L’arte italiana tra Trecento e Quattrocento

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L'arte italiana nel Trecento e Quattrocento

Le diverse aree geografiche della Penisola sono investite in misura differente dalle tendenze del Gotico internazionale. In generale si può dire che le manifestazioni più interessanti si incontrano dove maggiore è lo sviluppo delle corti signorili.

La decorazione del Castello della Manta

A Saluzzo, centro dell’omonimo marchesato, la sala baronale del Castello della Manta viene decorata tra il 1416 e il 1426 con un ciclo di ispirazione cavalleresca, I nove prodi e le nove eroine (121): personaggi maschili tratti dall’antichità classica, dall’Antico Testamento e dalla storia della cristianità, e figure femminili leggendarie. Il tema è molto diffuso nell’Europa tardomedievale, ma in questo caso la scelta si spiega in rapporto a un romanzo cavalleresco scritto dal marchese Tommaso III, padre del committente Valerano di Saluzzo. Non è stato possibile dare un nome all’autore degli affreschi (che comprendono anche una Fontana della giovinezza) confrontandolo con gli altri pittori attivi all’epoca in Piemonte. Si usa perciò l’appellativo di Maestro del Castello della Manta. Le figure si dispongono una accanto all’altra con un ritmo lineare e senza interagire tra loro. L’attenzione è catturata dai dettagli della vegetazione e dai ricchissimi costumi alla moda.

La Lombardia dei Visconti

Come si è già visto a proposito della costruzione del Duomo di Milano, la signoria dei Visconti è per molti aspetti aperta verso la realtà europea. Le nozze di Gian Galeazzo Visconti con Isabella di Valois, figlia del re Giovanni il Buono, nel 1360, e quelle della loro figlia Valentina con Luigi di Valois, duca d’Orléans e figlio del re Carlo V, nel 138 7, sono il segno di un rapporto privilegiato con la Francia, che si riflette anche nelle realizzazioni artistiche.
Fra gli scultori attivi in questo periodo ricordiamo Jacopino da Tradate (Tradate, notizie dal
1401-Mantova 1440), che lavorò anche nel cantiere del Duomo. Nella statua di San Bartolomeo apostolo (122), collocata in seguito sulla facciata, il santo brandisce con forza il coltello, strumento del suo martirio. La figura assume la posizione falcata (a forma di falce) tipica della scultura tardogotica.

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Miniatori e pittori in Lombardia

La miniatura lombarda raggiunge tra la fine del Trecento e i primi del Quattrocento livelli di grande prestigio, tanto che per indicarla nasce in Francia la definizione di ouvrage de Lombardie.
Giovannino de’ Grassi (Milano 1355/1360 ca.-1398) fu impegnato nella Fabbrica del Duomo come scultore e architetto, ma ancora più rilevante è la sua attività come miniatore. Un famoso taccuino conservato presso la Biblioteca Angelo Mai di Bergamo contiene scene di pungente naturalismo e dimostra l’eccezionale capacità grafica dell’artista. Il foglio con la Caccia al cinghiale e un leopardo in piccolo giardino (123) è segno di una nuova attenzione per il mondo animale e per le specie esotiche; la scena superiore risolve un atto violento in eleganti ritmi grafici.
Alla generazione seguente appartiene Michele dei Molinari, detto Michelino da Besozzo (Besozzo, presso Varese, 1365/13 70 ca.-1450 ca.), che eseguì per i Visconti alcuni manoscritti miniati, tra cui un libro d’ore dove sono raffigurati fiori tratti dal vero, utilizzati come cornici o sfondi delle pagine. Nella miniatura con l’Ascensione (124), il gruppo della Vergine con gli apostoli occupa quasi tutto lo spazio e l’attenzione si concentra sui volti stupefatti. Michelino dipinse anche affreschi e tavole, tra cui lo Sposalizio mistico di santa Caterina (125), nel quale i personaggi sembrano fluttuare contro lo sfondo dorato. Alla grazia di Gesù e delle figure femminili fa da contrappeso l’aspetto caricaturale del Battista e di sant’Antonio abate. Il trattamento dell’oro è una delle caratteristiche più interessanti: le aureole, le corone e le scritte (compresa la firma dell’autore) sono applicate a pastiglia, cioè su rilievi di gesso e colla, mentre lo schienale del trono utilizza l’oro del fondo arricchito con incisioni a bulino.
L’ultimo protagonista della miniatura tardogotica lombarda è Belbello da Pavia (Luchino Belbello, notizie dal 1448 al 1462), che lavorò prima per i Visconti e poi per i Gonzaga di Mantova. Il suo "licenziamento ", nel 1461, corrisponde alla svolta in senso rinascimentale della corte di Mantova; fu infatti sostituito, prima che avesse completato la decorazione di un messale, da un allievo di Andrea Mantegna. Belbello terminò la decorazione di un libro di preghiere, l’Offiziolo di Filippo Maria Visconti (126-127), che era stata iniziata per Gian Galeazzo da Giovannino de’ Grassi e dal figlio Salomone (documentato dal 139 7 al 1400). Nelle illustrazioni da lui eseguite la carica espressiva giunge alle estreme conseguenze, insieme con una notevole ricchezza decorativa.

Dossier Arte - volume 1 
Dossier Arte - volume 1 
Dalla Preistoria al Gotico