Percorsi di educazione civica

Il consenso dei genitori non era più dunque un prerequisito per la celebrazione delle nozze, ma di fatto la Chiesa richiedeva spesso che questa condizione fosse soddisfatta, pena l annullamento del matrimonio. Nell ottica di riformare la Chiesa in senso più evangelico le disposizioni tridentine introdussero importanti novità anche per i monasteri femminili. La riforma più significativa riguardò l introduzione della clausura, per attuare un maggiore controllo sulla moralità della vita dei conventi in cui spesso la disciplina e il senso religioso erano molto allentati. Il convento diventava uno spazio chiuso: murate o serrate con pesanti grate porte e finestre, da cui le monache non avrebbero più potuto uscire. Le visite si potevano svolgere solo nei parlatori, limitate generalmente ai parenti; anche l osservanza delle regole e dei voti previsti (povertà, castità, obbedienza) divenne più rigida. Ciò rendeva naturalmente la vita monastica molto più dura. Anche per questa scelta però le disposizioni conciliari erano chiare: era necessario che fosse fatta in modo volontario. Ma ancora nel Seicento continuava a essere consuetudine diffusa costringere le figlie a monacarsi. Quello di Arcangela fu dunque un destino condiviso da molte altre giovani. Questa pratica era diffusa soprattutto per la difficoltà da parte delle famiglie di sostenere i costi sempre più elevati delle doti matrimoniali. Al momento delle nozze infatti la famiglia della sposa doveva corrispondere al marito un insieme di beni, ma soprattutto un importo in danaro che per la sua entità diventò gravoso anche per i ceti nobili; un aggravio che diventava importante quando le figlie da collocare erano molte, come nel caso della famiglia di Arcangela. Il monastero poteva costituire invece una comoda e conveniente alternativa, in quanto la dote richiesta per entrarvi era minore. Tale politica di contenimento dei matrimoni e delle nascite era poi sostenuta anche dai governi statali: da un lato si voleva impedire, come accadeva a Venezia, la crescita del patriziato; dall altro si tutelavano patrimoni e privilegi dei ceti più facoltosi. Il monastero poteva diventare per le giovani un paradiso monacale oppure un carcere. Se una ragazza vi entrava volontariamente, poteva essere un luogo di convivenza serena, al riparo dalle preoccupazioni materiali, capace anche di offrire a volte qualche opportunità di autorealizzazione personale, per esempio diventando madre superiora o badessa. Ma per chi entrava senza alcuna vocazione, il monastero diventava spesso una prigione, e non erano rare vere e proprie ribellioni. Un caso celebre fu quello di Marianna de Leyva (1575-1650), ispiratrice del personaggio di Gertrude, la monaca di Monza de I promessi sposi di Manzoni. Ma- rianna, pur essendo monaca, strinse una relazione con un giovane ed ebbe dei figli; scoperta, venne processata e condannata all incarcerazione perpetua. Arcangela fu un altra ribelle: entrata in monastero forzata e senza alcuna vocazione, riuscì a ritagliarsi un proprio spazio di realizzazione attraverso la scrittura, denunciando la violenza subita e rivendicando il diritto di scegliere il proprio destino per sé e per tutte le altre donne. LA PENNA COME UNA SPADA: UNA DONNA CONTRO LE INGIUSTIZIE DEL SUO TEMPO Arcangela non sfuggì dunque all imposizione del monastero ma neppure vi si rassegnò mai totalmente, infrangendo spesso molte regole. Portava i capelli lunghi e indossava abiti ricercati. Mentre le letture concesse alle monache erano generalmente libri di preghiera o testi devozionali lei invece leggeva di tutto, anche opere sconsigliate o addirittura proibite, ottenendo speciali licenze dai superiori ecclesiastici. Non uscì mai dal convento, rispettando la clausura, ma tramite il parlatorio e gli scambi epistolari riuscì a mantenere una rete di relazioni molto ricca anche con personaggi importanti, soprattutto con diversi intellettuali dell Accademia degli Incogniti, un prestigioso circolo letterario veneziano. Visto che lei non poteva uscire dal monastero, fece sì che fosse Venezia, attraverso il parlatorio e soprattutto le lettere, a entrarvi. Scrivere era un attività alla quale Arcangela sentiva di non poter rinunciare, era la sua consolazione in convento («ch io resti [smetta] di scrivere m è impossibile il farlo. In queste carceri e nei miei mali non ho altro di che contentarmi [ ] se non avessi questo trattenimento sarei morta [ ] solo una penna temperata ha valore di temperare le mie pene ). Normalmente le monache se scrivevano lo facevano trattando questioni religiose; Arcangela scrisse di altro. Alcuni temi ricorrenti nella sua produzione letteraria ci danno la cifra della sua originalità, in primo luogo la riflessione sulla condizione delle donne e le denunce dei soprusi e delle ingiustizie operate a loro danno dagli uomini. Usava la sua penna in difesa delle donne diceva dal momento che non avrebbe potuto prendere una spada («un certo genio che m invita a pigliar la penna, già che non posso la spada, per difender il mio sesso ). La prima opera alla quale lavorò si intitolò La tirannia paterna. Con questo testo denunciò le violenze che i padri perpetravano ai danni delle figlie costringendole a entrare in monastero. Questi padri «avari di poco danaro, ma prodighi dell altrui libertà decidevano la sor- 35

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Storia Triennio