Racconti e scritti vari

Racconti e scritti vari

La tormentosa incapacità di portare a compimento opere di ampio respiro ha fatto sì che la gran parte degli scritti di Gadda sia costituita da brevi prose e racconti, a cui si aggiungono diari, saggi e altri scritti, difficilmente classificabili. Presentiamo le prove più significative, in ordine di pubblicazione.

LA MADONNA DEI FILOSOFI

Il volume, pubblicato nel 1931, comprende 4 racconti veri e propri e 8 frammenti descrittivi (chiamati dall’autore «studi imperfetti»). Già in quest’opera, che segna l’esordio letterario ufficiale di Gadda, si riconosce la sua tendenza a soffermarsi sui particolari della realtà più che a costruire intrecci narrativi coerenti e organici.

IL CASTELLO DI UDINE

Edita nel 1934, questa seconda raccolta presenta 16 prose, tra racconti e frammenti autobiografici, divise in tre parti. Gadda rievoca i giorni di guerra e i viaggi in qualità di ingegnere, concentrando l’attenzione su vicende ambientate a Roma.

L’ADALGISA

Si tratta di 10 racconti usciti in rivista tra il 1938 e il 1943, poi raccolti nel 1944. Il sottotitolo «Disegni milanesi» già introduce il contenuto: con l’eccezione di due prose che confluiranno nella Cognizione del dolore, sono affreschi sulla città natale dell’autore, soprattutto ritratti spietatamente satirici di personaggi della media e alta borghesia. Con ogni probabilità i racconti dovevano comporre un romanzo, in quanto ben sei di essi presentano tratti omogenei e, in alcuni casi, gli stessi personaggi, a partire da Adalgisa, popolana che ha coronato il sogno di diventare una “signora” sposando un ricco ragioniere.

GIORNALE DI GUERRA E DI PRIGIONIA

Pubblicato prima nel 1955 e poi nel 1965, è un diario scritto da Gadda con costanza durante la Prima guerra mondiale, nel tentativo di ricomporre la razionalità e l’ordine in un mondo interiore sconvolto dal caos e dalla distruzione. È una testimonianza di grande importanza sia sul piano letterario sia su quello storico, che descrive l’incapacità, l’irresponsabilità e il cinismo dei comandi militari italiani durante il conflitto.

ACCOPPIAMENTI GIUDIZIOSI

Questa raccolta, edita nel 1963, comprende 19 racconti, di cui 14 già pubblicati nel 1953 sotto il titolo Novelle dal Ducato in Fiamme (riferimento all’Italia negli anni della Seconda guerra mondiale).

Tra questi ne segnaliamo in particolare due. Nel primo, intitolato San Giorgio in casa BrocchiGadda descrive le attenzioni “pedagogiche” che una famiglia conservatrice della Milano degli anni Venti rivolge al giovane rampollo, il quale però è più interessato a una bella cameriera che non alle dissertazioni di etica e filosofia. L’insofferenza dell’autore verso il perbenismo borghese trova qui una forma di grande efficacia.
Un’altra prosa, scritta nei primi anni Trenta, è L’incendio di via Keplero (▶ T5, p. 682), racconto significativo soprattutto per l’aspetto stilistico: Gadda introduce qui per la prima volta in modo sistematico il suo tipico stile espressionistico, ricco di dialetti, di voci, di neologismi onomatopeici, allestendo una struttura accumulatoria dal notevole effetto comico.

 >> pagina 682 

EROS E PRIAPO (DA FURORE A CENERE)

Scritto tra il 1944 e il 1945 e pubblicato nel 1967, dopo una lunga opera di revisione, è un testo difficile da classificare: libello? satira? saggio psicanalitico? Sicuramente è l’ultima opera di rilievo a cui Gadda rimette mano. Con questo scritto egli fa i conti – dal punto di vista storico e personale – con Mussolini e con il fascismo, un’ideologia alla quale inizialmente aveva aderito e che verso la fine degli anni Trenta era stata da lui avversata in modo rabbioso e iconoclasta.

Il libro offre un’analisi del rapporto squallidamente «erotico» (l’aggettivo è dell’autore) che si instaura tra la figura del duce e il popolo italiano, cioè tra la maschera vitalistica di un potere spietato e al tempo stesso da operetta e una società appiattita e resa passiva dalla propaganda martellante e dall’indottrinamento culturale.
L’invettiva costituisce una prova magistrale di invenzione linguistica, assemblando un lessico insieme classicheggiante e scurrile, ricco di giochi verbali, inserti dialettali dal romanesco al lombardo, neologismi e tecnicismi.

