Ricchezza e povertà

Il prodotto globale lordo, cioè il valore dei beni e servizi prodotti nel mondo, è in costante crescita. Insieme alla "ricchezza" complessiva, però, crescono anche le diseguaglianze nella distribuzione del reddito sia tra i diversi Paesi sia all'interno di ogni singolo Stato.

UNA DISEGUALE DISTRIBUZIONE DELLE RICCHEZZE

La Banca Mondiale stima che 2,5 miliardi di persone vivano oggi sotto la soglia di povertà, ossia con un reddito inferiore a 2 dollari al giorno. Di queste, più di 1 miliardo vive con meno di 1 dollaro al giorno, in condizioni di povertà estrema: circa 600 milioni sono bambini. I dati del FMI (Fondo Monetario Internazionale) per il 2011 dicono che il prodotto interno lordo pro capite - cioè il PIL diviso per il numero di abitanti - dei Paesi più ricchi in Europa, America Settentrionale, Giappone e Australia è compreso grosso modo tra i 19.000 euro del Portogallo e gli oltre 68.000 del Lussemburgo. Lo stesso dato scende a 2700 euro per l'lndia e precipita a 390 euro per lo Zimbabwe.
Il decimo più ricco della popolazione mondiale dispone di più della metà del reddito totale, mentre i nove decimi residui si spartiscono il resto. Le 500 persone più ricche del mondo "guadagnano" più o meno quanto i 500 milioni di persone della fascia più povera.
Una cosìforte diseguaglianza dei redditi si traduce in un'enorme diseguaglianza di consumi, lungo un arco che va dall'eccesso alla penuria, dallo spreco alla fame. Occorre infine notare che il tasso di diseguaglianza è significativamente accresciuto dalle differenze di distribuzione del reddito all'interno dei singoli Paesi: in quelli poveri esistono élite ricche o ricchissime, mentre nei Paesi ricchi una minoranza di persone vive sotto la soglia di povertà.

Nord e Sud del mondo

I poveri si concentrano nelle regioni meno sviluppate dell'Asia, dell'Africa Subsahariana, dell'America Latina e dei Caraibi. Sulla carta geografica, questa distribuzione giustifica la contrapposizione che si fa abitualmente tra un Nord ricco e un Sud povero del mondo, purché il Nord sia spostato sopra il Tropico del Cancro e la divisione non sia presa in senso assoluto (l'Australia è ricca e si trova a sud, la Mongolia, povera, è a nord).
Appare invece superata l'espressione Terzo Mondo, che fino al 1989-1991 indicava i Paesi in via di sviluppo, divisi tra il modello capitalistico americano e quello sovietico della pianificazione socialista. Da allora, tra l'altro, alcuni Paesi, come quelli ricchi di petrolio, non sarebbero più "Terzo Mondo". Anche l'opposizione sviluppo/sottosviluppo comincia a essere presa con qualche cautela, perché implica il riferimento a un modello di crescita economica, quello seguito dall'Occidente ricco, cui oggi si guarda con occhio critico: la sostenibilità ecologica di quel modello, per esempio, è messa in seria discussione. Se la Cina lo seguisse, nel 2030 avrebbe bisogno di una quantità di petrolio assai superiore all'attuale produzione complessiva mondiale e si riempirebbe di oltre un miliardo di automobili!
Parlare, invece, di regioni ricche e di regioni economicamente meno sviluppate o povere mette a fuoco il problema e lascia aperta la strada a un futuro diverso.

Misure della ricchezza, misure della povertà

Il reddito pro capite (corretto in base al costo della vita) rimane un parametro efficace per la valutazione delle diseguaglianze tra i vari Paesi. Dal 1990 però si usa anche l'indice di Sviluppo Umano, o ISU, che combina l'indicatore economico del reddito pro capite con due indicatori sociali: la speranza di vita alla nascita e il livello di istruzione. Nel 2010 PUNDP ha inoltre introdotto IPM, l'Indice di Povertà Multidimensionale, che combina percentuali di oltre dieci variabili relative alla sanità (mortalità infantile e livello di nutrizione), all'istruzione (anni di scuola frequentati dalla popolazione e percentuale di bambini scolarizzati) e ad altri standard di vita. Queste misure intendono essere più precise e qualitative, e in effetti lo sono. Dicono per esempio che in Islanda si "vive meglio" che negli Stati Uniti, o che a Cuba il livello di istruzione e sanità "compensa" il reddito prò capite basso. Alla base della scala, però, la situazione non cambia: il gruppo a più debole sviluppo umano (indice inferiore allo 0,5) includeva nel 2011 perlopiù Paesi africani, e il Paese più povero del mondo, secondo gli ultimi dati IPM, è il Niger.

