Le migrazioni

La storia del mondo e del popolamento della Terra è in buona misura una storia di migrazioni, di spostamento di popoli. In epoca moderna, però, raramente si spostano popoli interi, cosa che accade solo come conseguenza disastrosa di una guerra. Sono invece imponenti e continui i flussi migratori individuali e di gruppo tra una regione e l'altra e tra un Paese e l'altro del mondo, dovuti allo squilibrio, demografico ed economico, tra i luoghi di origine e quelli di destinazione.
Le persone emigrano dalle zone meno sviluppate e più povere verso i Paesi economicamente più sviluppati e più ricchi, nella speranza di migliorare le loro condizioni di vita. Nel 2009 gli emigrati nel mondo, cioè coloro che vivono in un Paese diverso da quello di nascita, erano circa 215 milioni.

I FLUSSI MIGRATORI NEL MONDO

Il confronto tra le due carte a pagina 12 dell’Atlante – una riferita alle migrazioni europee del XIX secolo, l’altra ai principali flussi migratori nel mondo attuale – fotografa per l’Europa un fondamentale cambiamento. Nell'Ottocento, e fino alle guerre mondiali del Novecento, una corrente migratoria portò infatti gli emigranti europei a popolare, in cerca di fortuna, gli Stati Uniti, l'Argentina, il Brasile e l'Australia (oltre al Sudafrica e alle regioni estreme dell'Asia). Oggi, un movimento internazionale dal "Sud" del mondo, povero e popoloso (Africa, America Latina, parte dell'Asia), si dirige verso il "Nord" sviluppato, con crescita demografica in calo o bassa, e in particolare verso i Paesi dell'Unione Europea, il Nord America e il Giappone. Nel mondo globale si spostano anche lavoratori qualificati, tecnici e scienziati, in genere dall'Europa e dall'Asia verso gli USA, ma anche verso nazioni in espansione economica e tecnologica come Russia e Brasile. Migrazioni hanno luogo inoltre tra Paesi all'interno del Sud del mondo, per esempio verso l'Arabia Saudita o il Sudafrica.
Le carte non visualizzano le migrazioni interne agli Stati, importanti ieri come oggi. Basti pensare agli spostamenti di popolazione dall'Est all'Ovest americano, il West, nell'Ottocento; o alla migrazione dal Sud al Nord dell'Italia negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, con punte di oltre 2 milioni di trasferimenti annui. Ancora, si calcola che negli ultimi vent'anni circa 300 milioni di persone, più del 20% della popolazione complessiva, si siano già spostate dalle campagne alle città nella Cina in impetuoso sviluppo. Consistenti sono anche i recenti flussi migratori da est a ovest all'interno dell'Unione Europea.

Gli effetti delle migrazioni

Le correnti migratorie, temporanee o definitive, hanno notevoli conseguenze sui Paesi interessati. Economicamente, contribuiscono allo sviluppo sia dei Paesi di arrivo - soddisfacendo le richieste, anche le più umili, del mercato del lavoro - sia dei Paesi di partenza, attraverso le rimesse, cioè le somme di denaro inviate alle famiglie nella nazione d'origine.
Dal punto di vista demografico, la prevalenza nei flussi migratori di persone giovani e prolifiche muta la struttura d'età della popolazione nei Paesi d'arrivo, in cui tende anche a far salire la natalità.
Tra gli effetti sociali, uno dei più importanti è il contatto che si stabilisce tra individui e gruppi appartenenti a culture diverse, e la conseguente, possibile compenetrazione di idee, tradizioni e costumi. Si tratta, come sappiamo, di un effetto problematico. Alla conoscenza e all’integrazione si oppongono pregiudizi, diffidenze e paure. Buone politiche di accoglienza e di regolazione del flusso migratorio aiutano ad affrontare la sfida culturale del presente e del prossimo futuro.

RIFLETTI

La foto ritrae due giovani immigrate arabe che studiano la lingua italiana. Quali sono, secondo te, i fattori decisivi affinché si realizzi una buona integrazione dei migranti all'interno dei Paesi che li ospitano? 




Il caso Italia

Il caso Italia L'Italia è una terra storica di emigrazione, e di questo resta la consapevolezza e la traccia nel numero di italiani, o meglio dei loro discendenti, che vivono in vari Paesi del mondo. Negli anni tra il 1870 e il 1915, in particolare, 14 milioni di emigranti provenienti da quasi tutte le regioni, ma soprattutto, fino al 1901, da Veneto, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, poi specialmente da Sicilia, Campania e Calabria, affrontarono l'avventura raggiungendo la Svizzera, la Germania, la Francia. Ancor più consistente fu l'emigrazione verso le Americhe - Stati Uniti, Argentina, Brasile, Venezuela, Canada - e l'Australia (nella foto sopra, una scuola italiana in Brasile nel 1920). Il flusso continuò, sia pure meno intenso e con interruzioni, fino agli anni Settanta del secolo scorso. Tra il 1870 e il 1970 furono 24 milioni gli italiani a emigrare. Nel corso del triennio 1973-1975, per la prima volta, il saldo migratorio, ossia il rapporto tra partenze e arrivi, si invertì: in Italia cominciarono da allora ad arrivare più persone di quante ne partissero. La tendenza si è progressivamente accentuata sino a fare anche dell'Italia, come ben prima è avvenuto per la Francia, la Germania, il Regno Unito, un Paese di forte immigrazione dal resto del mondo.