T5

L’incendio di via Keplero

Accoppiamenti giudiziosi

Uscito per la prima volta nel 1940 sulla rivista “Il Tesoretto”, ma scritto tra il 1930 e il 1935, questo racconto – di cui riportiamo una parte – offre il primo esempio, dal punto di vista cronologico, della straordinaria creatività linguistica gaddiana.

Se ne raccontavano di cotte e di crude sul fuoco del numero 14. Ma la verità è che
neppur Sua Eccellenza Filippo Tommaso Marinetti avrebbe potuto simultanare1
quel che accadde, in tre minuti, dentro la ululante topaia, come subito invece
gli riuscì fatto al fuoco: che ne disprigionò fuori a un tratto tutte le donne che ci
5      abitavano seminude nel ferragosto e la lor prole globale,2 fuor dal tanfo e dallo
spavento repentino della casa, poi diversi maschi, poi alcune signore povere e al
dir d’ognuno alquanto malandate in gamba,3 che apparvero ossute e bianche e
spettinate, in sottane bianche di pizzo, anzi che nere e composte come al solito
verso la chiesa, poi alcuni signori un po’ rattoppati pure loro, poi Anacarsi Rotunno,
10    il poeta italo-americano, poi la domestica del garibaldino agonizzante
del quinto piano, poi l’Achille con la bambina e il pappagallo, poi il Balossi in
mutande con in braccio la Carpioni, anzi mi sbaglio, la Maldifassi, che pareva
che il diavolo fosse dietro a spennarla, da tanto che la strillava anche lei. Poi,
finalmente, fra persistenti urla, angosce, lacrime, bambini, gridi e strazianti richiami
15    e atterraggi di fortuna e fagotti di roba buttati a salvazione4 giù dalle finestre,
quando già si sentivano arrivare i pompieri a tutta carriera5 e due autocarri
si vuotavano già d’un tre dozzine di guardie municipali in tenuta bianca, ed era
in arrivo anche l’autolettiga della Croce Verde, allora, infine, dalle due finestre
a destra del terzo, e poco dopo del quarto, il fuoco non poté a meno di liberare
20    anche le sue proprie spaventose faville, tanto attese!, e lingue, a tratti subitanei,6
serpigne7 e rosse, celerissime nel manifestarsi e svanire, con tortiglioni neri di
fumo, questo però pecioso e crasso8 come d’un arrosto infernale, e libidinoso9
solo di morularsi10 a globi e riglobi o intrefolarsi11 come un pitone nero su di
se stesso, uscito dal profondo e dal sottoterra tra sinistri barbagli;12 e farfalloni
25    ardenti, così parvero, forse carta o più probabilmente stoffa o pegamoide13 bruciata,
che andarono a svolazzare per tutto il cielo insudiciato da quel fumo, nel
nuovo terrore delle scarmigliate,14 alcune a piè nudi nella polvere della strada
incompiuta, altre in ciabatte senza badare alla piscia e alle polpette15 di cavallo,
fra gli stridi e i pianti dei loro mille nati. Sentivano già la testa, e i capegli, vanamente
30    ondulati,16 avvampare in un’orrida, vivente face.17
Urlarono le sirene dalle ciminiere o dagli stabilimenti vicini verso il cielo torrefatto:18
e la trama criptosimbolica delle cose elettriche perfezionò gli appelli
disperati dell’angoscia.19 Dalle stazioni lontane, spalancatesi, le batterie20 delle
autopompe fuoruscirono in corsa, impulsi pronti e celeri a sovvenire a ogni sùbito
35    male delle fiamme,21 nel mentre l’ultimo pompiere del quinto drappello, spiccato
un salto, gli riuscì d’abbrancare con la sinistra l’ultimo ferro del reggiscala dell’autoscala
di coda già in voltata fuori dal portone, e viceversa con la destra si finiva
ancora d’abbottonare la bottoniera della giacca di servizio.
La sonnolenza impomatata22 dei guidatori d’automobili che falciano via con il
40    parafango i ginocchi de’ claudicanti vecchi alle svolte23 e, svaccati dentro macchina,
ma saette pazze di fuori,24 stracciano via i cantoni ai più garibaldofrusti25 marciapiedi
della metropoli, ecco sonerie elettriche premonitrici li bloccarono improvvisamente
ai cantoni, poi, subito, l’avvento delle trasvolanti sirene. Inchiodati i tram,
i cavalli trattenuti al morso dal cavallaro, disceso di serpa:26 i cavalli col carro contro
45    il culo, l’occhio, all’angolo, imbiancato da un ignoto motivo di terrore. […]
«L’incendio», dissero poi tutti, «è una delle cose più terribili che sia». Ed è vero: fra
la generosità e la perplessità de’ pompieri d’oro:27 fra ▶ cataratte d’acqua potabile sopra
le ottomane pisciose e verdi,28 ma stavolta minacciate da un ben brutto rosso, e,
sopra i cifoni29 e i credenzoni, custodi magari d’un mezz’etto di gorgonzola sudato,30
50    ma leccati già dalla fiamma come il capriolo dal pitone: con zampilli, spilli liquidi,
dai serpi inturgiditi31 e fradici dei tubi di canapa, e lunghe, lancinanti zagaglie32 dagli
idranti d’ottone, che finiscono in bianche zazzere33 e nube nel cielo dell’agosto
torrido: e isolatori di porcellana semi-usti34 cader giù a pezzi a frantumarsi del tutto
contro il marciapiede patatràf!: e fili di telefoni bruciati che svolavano via nella sera
55    dalle lor mensole fatte roventi, con penisole nere e volanti di cartone e mongolfiere
di tappezzeria carbonizzata, e giù, tra i piedi degli uomini, e dietro le scale mobili,
anse e rigiri e impennate di tubi che sprizzano zampilli parabolici da tutte le parti
nella mota35 della strada, vetri in briciole in un pantano d’acque e di melma, pitali36
di ferro smaltato ripieni di carote buttati giù di finestra, ancora adesso!, contro gli
60    stivaloni dei salvatori, i gambali dei genieri,37 dei carabinieri, degli ingegneri comandanti
dei pompieri: e il protervo e indefesso38 cic-ciàc, e cicìc e ciciàc, delle ciabatte
femminine a raccoglier pezzi di pettine, o schegge di specchio, e immagini benedette
di San Vincenzo de’ Liguori39 dentro lo sguazzo di quella catastrofica lavanderia.40