RIFLETTI

In questa metacarta le proporzioni tra i continenti e i Paesi non sono reali, ma legate alla ricchezza prodotta da ciascuno Stato nel 2010. Quali Paesi ti sembrano molto più grandi rispetto alle loro dimensioni reali? Quale continente, invece, risulta molto più piccolo? Che cosa significa, secondo te?


POVERTÀ NEL MONDO

Come si vede dall'istogramma, l'Asia Meridionale è la regione della Terra con il maggior numero di persone in condizione di povertà (oltre 1 miliardo di individui) o di povertà estrema (più di 400.000). In Africa, e in particolare nell'Africa Subsahariana, e in alcuni Paesi dell'America Latina, le condizioni di vita sono altrettanto difficili, ma si tratta di territori meno popolati: solo per questo non figurano ai primi posti di questa "classifica" basata solo sulle quantità di popolazione.




I fattori della povertà

Spiegare la povertà in cui versa gran parte del mondo non è facile. Più che elementi naturali pesano sia fattori storici, a partire dallo sfruttamento coloniale, sia meccanismi demografici, essendo la natalità molto più alta nel Sud del mondo. Inoltre determinante è l'ineguaglianza politico-economica tra Stati del Sud e del Nord del pianeta, che spesso produce scambi ineguali, soprattutto fra i produttori delle materie prime e chi le trasforma e commercializza, costringendo i Paesi poveri ad accedere alla globalizzazione in posizione di debolezza e subalternità. Infine la guerra ma anche la corruzione e l'oppressione politica interna, il basso livello distruzione e le carenze sanitarie contribuiscono al circolo vizioso che perpetua la povertà.

Quando i poveri rimangono poveri: il peso del debito

I Paesi poveri, per effetto della loro dipendenza economica, sono indebitati da decenni con i Paesi ricchi dai quali ricevono prestiti per finanziare programmi di sviluppo. L'aumento dei tassi d'interesse dovuto alla situazione internazionale causò, negli anni Settanta del secolo scorso, uno straordinario aumento del debito e dei relativi interessi. Negli anni Ottanta i Paesi debitori, a partire dal Messico, si dichiararono insolventi, cioè incapaci di restituire i prestiti, mentre il peso degli interessi da pagare annualmente schiacciava i loro piani di crescita e di lotta alla povertà. A complicare il quadro c'era il fatto che il debito era talvolta servito a finanziare opere inutili, spese militari, dittatori e governi corrotti. I Paesi creditori, sostituitisi alle banche, seguirono una politica di spostamento delle scadenze del debito, le cosiddette moratorie, senza però quasi mai cancellarlo, come invece richiesto da un crescente movimento di opinione internazionale. FMI e Banca Mondiale hanno poi imposto rinegoziazioni del debito e nuovi prestiti quando hanno preso l'avvio nuovi programmi "di aggiustamento" ultra-liberistici, con riduzione della spesa pubblica anche per sanità e istruzione, vendite a privati (perlopiù stranieri) di imprese e risorse nazionalizzate negli anni precedenti, eliminazione degli aiuti statali ai piccoli produttori locali, cancellazione degli interventi di contenimento dei prezzi, di sostegno ai salari e di controlli sui cambi. Nonostante una grande campagna di sensibilizzazione lanciata a partire dal 2005 da numerose organizzazioni no profit e malgrado i conseguenti impegni presi dal G8 per cancellare almeno una parte del debito, la questione rimane ancora un grave problema per molti Paesi.

Il mondo affamato

Estrema povertà equivale a fame. Circa 870 milioni di persone soffrono oggi di denutrizione, ossia consumano in media meno di 2300 calorie al giorno, mentre circa 2 miliardi sono malnutriti, hanno cioè diete insufficienti, carenti di ferro, vitamine, proteine, sali minerali. Per le conseguenze della fame, della malnutrizione e delle relative malattie muoiono ogni anno più di 6 milioni di persone, in gran parte bambini. Il 95% delle persone sottoalimentate si concentra nelle regioni meno sviluppate, in Paesi asiatici (come il Bangladesh) e in quasi tutti quelli dell'Africa Subsahariana.

