I pittori fiamminghi e l’Italia

I pittori fiamminghi e l’Italia

Una nuova tecnica per dipingere dettagli minuziosi e profonde vedute

Nel Quattrocento le Fiandre, una regione oggi compresa fra il Belgio e l’Olanda, vivono un periodo particolarmente florido, che si riflette in modo favorevole sull’arte. La borghesia mercantile di Bruges e Gand, città frequentate anche da mercanti e banchieri italiani, commissiona importanti dipinti agli artisti locali, che presto estendono la loro fama anche all’estero: fra gli altri, il grande Jan van Eyck (1390 ca.-1441), considerato il capostipite della tradizione fiamminga del Quattrocento, e poi Rogier van der Weyden (1400 ca.-1464), Hugo van der Goes (1440-1482) e Hans Memling (1435-1494). Gli artisti fiamminghi sono interessati soprattutto a raffigurare in modo eccezionalmente analitico ogni dettaglio della natura e dell’uomo (talvolta caricandoli di significati simbolici), come se li osservassero attraverso una lente d’ingrandimento. La superiorità dei fiamminghi nell’analisi del mondo naturale e nella brillantezza dei colori affascina gli italiani, che ammirano le opere di Van Eyck e di altri maestri collezionate dai Medici a Firenze e dagli Aragona a Napoli; pare inoltre che Rogier van der Weyden sia stato a Firenze e sicuramente a Roma, nel 1450. L’influenza delle opere fiamminghe sull’arte fiorentina si riconosce già nei dipinti dell’Angelico e di Filippo Lippi, e in seguito nell’arte di molti altri grandi pittori, che cominciano a raffigurare in maniera dettagliata ogni aspetto della realtà.

La pittura a olio

La fama dell’arte fiamminga si deve in gran parte all’invenzione della pittura a olio, sperimentata e perfezionata da Jan van Eyck. Con questa tecnica i pigmenti, mescolati a olio di lino e trementina al posto della chiara d’uovo usata nella tempera, vengono applicati sulla tavola con sottili velature (strati di colore trasparente). La superficie pittorica acquista così una straordinaria trasparenza e brillantezza in confronto all’opacità della tempera usata in Italia in quel periodo. L’olio permette inoltre di ottenere notevoli effetti di profondità, rilievo e gradazioni di chiaroscuro

Il mondo dalla finestra

La profondità delle vedute realizzate da Jan van Eyck sul fondo dei suoi dipinti è molto apprezzata in Italia. Bartolomeo Facio, umanista e conoscitore d’arte alla corte d’Alfonso d’Aragona, così le descrive: «Cavalli, minuscole figure di uomini, montagne, boschetti, paesi e castelli resi con tanta destrezza che si crederebbero distanti gli uni dagli altri cinquanta miglia». Il tipico paesaggio chiuso in verticale dalle montagne, adottato spesso dai fiorentini, si tramuta in bellissime vedute a volo d’uccello, come quelle dei fiamminghi, che spingono la raffigurazione dell’orizzonte sempre più lontano, sul fondo, come si vede nel particolare tratto dall’Annunciazione di Antonio e Piero del Pollaiolo.

Riflessi sull’arte italiana

In Italia il siciliano Antonello da Messina (1430 ca.- 1479) acquisisce precocemente la padronanza della pittura a olio introdotta dai fiamminghi. Secondo i racconti di Giorgio Vasari, il pittore messinese sarebbe stato nelle Fiandre per strappare all’anziano Jan van Eyck il segreto della nuova tecnica. In realtà Antonello ha imparato a dipingere a olio nel suo apprendistato presso il pittore Colantonio, alla corte aragonese di Napoli, dove i modelli fiamminghi erano noti tramite la ricchissima collezione di dipinti di Alfonso d’Aragona. Il talento di Antonello nella pittura a olio si combina inoltre con una maestria prospettica tipicamente italiana. I suoi quadri mostrano così una sintesi fra le ricerche sulla prospettiva sperimentate dagli italiani e le magistrali brillantezze del colore, degne di un fiammingo.

Arte Attiva 
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