I grandi scultori italiani

   13.  IL ROMANICO >> L’arte romanica

I grandi scultori italiani

Wiligelmo e le storie della Genesi del Duomo di Modena

Rimangono ancora oggi enigmatiche le origini di Wiligelmo, considerato il più grande scultore romanico del territorio italiano, attivo nel Duomo di Modena tra la fine dell’XI secolo e gli inizi del XII. Un suo elogio compare nelle ultime righe di un’iscrizione (74) sorretta dai rilievi dei due profeti Enoc ed Elia e posta sulla facciata della cattedrale a commemorare la decorazione dell’edificio: «Di quanto onore tu sia degno fra gli scultori, Wiligelmo, risulta ora chiaro grazie alla tua scultura». Si discute se l’iniziale del nome sia una V, nel qual caso l’artista si chiamerebbe Vuiligelmus, o se invece sia una W: in questo caso il nome sarebbe Wiligelmus, a conferma di un’origine nordica, ipotizzata ma non documentata. Non si sa neppure con certezza chi (e quando) abbia aggiunto queste righe all’iscrizione e se si possano ritenere una "firma" autografa. Certo è che fra gli artefici della sua epoca Wiligelmo merita pienamente questa lode e l’attribuzione della qualifica di sculptor, usata assai meno di frequente rispetto al più generico appellativo di artifex. L’ipotesi più verosimile è che lo stesso Wiligelmo abbia preparato la lastra e scolpito le figure, mentre altri abbiano scritto la data di fondazione e, forse in un secondo momento, il suo elogio.
L’opera più significativa e famosa di Wiligelmo sono quattro lastre orizzontali sulla facciata del duomo (in origine in una posizione più bassa rispetto a quella attuale), note come Lastre della Genesi. Le quattro lastre si leggono da sinistra verso destra e con ogni probabilità erano in origine tutte collocate alla stessa altezza: l’attuale disallineamento deriva forse dall’apertura, nel corso del XIII secolo, dei due portali minori.
Il vigoroso pathos della narrazione sembra rievocare, come alcuni studiosi propongono, un testo assai diffuso all’epoca, un dramma liturgico intitolato Jeu d’Adam. Le storie dell’Antico Testamento prefigurano la venuta di Cristo e il suo sacrificio per la salvezza dell’umanità. La narrazione di Wiligelmo, che si caratterizza per un’acuta immediatezza e va letta come una successione di eventi senza cesure, inizia dalla storia dei progenitori. La prima lastra (75) raffigura gli episodi dalla Creazione di Adamo, il cui corpo massiccio e pesante sembra emergere da un lungo sonno, alla Nascita di Eva dalla costola del compagno addormentato, fino al Peccato originale, con la coppia raffigurata mentre mangia il frutto dell’albero proibito. Adamo è qui rappresentato con un’espressione insieme ingorda e turbata come se, in quell’esatto momento, si fosse reso conto del peccato commesso. Eva, che nella scena precedente, a conferma del suo originario stato di innocenza, è del tutto priva di sensualità, presenta qui un seno rigoglioso e si copre il pube nudo, come fa anche il compagno.
La vicenda prosegue nella seconda lastra (76), con il Creatore che rimprovera Adamo ed Eva e un angelo che li caccia dal Paradiso. I due si allontanano a testa bassa, con la mano che sostiene il volto in un gesto di disperazione, e sono condannati a una vita di lavoro: nell’ultima scena, coperti da pesanti abiti, zappano con fatica la terra intorno a un albero, riscattandosi dalla colpa con il duro lavoro nei campi.
Le storie continuano poi con le vicende di Caino e Abele (77). I due fratelli portano sacrifici a Dio, raffigurato in maestà: mentre Abele offre un agnello, Caino porta delle spighe, ma copre le sue mani con un panno, a simboleggiare la sua doppiezza e falsità. Nella scena successiva è proprio Caino a uccidere il fratello con una clava; accanto, Dio lo rimprovera aspramente.
Nell’ultima lastra (78), Lamec uccide Caino: l’uomo moribondo si aggrappa inutilmente a un albero. Seguono gli episodi del viaggio di Noè durante il Diluvio, raffigurato sull’Arca con la moglie, e poi dei tre figli che si muovono guidati dal padre.
Non esistono paesaggi né ambientazioni, se non un masso su cui giace Adamo nella Creazione di Eva e tre alberi nelle diverse lastre. La mancanza di riferimenti naturali fa risaltare con vivacità le scene sacre e il loro nucleo narrativo e drammatico, destinato a imprimersi con chiarezza nella memoria del fedele: al centro del mondo di Wiligelmo c’è il conflitto tra l’uomo e la natura, la lotta contro il male, il peccato e il vizio; così, grazie a questi rilievi, l’ingresso nel duomo viene a rappresentare simbolicamente la via verso la salvezza tramite lo sforzo umano. I modelli classici, il cui richiamo è evidente nell’uso dei panneggi a pieghe regolari o nella figura di Adamo addormentato che incrocia elegantemente le gambe, sono riadattati da Wiligelmo alla luce del messaggio cristiano.

La narrazione è unificata solo da una successione di archetti che sovrastano le figure e talvolta si prolungano in colonnine sormontate da capitelli. La finta architettura dei bassorilievi copia così la vera architettura della facciata del duomo e le logge ideate da Lanfranco. 