Contro la fame

La produzione alimentare mondiale, in particolare quella di cereali, basterebbe a nutrire gli abitanti della Terra, ma è mal distribuita. I tre quarti delle persone che soffrono la fame vivono nelle zone rurali dei Paesi più poveri: sono privi di terra, di acqua, di strumenti per coltivare, e naturalmente di denaro per acquistare alimenti. Da questo punto di vista, appaiono indispensabili riforme agrarie che redistribuiscano la terra dai grandi e grandissimi proprietari ai contadini, così come crediti e sostegni governativi ai piccoli coltivatori e interventi sulle reti idriche. Sono gli obiettivi per cui si batte, per esempio, il Movimento dei contadini Senza Terra in Brasile. Questioni globali sono invece quelle legate agli usi dei suoli coltivabili e al prezzo del grano e degli altri prodotti alimentari. Nei Paesi meno sviluppati, anche in quelli colpiti dalla malnutrizione, grandi estensioni di terra fertile sono impiegate non per soddisfare i bisogni alimentari locali, ma per monocolture riservate all'esportazione, come il cotone e l'ananas, oppure per produrre foraggio destinato all'allevamento del bestiame a sostegno dei consumi di carne nei Paesi più sviluppati. A dettare legge non è la necessità reale, ma il potere delle multinazionali alimentari. I Paesi ricchi - America Settentrionale, Europa, Canada, Australia - e le loro imprese impongono anche il prezzo del grano: grazie alla loro agricoltura, assai produttiva e sorretta da forti sussidi, possono infatti vendere le eccedenze agricole ai Paesi che ne hanno bisogno a prezzi più bassi di quelli praticati dai produttori locali, mettendoli in crisi.
La trasformazione delle sovvenzioni generiche in aiuti diretti agli agricoltori dei Paesi in via di sviluppo potrebbe forse dare "un colpo" alla fame.

Futuro sostenibile, alimentazione e povertà

L'idea che la fame sia non solo una tragedia e un'ingiustizia, ma anche frutto di una nostra inefficienza nel rapportarci con il pianeta e con le sue risorse, è parte integrante di una nuova sensibilità ecologica (nella foto, un momento del Global Citizen Festival, concerto benefico per raccogliere fondi). È infatti significativo che Lester Brown, influente teorico dello sviluppo sostenibile e fondatore del Worldwatch Institute, abbia posto al centro del suo Piano per salvare la civiltà, accanto all'eliminazione della povertà e della fame, sia la stabilizzazione della popolazione - attraverso il controllo delle dinamiche demografiche - sia il ripristino degli ecosistemi naturali, ossia la rigenerazione dell'ambiente. Per raggiungere questi obiettivi, Brown indica la strada intrapresa da Cina e India, Paesi in cui il processo di riduzione della povertà sta incontrando i maggiori successi, e auspica misure "su più fronti": dal controllo delle nascite alla diffusione dell'istruzione, dalla cancellazione del debito al mutamento delle pratiche agricole e delle abitudini alimentari. Si tratta di una strada difficile, ma, secondo Brown, deve essere perseguita per garantire un benessere reale e duraturo che non rappresenti soltanto una breve fase prima del temuto collasso ambientale ed economico del pianeta.




Studio e imparo

1 Che cos'è l'ISU? E l'IPM?
2 Quali sono le maggiori cause della povertà diffusa nel mondo?
3 Che cosa fecero i Paesi debitori negli anni Ottanta del secolo scorso? Come reagirono i Paesi creditori?
4 Quanto sono diffuse oggi la denutrizione e la malnutrizione?
In che cosa consiste il Piano per salvare la civiltà messo a punto da Lester Brown?
6 Per quale motivo la globalizzazione in campo agricolo ha ripercussioni negative sui Paesi meno sviluppati?

Geo Parole

Sviluppo • Sottosviluppo • ISU • IPM • Debito • Moratoria • Sviluppo sostenibile

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Geo Touring - volume 3
Geo Touring - volume 3
Gli Stati del mondo