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DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

L’incipit cala il lettore in una sorta di aura mitica: Se ne raccontavano di cotte e di crude (r. 1). Subito dopo il richiamo ironico alle tecniche futuriste, incapaci di descrivere il fulmineo precipitare degli eventi, si entra direttamente e bruscamente nell’azione. Lo sconvolgimento provocato dall’improvviso incendio viene reso con la fuga caotica e terrorizzata dall’ululante topaia (r. 3) da parte degli inquilini, presentati genericamente o esplicitamente (nome e/o cognome), per dare il senso del simultaneo accavallarsi delle persone spinte all’esterno e in qualche modo rese simili dall’infuriare del fuoco.
Sul finire della prima parte antologizzata entrano in scena i pompieri, che – anch’essi frettolosamente – si dirigono verso il luogo del disastro. La loro azione viene poi riportata nella seconda parte, nella quale si descrivono la lotta dell’acqua contro il fuoco e il palazzo avvolto dal fumo e immerso in una enorme pozza di fango.

All’interno di questa rappresentazione frenetica non mancano gli attacchi comici al perbenismo borghese e alle sue ipocrisie: la prole globale (r. 5), che sta sottilmente a indicare i figli legittimi e illegittimi; le signore che, normalmente ben vestite e ordinate nell’atto di dirigersi in chiesa, vengono raffigurate in frivole sottane bianche di pizzo (r. 8); il riferimento alla pegamoide (r. 25), sorta di succedaneo più economico del cuoio (fatto di una sostanza a base di celluloide); l’elemento scatologico degli escrementi di cavallo; l’accenno fugace ai capelli che sono vanamente ondulati (rr. 29-30), vanamente sia perché segno di civetteria femminile, sia perché ormai l’acconciatura è rovinata dalla fretta e dalla paura; l’accorrere protervo e indefesso (r. 61) per cercare di salvare da quella catastrofe oggetti che mescolano il profano (la vanità di pettini e di specchi) al sacro (l’immagine votiva del santo).

