La rivoluzione della prospettiva

La rivoluzione della prospettiva

Un’innovazione radicale: rappresentare la profondità dello spazio con un metodo scientifico

La raffigurazione dello spazio, a tre dimensioni su un piano grafico o pittorico a due dimensioni esiste fin dall’antichità, realizzata con metodi sempre diversi a seconda delle capacità dell’artista. Maestri come Giotto, nel Trecento, avevano esplorato la resa prospettica con esperimenti legati all’intuizione, ma le figure erano spesso sproporzionate rispetto all’ambiente che le circondava.
Solo nel Quattrocento, lo scultore e architetto fiorentino Filippo Brunelleschi (1377-1446) elabora un metodo razionale fatto di regole geometriche precise che permette di rappresentare con esattezza la profondità dello spazio: seguendo questa tecnica che da ora in poi si chiamerà prospettiva lineare, le dimensioni delle figure e degli oggetti disegnati vengono ridotte in proporzione, secondo la distanza dall’osservatore. La prospettiva permette di raffigurare la realtà in maniera fedele e diventa uno strumento preciso e ripetibile che consente anche di simulare sul foglio da disegno le caratteristiche di un edificio progettato all’interno della città.
Sarà Leon Battista Alberti (1404-1472), legato a Brunelleschi da profonda stima, a scrivere le regole della prospettiva nel trattato De pictura (1435), e ben presto molti altri artisti applicheranno queste norme: la prospettiva lineare rivoluzionerà la pittura e l’architettura del Rinascimento.

La prospettiva lineare

In un disegno prospettico il foglio è chiamato piano di proiezione. L’orizzonte è la linea orizzontale che taglia il piano di proiezione individuando l’altezza del punto di vista ideale dell’osservatore. Il punto di fuga, situato sull’orizzonte, è quello in cui convergono tutte le linee prospettiche o di profondità. I punti di fuga possono essere più di uno a seconda della complessità della scena e delle esigenze espressive dell’artista.


La prospettiva per progettare
una nuova città

In tre celebri dipinti di spazi urbani idealizzati il nuovo metodo di rappresentazione diventa uno strumento per illustrare una nuova idea di città. Le tavole, sul cui autore ancora si discute, oggi conservate in tre musei (Baltimora, Urbino e Berlino), appartengono a un unico ambito artistico della fine del Quattrocento e sono collegate da una rigorosa tecnica di rappresentazione prospettica. I dipinti presentano alcune oggettive differenze cromatiche e dimensionali, ma sono stati sempre considerati come parti di un unico gruppo: il comune denominatore è rappresentato dal soggetto e dalle modalità di composizione e rappresentazione della scena. Si tratta, infatti, di paesaggi urbani delineati sulla base di una rigorosa griglia prospettica, dove sono raccolti e ordinati edifici civili e religiosi, insieme a elementi di arredo urbano, tutti concepiti secondo uno stile classicista. Il mondo dell’Antico viene evocato nelle tre tavole attraverso strutture romane come il Colosseo, il Pantheon e l’arco di trionfo, oppure grazie a edifici moderni decorati con l’ordine architettonico.

Le tavolette prospettiche

I princìpi individuati da Brunelleschi erano esemplificati dall’artista in due tavolette quadrate, oggi perdute, che raffiguravano il Battistero e la Piazza della Signoria di Firenze.



I due dipinti avevano un foro corrispondente al punto di vista scelto per rappresentare la scena. L’esperimento consisteva nel mettersi di fronte a uno dei luoghi della città, appoggiare l’occhio sul retro della tavola e guardare prima l’immagine reale e poi quella dipinta che si rifletteva su uno specchio, verificando la coincidenza tra le due. È chiaro che il contributo di Brunelleschi stava nell’aver dimostrato, attraverso l’esperienza pratica e visiva, l’esistenza di una regola geometrica utile per riprodurre la realtà.

Arte Attiva 
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