nella sua storia e combina in modo dinamico gli spazi residenziali e quelli del potere. Secondo la volontà del duca e del suo architetto, il nuovo quartiere si distingue per una rete di strade larghe e rettilinee, regolari assi prospettici su cui sorgono magnifici palazzi residenziali. Su questa prospettiva la realizzazione più importante è il Palazzo dei Diamanti (119), così chiamato per il caratteristico bugnato esterno a punta di diamante, impreziosito nello spigolo da ampie paraste riccamente decorate  e da un elegante balconcino angolare, di sobrio gusto classicheggiante. 

Dossier Arte - volume 2
Dossier Arte - volume 2
Dal Quattrocento al Rococò