ZOOM: La caccia e la pesca

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La caccia e la pesca

Uno degli esempi più affascinanti della pittura dell’antico Egitto sono gli undici frammenti dei dipinti che decoravano le pareti della tomba dello scriba Nebamun, vissuto verso la fine della XVIII dinastia. I frammenti furono scoperti nel 1820 in una necropoli dell’antica Tebe, e sono ora esposti al British Museum di Londra.
Nebamun era il contabile del grano per le offerte al tempio di Amun a Karnak, e pare avesse servito ben due faraoni: Amenhotep III (1390-1352 a.C. circa) e forse anche, per qualche anno, il suo successore, il figlio Amenhotep IV (futuro Akenhaton e marito di Nefertiti).

Opera NEBAMUN A CACCIA NELLA PALUDE
Data 1350 a.C. circa (XVIII dinastia)
Tecnica Pittura murale a tempera
Luogo Londra, British Museum

Nebamun è raffigurato secondo i canoni tradizionali: il viso e le gambe di profilo, gli occhi, il sopracciglio e le spalle di fronte. La dimensione delle figure umane ne rispecchia l’importanza sociale: Nebamun, il protagonista, è dipinto più grande della moglie e della figlia.


La figlia di Nebamun stringe nella mano un fiore di loto: poiché questo fiore alla sera si chiude e si immerge sotto la superficie dell’acqua, per poi riemergere e dischiudersi al mattino, esso era il simbolo della rinascita.

Il linguaggio dell’opera

Le scene della tomba, dai colori delicati, raffigurano episodi quotidiani: offerte, banchetti, ma anche immagini di mandrie e di caccia, come l’episodio qui illustrato della caccia nella palude. Nebamun è in piedi sulla canoa; sotto le sue gambe è seduta la figlia, mentre la moglie, vestita con eleganza, sta in piedi dietro di lui. A prua si vede l’oca domestica, che attira le anatre di palude, mentre il gatto con un guizzo morde una preda e ne afferra un’altra con gli artigli. Gli animali e le piante sono molto realistici, fin nei minimi particolari, mentre le figure umane seguono i canoni di rappresentazione egizi rimasti immutati per secoli.

CONFRONTI

Le tombe contenevano tutto ciò che si credeva potesse servire al defunto nell’aldilà: non solo cibo, bevande, utensili e gioielli, ma anche dipinti con scene di vita quotidiana che dovevano allietare il defunto, rianimandosi come per magia, offrendogli anche il necessario per nutrirsi. Qualche secolo dopo, anche gli Etruschi riprodurranno scene di caccia e pesca nelle loro tombe. Le loro figure, però, seppure stilizzate, sono più movimentate e non tutte di profilo. Inoltre sono ad affresco, cioè dipinte sull’intonaco appena steso, una tecnica sconosciuta agli Egizi.




La caccia e la pesca, 520 a.C., affresco. Tarquinia (Viterbo), necropoli dei Monterozzi, Tomba della Caccia e della Pesca.

Arte Attiva 
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