Percorsi di educazione civica

DONNE E DIRITTI NELLA STORIA te delle giovani e le ingannavano, presentando il luogo che le avrebbe accolte come un paradiso terrestre, a volte con la complicità di zie o altre parenti che già vi risiedevano. Denunciò anche le responsabilità dello Stato che, con la sua politica matrimoniale, favoriva questo comportamento. Lo spunto era chiaramente autobiografico, ma la sua riflessione assumeva toni più generali. A Venezia le monacazioni forzate erano realtà molto diffuse: in città c erano trenta monasteri che accoglievano circa duemila monache, di cui a suo dire circa un terzo erano state costrette a prendere i voti contro la propria volontà. Questa opera e la successiva (L inferno monacale) rappresentano la presa di coscienza lucida e disincantata di una situazione di inganni e violenze perpetrate ai danni delle donne. Con la sua denuncia Arcangela svelava l ipocrisia di un sistema che, lungi dal preoccuparsi della spiritualità delle giovani, era mosso da ragioni economiche e sociali, e rivendicava per ogni donna il diritto di scegliere il proprio destino, dentro o fuori dai chiostri. Giungeva a suggerire anche delle soluzioni a tutela della libertà delle giovani: proponeva che il patrimonio di famiglia fosse diviso in parti uguali tra figli maschi e figlie femmine, e che gli importi delle doti matrimoniali fossero ridimensionati; raccomandava moderazione nel lusso e indicava la possibilità di vivere un nubilato dignitoso in famiglia. Tuttavia queste soluzioni dovettero sembrare impraticabili, se non utopiche. GLI SCRITTI IN DIFESA DELLE DONNE Arcangela non riuscì a trovare editori disposti a pubblicare le sue opere, neppure al di fuori della Repubblica di Venezia. Voleva però che i suoi manoscritti uscissero dal chiostro perché era il riconoscimento del mondo esterno che cercava, perciò si rese conto che era necessario proporre temi meno accusatori e controversi. Scrisse allora il Paradiso monacale, in cui celebrò la scelta monastica di quelle donne che avevano una vera vocazione religiosa simulando, probabilmente, anche un certo pentimento per avere scritto le due precedenti opere, ma senza rinunciare alla sua vocazione di ribelle che parlava in favore delle donne. L opera infatti iniziava con queste parole: «Iddio benedetto ama tutte le creature, ma particolarmente la donna, e poi l uomo benché egli non lo meriti . Proseguiva poi raccontando la vita del chiostro, con tutte le difficoltà che presentava: un racconto non edulcorato, che svelava l inganno di cui lei e altre erano state vittime. Il Paradiso monacale venne pubblicato nel 1643 e consentì ad Arcangela di farsi conoscere come scrittrice; gli apprezzamenti raccolti, a Venezia ma anche altrove, le permisero di 36 entrare nel mondo degli intellettuali e di partecipare anche a dispute letterarie, soprattutto a quelle che più le interessavano, riguardanti la donna. Seppur segregata, Arcangela riuscì a rimanere in contatto con il mondo esterno. Il parlatorio di Sant Anna divenne il luogo dove discuteva con i suoi interlocutori delle opere che stava componendo o si confrontava sulle opere di altri letterati; qui riceveva libri da leggere, prendeva accordi per la stampa delle sue opere, avviava spesso quei dibattiti che poi proseguiva sulle carte nella sua cella. Negli anni successivi Arcangela si inserì dunque a pieno titolo nelle querelles des femmes, le dispute sulla dignità delle donne. In questa battaglia non era sola: già alcuni anni prima si erano espresse in difesa del loro sesso due nobildonne venete che conosceva e apprezzava, Moderata Fonte (1555-92) e Lucrezia Marinelli (1571-1653), autrici rispettivamente de Il merito delle donne e La nobiltà e l eccellenza delle donne, coi difetti e mancamenti degli uomini. Nella disputa sui sessi Arcangela ebbe modo di esprimere il proprio punto di vista in altre due opere, che vennero stampate subito dopo la loro stesura. La prima, L Antisatira (1644), venne scritta come risposta alla satira Contro il lusso donnesco di Francesco Buoninsegni, che prendeva di mira le vanità delle donne e gli eccessi della moda femminile. Nella sua replica l autrice cercò di dimostrare come gli uomini non fossero da meno in tema di vanità, portando diversi esempi: i risvolti delle maniche con merletti, le barbe impomatate e tirate a lucido, le ciglia ritoccate. Riconoscendo comunque gli eccessi di certa moda femminile Tarabotti ne attribuiva poi la responsabilità all ignoranza delle donne, un ignoranza di cui erano però responsabili gli uomini in quanto non ritenevano utile né necessario che esse ricevessero un istruzione. L opera provocò dure reazioni e aspre critiche alla monaca: le vennero fatti notare errori commessi nel Paradiso (come diverse citazioni inesatte) fino a mettere in dubbio che fosse proprio lei l autrice delle sue opere. Arcangela non si fece comunque intimorire e alcuni anni più tardi intervenne in un altra disputa, quella contro un anonimo trattato in latino pubblicato in traduzione a Venezia nel 1647 e intitolato Che le donne non siano della specie degli uomini, dove addirittura si sosteneva che le donne non avessero un anima. Nella sua replica (Che le donne siano della specie degli uomini, 1651) accusò l autore di avere espresso una «falsa dottrina , distorcendo e travisando la religione cristiana al solo scopo di deprimere il sesso femminile, dal momento che non si rintracciavano nei testi sacri affermazioni che avvalorassero le sue tesi. Arcangela in questo modo difese le verità di fede per difendere, attraverso esse, le donne.

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