Percorsi di educazione civica

DONNE E DIRITTI NELLA STORIA voto amministrativo, previsto dagli ordinamenti austriaci. Subito dopo l Unità alcune donne lombarde avevano rivolto una petizione perché questo diritto fosse ancora loro riconosciuto, ma senza successo. Con il Codice civile del 1865 venne invece ribadita l autorità maritale, che sottraeva alle donne sposate la gestione del patrimonio proprio e di famiglia. Le opinioni di chi era contrario al suffragio femminile si basavano su alcune convinzioni: che le donne non potevano capire di politica e che pertanto il loro posto era la casa; che se avessero votato ubbidendo ai mariti avrebbero solo duplicato il loro voto, e se invece si fossero espresse diversamente avrebbero causato dissidi in famiglia. Raccoglieva invece maggiori consensi l idea di ammettere le donne alle elezioni amministrative: occuparsi di questioni locali sembrava un impegno più vicino alle occupazioni ritenute femminili. Nel 1877 Anna Maria Mozzoni (1837-1920), pioniera del movimento emancipazionista in Italia, influenzata dal pensiero di Charles Fourier e John Stuart Mill (di cui tradusse nel 1870 La servitù della donna), scrisse una petizione per il voto alle donne. Mozzoni chiedeva al parlamento italiano di considerare le donne quali erano, ossia «cittadine, contribuenti e capaci , ma non ottenne alcun risultato. In questi anni cominciarono a organizzarsi diversi movimenti emancipazionisti e nacquero numerosi periodici, circa una trentina, rivolti alle donne. La stessa Mozzoni fondò, con Paolina Schiff nel 1880 a Milano, la «Lega promotrice degli interessi femminili , un organizzazione che si proponeva di sostenere cause quali il suffragio femminile, la parità di retribuzione, la ricerca della paternità. In quegli stessi anni venne fondata anche la «Lega per la tutela degli interessi femminili , composta da un comitato di donne lavoratrici vicine al partito socialista. L anno successivo fu la volta dell «Unione femminile , diventata più tardi, con l apertura di sezioni in altre città italiane, «Unione femminile nazionale , importante promotrice di campagne per il suffragio femminile. Nel 1904 un deputato repubblicano, Roberto Mirabelli, presentò un progetto di legge per il suffragio femminile. Egli sosteneva che il voto politico per le donne non era esplicitamente escluso per legge e propose perciò la possibilità per loro di iscriversi nelle liste elettorali. Nel 1906 il «Comitato nazionale pro suffragio femminile , che raccoglieva donne cattoliche, democratiche e socialiste, affiliato con organizzazioni internazionali come la International Woman Suffrage Alliance, presentò a sostegno della proposta di Mirabelli una petizione, redatta ancora da Mozzoni. La petizione era 48 stata firmata anche da Maria Montessori (1870-1952), medico neuropsichiatra, educatrice e pedagogista, che appoggiò anche una clamorosa azione dimostrativa: venne pubblicato su alcuni giornali e affisso clandestinamente sui muri di Roma un appello alle donne, invitandole a iscriversi nelle liste elettorali dei loro comuni. L appello venne raccolto da molte donne in tutta Italia ma le richieste di iscrizione vennero ovunque rifiutate tranne che ad Ancona, dove era giudice della Corte di appello Ludovico Mortara. Egli accolse l iscrizione di dieci maestre marchigiane, ricordate dalla stampa come «le maestrine di Senigallia , sostenendo che avevano i requisiti per poter partecipare al voto. La loro iscrizione venne in seguito annullata dalla Cassazione, ma il fatto destò un grande clamore. La petizione di Mozzoni venne discussa in parlamento nel 1907, ma dopo tre anni di lavori una Commissione d inchiesta nominata da Giolitti la rigettò. IL PARTITO SOCIALISTA E IL SUFFRAGIO FEMMINILE In questo periodo maturarono diverse tensioni tra suffragiste e Partito socialista. Il «Comitato nazionale pro suffragio femminile chiese ai socialisti di chiarire se il suffragio universale, uno dei temi al centro del loro programma, includesse o meno anche le donne. La questione venne discussa all interno del partito. Turati credeva necessario portare avanti le riforme sociali ma non riteneva che il suffragio femminile fosse conveniente al partito stesso perché le donne avevano, a suo parere, una coscienza di classe ancora troppo debole e temeva che potessero diventare preda dei partiti conservatori e cattolici. Secondo lui dunque sarebbe stato più opportuno rimandare a un prossimo futuro la battaglia per il suffragio femminile. Anna Kuliscioff nel 1910, dalle pagine della «Critica sociale , replicò, prendendo le distanze dalla posizione di Turati e generando così quella che ella stessa definì una «polemica in famiglia . Anna infatti credeva che il suffragio femminile fosse una delle più importanti riforme da promuovere e si diceva convinta che questa conquista avrebbe portato maggior vigore al partito. A suo parere anzi era essenziale che anche le donne si appassionassero alla contesa elettorale, perciò riteneva necessario per il partito iniziare a considerarle soggetti politici e mettere in atto iniziative a loro favore. Nel dibattito che seguì la determinazione di Kuliscioff perse gradualmente di incisività, probabilmente perché si trovò a essere combattuta tra istanze emancipazioniste e priorità di partito. Anna cioè credeva nell importanza di

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