Le politiche: regolare, accogliere, punire?

Nel mondo globale - "ravvicinato" sul piano delle distanze e soprattutto della cultura e dell'informazione, e insieme profondamente squilibrato nella distribuzione della ricchezza - le migrazioni internazionali hanno spesso scavalcato le barriere frapposte dagli Stati.
I governi hanno così dovuto "rincorrere" i flussi migratori, come del resto è sempre avvenuto nella storia, cercando di regolarli con provvedimenti di volta in volta restrittivi o liberali.
Tra quelli restrittivi i più diffusi sono la previsione di quote di ingresso, la possibilità di trattenere gli immigrati in "campi di permanenza" e di espellerli se necessario, e anche la definizione della clandestinità come reato. I problemi implicati sono molti e delicati: il rispetto dei diritti umani e la necessità di distinguere tra situazioni di immigrazione che si presentano assai diverse tra loro (per esempio tra un criminale pregiudicato nel suo Paese e una badante o un profugo di guerra); l'aspetto dei rapporti e degli accordi tra gli Stati di partenza e di arrivo dei migranti; oppure, all'interno dei Paesi dell'Unione Europea, quello della gestione dei confini comuni.
Nei Paesi di arrivo, inoltre, devono essere considerate e armonizzate diverse opinioni pubbliche, che possono mostrare resistenze o rifiuto nei confronti degli immigrati, percepiti talvolta come pericolosi concorrenti, o addirittura come "invasori".

Immigrato clandestino

Sfuggono alle stime, per definizione, ma ammontano a decine di milioni: sono i clandestini (dall'avverbio latino clam, "di nascosto"), cioè le persone che arrivano in un altro Paese senza avere le "carte in regola", ossia senza le autorizzazioni che le leggi di guel Paese richiedono (nella foto, clandestini sbarcati a Lampedusa). L'emigrazione clandestina è sfruttata da organizzazioni criminali che speculano sulla disperazione di chi cerca di sottrarsi alla povertà (o alla guerra), e affronta, pagando, pericolosi viaggi per mare. Il rischio per i clandestini continua dopo l'arrivo: marginalità sociale, lavoro "nero" (non rispettoso delle leggi e dei contratti), illegalità. Le prospettive sono l'espulsione o la regolarizzazione, quando i Governi la ritengono possibile.



Le migrazioni forzate: profughi e rifugiati

Ben diversi dalle migrazioni per lavoro, piuttosto spontanee, per quanto regolate, sono i movimenti forzati di popolazione in conseguenza di calamità naturali, persecuzioni e guerre. Secondo i calcoli dell'ONU, sono oltre 15 milioni i profughi riconosciuti e protetti in varie zone del mondo dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Siano essi sfollati all'intemo del loro Paese, o rifugiati in un Paese vicino, tutti «temono con ragione di essere perseguitati per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a gruppi politici» (art. 1 della Convenzione ONU sui rifugiati di Ginevra del 1951).
I profughi, il cui numero effettivo si stima intorno ai 40 milioni, si distribuiscono nelle varie aree di crisi del mondo: nell'Africa Subsahariana dal Mali al Ruanda, al Congo, alla Sierra Leone; in Europa nei Balcani e nella regione caucasica; in Medio Oriente e Asia in Afghanistan, in Iraq, in Pakistan, in Siria. Popoli che vivono quasi stabilmente la condizione di rifugiati sono per esempio i palestinesi e i curdi, questi ultimi perseguitati in Turchia e in Iran. Tra i Paesi che accolgono la maggior percentuale di profughi spiccano la Giordania (20% di profughi palestinesi), il Pakistan (3 milioni di profughi afghani), l'Uganda (profughi da Ruanda e Sudan).
Nei Paesi devastati dalla guerra l'80% dei profughi è costituito da donne, spesso vittime di violenze di ogni tipo. La tragedia dei profughi continua, in genere dimenticata, nei campi che li raccolgono, dove sono esposti sovente al rischio di nuove aggressioni e sopravvivono in condizioni di vita pessime.
II crescente numero dei rifugiati pone problemi pratici e di principio ai Paesi più sviluppati. Aumenta infatti il numero dei "richiedenti asilo", coloro cioè che chiedono, secondo i princìpi del diritto intemazionale, di essere accolti e protetti, in quanto perseguitati, nel Paese in cui sono giunti.

Studio e imparo

1    In che modo si sono modificati, fra Ottocento e Novecento, i flussi migratori in entrata
e in uscita dall'Europa?
2    Quali conseguenze economiche e demografiche provocano le migrazioni?
3    Quali problemi hanno comportato i flussi migratori nei Paesi di destinazione? Quali atteggiamenti hanno assunto i vari Governi?
4    Come possono essere definiti i profughi? In quali aree del mondo sono soprattutto concentrati?
5    In quale situazione i profughi risultano essere, per la maggior parte, donne

Geo Parole

Emigranti • Migrazioni interne • Integrazione • Quote di ingresso • Clandestinità

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Geo Touring - volume 3
Geo Touring - volume 3
Gli Stati del mondo