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La celebre novella parla – come altre del
Decameron – di un mondo lontano da quello di Boccaccio, non tanto cronologicamente, quanto piuttosto socialmente: mentre l'autore vive in un contesto borghese e mercantile, i protagonisti della novella sono intrisi della mentalità feudale, secondo la quale un feudatario detiene un potere totale e incontrastato sulle cose e sulle persone che ricadono sotto la sua giurisdizione. Spia di ciò è il fatto che nella novella nessun uomo al seguito di Gualtieri gli muove mai biasimo alcuno a proposito della sua condotta; per non parlare, poi, della devozione cieca della donna, possibile solo in un contesto di totale sudditanza della moglie nei confronti del marito.
In questo ambiente feudale Boccaccio mette in risalto la superiorità morale della povera contadina sul ricco signore: mentre quella è forte e paziente, questo è egoista e crudele. La donna, di umili origini, ha temprato il suo spirito in continue
fatiche (r. 245), che l'hanno resa capace di sopportare ogni avversità con pazienza amorevole e sovrumana. Il marchese di Saluzzo, al contrario, è mosso (secondo l'interpretazione prevalente del testo) da una matta
bestialità (r. 9): per questo Boccaccio non mostra particolare rispetto verso il suo alto rango, anzi conclude la novella con una battuta, pronunciata dal narratore Dioneo, decisamente irriverente verso Gualtieri, al quale – dice –
non sarebbe forse stato male investito d'essersi abbattuto a
una che quando, fuor di casa, l'avesse fuori in camiscia cacciata,
s'avesse sì a un altro fatto scuotere il pilliccione che riuscito
ne fosse una bella roba (rr. 284-286).