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Nicholaus a Verona

Fra i principali successori di Wiligelmo spicca Nicholaus, un artista che lascia i suoi lavori in diversi centri dell’Italia settentrionale. Egli è attivo nella realizzazione del Duomo di Ferrara e di quello di Cremona, della Basilica di San Zeno a Verona e della Sacra di San Michele in Val di Susa, meta di pellegrinaggio da parte dei devoti all’arcangelo Michele.
È nella Basilica di San Zeno, a Verona, che Nicholaus realizza il proprio capolavoro scolpendo una serie di rilievi su quattro registri (79), posti a destra e a sinistra del protiro e raffiguranti la Leggenda di Teodorico e le Storie della Genesi. Queste ultime sono vicine, come iconografia e costruzione delle scene, agli analoghi rilievi di Wiligelmo a Modena. Nel corposo senso del rilievo, nello stile potentemente plastico, nella vivacità delle figure, Nicholaus dimostra la sua appartenenza alla cultura tipica dell’Emilia-Romagna, che avrà diversi seguaci anche a Parma e Piacenza, ma, allo stesso tempo, la sua conoscenza dei modelli francesi, più morbidi ed eleganti, soprattutto nei profili.
I riquadri, che si leggono da sinistra verso destra e dal basso verso l’alto, raffigurano insieme scene laiche e religiose, inserite in un elegantissimo motivo di intrecci vegetali e animali. Nella fascia inferiore vi sono due scene che si collegano alla storia di Verona, con la Leggenda di Teodorico, il re ostrogoto che agli inizi del VI secolo aveva conquistato la città. Secondo la tradizione, il re, attratto irresistibilmente da un magnifico cervo apparso all’improvviso, lo inseguì inutilmente insieme ai suoi cani fino a sprofondare nella porta dell’Inferno, qui raffigurata a destra, con un diavolo dal volto mostruoso. La scelta del soggetto non è casuale: il comune di Verona stava infatti, in quegli anni, tentando di liberarsi del controllo esercitato dagli imperatori germanici e la raffigurazione del re che entra nell’Inferno era l’espressione di queste aspirazioni.
Sopra la vicenda leggendaria, iniziano le Storie della Genesi, con la creazione degli animali e, a destra, la nascita di Adamo. Seguono la creazione di Eva dalla costola di Adamo, su un elegante sfondo a motivi geometrici e rosette, e il peccato originale, con i corpi torniti dei due progenitori disposti simmetricamente intorno all’albero . Nella fascia superiore l’arcangelo caccia dal Paradiso terrestre la coppia, dall’espressione disperata e dai gesti pieni di vergogna. A fianco Eva, rappresentata come una matrona classica secondo un’iconografia tradizionale, allatta i due figli e tiene in mano gli oggetti per la filatura, mentre Adamo zappa la terra: è la condanna al lavoro, inesorabile conseguenza del peccato.

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Benedetto Antelami a Parma

Enigmi e ipotesi controverse circondano il percorso artistico e la fisionomia culturale di un altro dei protagonisti della scultura romanica, Benedetto Antelami, attivo a Parma e nell'Italia settentrionale fra 1178 e 1230 circa. Di Antelami si ignorano ancora le origini: c'è chi ipotizza che fosse lombardo, più in particolare originario della Val d'Intelvi, presso il Lago di Como; altri studiosi pensano invece che provenisse dalla Liguria, patria di numerose maestranze e di artisti itineranti, e che per questo conoscesse le vicine chiese romaniche provenzali, in particolare la Chiesa di Saint-Gilles ad Arles. Questi edifici sono infatti improntati a uno stile classicheggiante e raffinato, simile a quello che caratterizza i rilievi nel Duomo (► pp. 374-375) e nel Battistero di Parma. 
Nonostante Antelami si dichiari scultore soltanto nella lapide del duomo, oggi gli sono attribuiti anche il progetto architettonico e il disegno dei rilievi che decorano l'interno e l'esterno del Battistero di Parma (80), come già sosteneva la tradizione e come confermerebbero sia la data 1196, posta forse da Antelami stesso, sia i restauri condotti alla fine del secolo scorso. Un programma unitario ispirava le decorazioni fuori e dentro l'edificio: il fedele incontrava dapprima i rilievi sulle lunette dei tre portali, allusivi alle fatiche della vita umana; poi, entrando nel battistero, si trovava al cospetto di rilievi simbolici che suggerivano che pericoli e difficoltà possono essere sconfitti grazie alla fede cristiana. All'interno del battistero si trovano infatti le sculture ad altorilievo dei Mesi, delle Stagioni e dello Zodiaco, che forse formavano in origine un ciclo corrispondente ai sedici settori della copertura. Mesi e Stagioni, per la prima volta raffigurati in modo tanto complesso e appariscente, si riferiscono al lavoro dell'uomo, che si riscatta dalla maledizione biblica, secondo un concetto chiave della religione cristiana già espresso da Wiligelmo nella non lontana Modena. Il Mese di Gennaio (81) è simboleggiato dalla figura di Giano bifronte; quello di Settembre (82) è impersonificato da un contadino che vendemmia e da un personaggio ai suoi piedi che rappresenta il segno zodiacale della Bilancia.

Dossier Arte - volume 1 
Dossier Arte - volume 1 
Dalla Preistoria al Gotico