Il magnifico viaggio - volume 2

vesti e cavalli; tanto che la loro semplicità li condusse a Senigallia nelle sue mani. Spegnendo questi capi e riducendo i loro partigiani ad amici suoi, il duca aveva gettato fondamenta molto buone alla sua potenza: aveva il possesso della Romagna con il ducato di Urbino. In particolare gli sembrava di aver acquistato l amicizia della Romagna e di essersi guadagnato tutti quei popoli, che avevano incominciato a gustare il loro bene essere. 4 Questa parte è degna di nota e merita di essere imitata da altri, perciò non la voglio tralasciare. Il duca conquistò la Romagna e trovò che era stata comandata da signori impotenti, che avevano spogliato i loro sudditi più che riportati all ordine. E avevano dato loro motivi di disunione, non di unione, tanto che quella provincia era tutta piena di latrocini, di brighe e di ogni altro genere di insolenza. Per ridurla pacifica e obbediente al potere sovrano, egli giudicò che fosse necessario darle un buon governo. Perciò vi prepose messer Remirro de Orco, un uomo crudele e di modi sbrigativi, al quale dette i pieni poteri. Costui in poco tempo la ridusse pacifica ed unita, ottenendo una grandissima reputazione. Il duca giudicò poi che non era necessario un autorità così eccessiva, perché temeva che divenisse odiosa. E prepose un tribunale civile al centro della provincia con un presidente davvero eccellente. In esso ogni città aveva il suo avvocato. E, poiché capiva che le repressioni precedenti gli avevano procurato qualche odio, per liberare da ogni ostilità gli animi di quei popoli e guadagnarseli del tutto, volle mostrare che, se era avvenuta qualche crudeltà, non era stata colpa sua, ma del cattivo carattere del ministro. Cogliendo l occasione opportuna, una mattina lo fece mettere tagliato in due pezzi sulla piazza di Cesena, con uno pezzo di legno e un coltello insanguinato accanto. La ferocia di quello spettacolo fece sì che quei popoli rimanessero ad un tempo soddisfatti e stupiti. 5 Ma ritorniamo al punto di partenza. Dico che il duca si trovava assai potente e in parte si era assicurato dei presenti pericoli, poiché si era armato a suo modo e aveva in buona parte spente quelle armi che, vicine, lo potevano offendere. Ora, se voleva procedere con l acquisto di altri territori, gli restava il rispetto del re di Francia. Egli capiva che il re, il quale si era accorto troppo tardi del suo errore, non glielo avrebbe permesso. Per questo motivo incominciò a cercare nuove amicizie e a prendere le distanze con Francia, quando i francesi fecero una spedizione verso il Regno di Napoli contro agli spagnoli che assediavano Gaeta. La sua intenzione era quella di assicurarsi la loro neutralità. Ciò gli sarebbe facilmente riuscito, se Alessandro VI fosse rimasto in vita. 6 Questi furono i suoi comportamenti quanto alle cose presenti. Ma, quanto alle future, egli temeva in primo luogo che il nuovo successore alla Chiesa non gli fosse amico e che cercasse di togliergli quello che Alessandro VI gli aveva dato. Pensò di eliminare ogni incertezza in quattro modi: primo, spegnere tutti i discendenti di quelli signori che egli aveva spogliato, per togliere al papa quell occasione; secondo, guadagnarsi tutti i gentiluomini di Roma, per potere tenere con quelli il papa in freno; terzo, ridurre il Collegio dei cardinali più suo che poteva; quarto, acquistare tanto potere, prima che il papa morisse, da poter resistere da solo a un primo scontro. Alla morte di Alessandro VI aveva condotto a termine tre di queste quattro imprese. Aveva quasi portato a termine anche la quarta. Dei signori spogliati dei loro beni ne ammazzò quanti ne poté raggiungere, e pochissimi si salvarono. Si era guadagnato i gentiluomini romani. E nel Collegio cardinalizio aveva grandissimo seguito. Quanto al nuovo acquisto, aveva disegnato di diventare signore della Toscana. Possedeva già Perugia e Piombino, e aveva preso la protezione di Pisa. E, come se non dovesse avere rispetto per la Francia (non gliene doveva più, perché i francesi erano già stati spogliati del Regno di Napoli dagli spagnoli, così che ciascuno di loro era costretto a comperare la sua amicizia), assaliva con successo la città di Pisa. Dopo questo, Lucca e Siena cedevano subito, in parte per invidia dei fiorentini, in parte per paura. I fiorentini non avevano alcun rimedio da opporre. Se ciò gli fosse riuscito (gli riusciva l anno stesso in cui Alessandro VI moriva), acquistava tante forze e tanta reputazione, che si sarebbe sorretto da solo, e non sarebbe più dipeso dalla fortuna né dalle forze di altri, ma dalla sua potenza e dalla sua virtù. Ma Alessandro VI morì dopo cinque anni che egli aveva incominciato a impugnare la spada. Lo lasciò con lo Stato di Romagna solamente consolidato, con tutti gli altri in aria, tra due potentissimi eserciti nemici, e soprattutto malato a morte. Il duca era di grande ferocia e di grande virtù; conosceva bene come gli uomini si guadagnano e si perdono; e al suo stato aveva anche saputo costruire valide fondamenta in poco tempo. Per questo motivo, se non avesse avuto quegli eserciti addosso o se egli fosse stato sano, avrebbe saputo far fronte a ogni difficoltà. E che le sue fondamenta fossero buone, si vide con sicurezza: la Romagna l aspettò per più d un mese; a Roma, per quanto mezzo morto, stette sicuro; e, benché Ballioni, Vitelli ed Orsini venissero in Roma, non tentarono nulla contro di lui. Egli poté fare papa, se non chi egli voleva, almeno che non fosse chi non voleva. Ma, se alla morte di Alessandro VI fosse stato sano, ogni cosa gli era facile. Egli mi disse, nei giorni in cui fu nominato Giulio II, che aveva pensato a ciò che poteva succedere, alla morte di suo padre, e a tutto aveva trovato rimedio, eccetto che non pensò mai, alla sua morte, di stare ancora lui per morire. 7 Riflettendo su tutte le azioni del duca qui riportate, non saprei rimproverarlo. Mi pare anzi, come ho già fatto, di poterlo indicare come modello da imitare per tutti coloro che grazie alla fortuna e con le armi di altri sono saliti al potere. Egli aveva un grande animo e una nobile intenzione, perciò non si poteva comportare in altro modo. Ai suoi disegni si oppose soltanto la brevità della vita di Alessandro VI e la sua malattia. Chi dunque giudica necessario nel suo principato nuovo assicurarsi dei nemici, guadagnarsi degli amici, vincere o per forza o per frode, farsi amare e temere dai popoli, 374 / UMANESIMO E RINASCIMENTO

Il magnifico viaggio - volume 2
Il magnifico viaggio - volume 2
Il Quattrocento e il Cinquecento