La pittura a Roma tra Duecento e Trecento

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La pittura a Roma tra Duecento e Trecento

Tra classicismo e naturalismo

Roma, in quanto sede papale, rimane un centro artistico importante per tutto il Medioevo, anche se molte opere sono andate distrutte nei secoli seguenti. Una fortunata scoperta ha messo in luce, alla fine del Novecento, un ciclo di affreschi profani databile attorno alla metà del XIII secolo in una sala (Aula gotica) di un palazzo presso la Basilica dei Santi Quattro Coronati. In questi dipinti la tradizione classicheggiante tipica della città e alimentata dalle vestigia del passato, che ispira soprattutto le parti decorative, si unisce a spunti naturalistici di matrice gotica, come dimostra la vivace rappresentazione del Mese di maggio (79) con un cavaliere e due contadini che raccolgono ciliegie circondati da una cornice con girali (motivi vegetali a spirale) e puttini seminudi.

Due generazioni a confronto: Jacopo Torriti e Pietro Cavallini

Alla fine del secolo operano a Roma due importanti pittori dei quali purtroppo si conoscono solo pochi dati biografici. Di conseguenza è difficile ricostruire molti aspetti della realtà artistica romana. 
Jacopo Torriti (seconda metà del XIII secolo) fu pittore di fiducia di papa Niccolò IV, anche se non è certo che appartenesse come lui all’Ordine francescano, e lavorò nella Basilica superiore di Assisi e in San Pietro in Vaticano. Restano anche, a Roma, due notevoli cicli musivi da lui eseguiti per San Giovanni in Laterano e per Santa Maria Maggiore, che attestano i suoi legami con il classicismo del Medioevo romano e con la pittura bizantina.
Pietro Cavallini (1240 ca.-dopo il 1310) era certamente più giovane di Torriti. Di lui scrisse, a metà Quattrocento, lo scultore Lorenzo Ghiberti: «Tiene un poco della maniera antica, cioè greca». Allo stesso tempo, Cavallini dimostra di conoscere le novità introdotte da Giotto nella resa della terza dimensione. Dopo il trasferimento della sede papale ad Avignone (1305), lavorò a Napoli per la corte angioina.
I due mosaici con la Presentazione di Gesù al tempio furono eseguiti probabilmente a poca distanza di tempo l’uno dall’altro: il ciclo di Torriti per Santa Maria Maggiore (80) fu infatti concluso nel 1295, mentre per quello di Cavallini in Santa Maria in Trastevere (81) si suggerisce una datazione negli ultimi anni del secolo per indizi stilistici. Risulta però evidente lo scarto culturale e generazionale tra i due artisti. Tutti e due inseriscono nella composizione degli oggetti architettonici con motivi cosmateschi; tuttavia, mentre Torriti proietta tutta la scena in primo piano e si concentra sull’evento sacro attraverso i gesti e le espressioni dei volti, Cavallini utilizza gli edifici come le quinte di un palcoscenico sul quale si dispongono le figure, in modo simile alle Storie di san Francesco di Giotto ad Assisi. Queste analogie hanno anche suggerito l’ipotesi che il pittore romano abbia lavorato nella basilica francescana e perfino che sia lui l’autore di parte degli affreschi, senza che queste congetture siano risultate definitivamente dimostrabili.

Dossier Arte - volume 1 
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Dalla Preistoria al Gotico