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In Inferno, XXVII, 85-123 (T16), a parlare è Guido da Montefeltro. Secondo l’accusa dantesca, Bonifacio VIII non ha esitato a svilire le proprie prerogative spirituali (come quella, tipica del sacerdote, di rimettere i peccati) per basse ragioni di interesse personale. In realtà quello messo in atto dal papa è un inganno: non ci si può pentire ed essere assolti da una colpa e al tempo stesso commetterla; il pentimento e l’assoluzione possono soltanto seguire cronologicamente il peccato, certamente non precederlo.
Così Guido da Montefeltro è stato raggirato da questo pontefice politicante, che è l’esatto opposto di ciò che per Dante dovrebbe essere un papa. Anziché bandire crociate contro i musulmani, per recuperare i territori “santi” (cioè la Palestina, dove Gesù era nato, vissuto, morto e risorto), Bonifacio considera propri nemici gli stessi cattolici, che egli contribuisce a dividere tra di loro con la sua partigianeria. La battuta finale del diavolo (Forse / tu non pensavi ch’io loïco fossi!, vv. 122-123) risveglia bruscamente Guido dall’illusione di essere stato veramente assolto, mettendo in evidenza l’inganno di cui egli è stato fatto oggetto da parte di Bonifacio.