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Le scelte stilistiche

L’aspetto più interessante del racconto non sta però nello sviluppo della trama, di per sé molto semplice, bensì nello stile utilizzato dall’autore. Già dalle prime righe si possono cogliere appieno alcuni degli aspetti caratteristici dell’espressionismo gaddiano: la frenesia e la confusione sono rese da una inesauribile elencazione di persone, cose, azioni, con una tecnica paratattica che accosta elementi diversi in lunghissime sequenze, da leggersi tutte d’un fiato. Il periodo che va da che ne disprigionò fuori (r. 4) a la strillava anche lei (r. 13) si interrompe per un breve attimo con il punto fermo, per riprendere subito in un altro lunghissimo elenco, da Poi, finalmente, fra persistenti urla (rr. 13-14) fino a i pianti dei loro mille nati (r. 29); lo stesso procedimento si trova anche in seguito. Se nella prima sequenza la tecnica dell’accumulo si basa sull’uso dell’avverbio poi, nella seconda viene utilizzata la congiunzione e. La differenza è sottile, ma in grado di rendere nel primo caso l’impressione di una velocissima catena di azioni, nel secondo la contemporaneità di un confuso e ingarbugliato quadro d’insieme: tutta la seconda parte del brano è infatti racchiusa in un periodo lungo e articolato, da Ed è vero (r. 46) a catastrofica lavanderia (r. 63), interrotto solo da virgole e due punti.

La punteggiatura è, come sempre accade in Gadda, usata senza risparmio, a volte sovvertendo le regole. Peculiare della sua scrittura è per esempio l’uso dei due punti, allo scopo non solo di introdurre un elenco, ma anche di segnare una pausa nel lungo periodo, assumendo così il valore della virgola o del punto e virgola (come si vede dalla r. 46 alla r. 61).
Di rilievo sono anche gli elementi linguistici più tipici del pastiche, come il frequente ricorso a vocaboli fuori dal comune. Gadda non disdegna né il prestito di termini tecnici da altre discipline (il morularsi, r. 23, che deriva dalla genetica), né la variante aulica di alcuni vocaboli (intrefolarsi per “avvolgersi”, r. 23; capegli per “capelli”, r. 29; semi-usti per “bruciacchiati”, r. 53), né ancora il ricorso a dialettismi (cifoni per “comodini”, r. 49), neologismi e invenzioni linguistiche: il simultanare ironico verso i Futuristi (r. 2), il malandate in gamba (r. 7) che richiama la locuzione “essere (male) in gamba”, i riglobi (r. 23) come ripetizione di globi, i marciapiedi garibaldofrusti (r. 41).

Non meno ricca è la presenza di figure retoriche, dalle metafore (le lingue di fuoco che sono serpigne, r. 21), alle similitudini (il fumo che si attorciglia come un pitone nero su di se stesso, rr. 23-24), alle iperboli (i pianti dei mille nati, r. 29), alle onomatopee che rendono la dimensione auditiva del brano: il patatràf! (r. 54) che riproduce il rumore degli isolatori di porcellana caduti a terra, e il cic-ciàc, e cicìc e ciciàc (r. 61) che descrive il ciabattare delle donne. A volte ne viene utilizzata più d’una nello stesso sintagma: ululante topaia (r. 3), per esempio, ha sia aspetti metonimici (a ululare non è il palazzo, ovviamente, ma chi vi abita) che metaforici (gli inquilini vengono assimilati a tanti topi che fuggono dalla propria tana), rendendo efficacemente, a livello uditivo e visivo, la concitazione di quegli attimi.

VERSO LE COMPETENZE

COMPRENDERE

1 In quante scene è suddiviso il brano? Prova a riassumerle brevemente e dai a ciascuna un titolo.

ANALIZZARE

2 Il brano ha per protagonisti il fuoco e l’acqua. Evidenzia le frasi in cui ci si riferisce all’uno e all’altra.

3 Individua nel testo e riporta in una tabella i termini che ritieni più significativi per ogni registro linguistico (basso, medio, alto).

4 Nel brano sono presenti diverse parole composte. Rintracciale e spiegane la funzione espressiva.

INTERPRETARE

5 Perché l’autore esordisce citando il futurista Filippo Tommaso Marinetti (r. 2)?

6 A quale scopo, secondo la tua opinione, Gadda si sofferma sull’ultimo pompiere del quinto drappello (r. 35)?

SCRIVERE PER...

RACCONTARE
7 Sull’esempio di Gadda prova a creare 10 neologismi relativi alla vita a scuola. Danne la definizione e spiegane brevemente l’origine.

Il magnifico viaggio - volume 6
Il magnifico viaggio - volume 6
Dalla Prima guerra mondiale a oggi