L'arte mobiliare

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L'arte mobiliare

Nel Paleolitico l’arte mobiliare europea si esprime in oggetti e manufatti di piccole dimensioni che possono essere distinti in tre grandi categorie: utensili e armi, ornamenti per il corpo o semplici placchette decorative applicate a oggetti d’uso quotidiano e, infine, statuette a tutto tondo. Questa produzione non presenta la ricchezza e la complessità della pittura rupestre, perché l’artista è condizionato dalla forma, dalle dimensioni e dalla natura del materiale impiegato: pietra, avorio, osso, corno o anche argilla. 
La produzione di armi e utensili comprende arpioni e propulsori, cioè bastoni forati in cui venivano inserite una freccia o una zagaglia (sorta di lancia di piccole dimensioni, generalmente realizzata in legno e con punta in pietra, osso o corno) e che permettevano di scagliarle a grande distanza. I propulsori erano talvolta decorati con incisioni o con piccoli elementi a rilievo o a tutto tondo che raffigurano la fauna preistorica (10).
Gli ornamenti, invece, comprendono parti di collane o pendagli. Si tratta di un numero limitato di reperti rispetto alla vasta produzione a tutto tondo – vere e proprie statuette – che riproducono in piccole dimensioni la figura femminile. Questi esemplari sono stati rinvenuti in tutta Europa, fino alla Siberia. Le tracce della produzione mobiliare sono state infatti ritrovate in un’area molto più vasta della zona cosiddetta franco-cantabrica o mediterranea, dove si concentra la maggior parte dell’arte rupestre.

Dama di Brassempouy

Una piccola testa femminile, scolpita nell’avorio ricavato da una zanna di mammut e detta la Dama di Brassempouy (11), dal nome della località presso Landes (Francia) in cui venne scoperta nel 1894, è ritenuta la più antica immagine a tutto tondo di un volto umano (27 000 anni fa circa). Non si sa se il frammento facesse parte di una figura completa, ma senza dubbio si discosta in modo notevole dallo stereotipo delle altre raffigurazioni preistoriche femminili conosciute, possedendo un’eleganza sottile che risponde ai canoni estetici attuali. Se si esclude la bocca, i tratti del viso, sorretto da un lungo collo, sono ben delineati – fatto unico nell’arte paleolitica – e hanno indotto a pensare che l’opera possa essere una sorta di ritratto. La resa della capigliatura mostra incisioni profonde, verticali e orizzontali, che creano un reticolato geometrico, corrispondente forse a una particolare acconciatura o a un copricapo, da cui deriva anche il nome di Dama col cappuccio.

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Le Veneri steatopigie

Le raffigurazioni femminili più frequenti nella Preistoria, però, sono quelle caratterizzate da attributi sessuali molto pronunciati, ritratti con un certo realismo, e da esagerate dimensioni della zona del bacino. E per questo motivo che vengono definite Veneri steatopigie, cioè "dalle grosse natiche" (dal greco stéar, "grasso", e pugé, "natiche"), o più comunemente Veneri della Preistoria, dal nome della dea romana della bellezza e dell’amore, Venere (Afrodite, per i Greci). In realtà queste piccole figure non rappresentano tanto un’idea astratta di bellezza, quanto piuttosto l’incarnazione dell’immagine    materna – la dea madre –, simbolo di prosperità e di fecondità. L’esemplare più famoso è la Venere di Willendorf.
Fra i più antichi esemplari di questa serie, spicca anche la Venere di Lespugue (12), che secondo il paleoantropologo Ian Tattersall (1945) sarebbe il risultato della lavorazione di una pietra da forgiare come utensile. Nella statuetta risultano particolarmente evidenti l’ipertrofia della zona del bacino e le ridotte dimensioni del resto del corpo, che conferiscono all’oggetto la caratteristica forma a losanga.
Lo stesso tipo di donna dalle forme esasperate si trova anche nelle sagome incise, come quella della Grotta di Cussac (13), il cui profilo, formato da una linea netta ed essenziale, sottolinea il seno e la prominenza del ventre. Su un blocco di calcare, invece, è ritratta frontalmente, a bassorilievo, la Venere di Laussel (14). Il volto è appena abbozzato ma i seni e i fianchi sono particolarmente accentuati. Il bassorilievo presenta tracce di ocra rossa, colore forse allusivo al sangue che nelle culture tribali, ancora oggi, indica la riproduzione. Allo stesso concetto rimanda anche il corno, simbolo di fecondità, retto nella mano destra. Nello stesso sito in cui venne rinvenuta la Venere sono state trovate altre rappresentazioni: di particolare interesse sono alcune teste di cavallo e una scena di parto, che porterebbero a far ritenere il luogo adibito al culto della fertilità e a riti dedicati alla procreazione.

Dossier Arte - volume 1 
Dossier Arte - volume 1 
Dalla Preistoria al Gotico